domenica 1 settembre 2019

Il popolo vota, non guida dal sedile posteriore

L’effetto Brexit è micidiale, per ora, sulla democrazia. Sulla teoria della democrazia: la pubblicistica anglosassone ha scoperto con orrore che i referendum popolari, ben operanti ed eversivi da molti anni in Francia, dal 1958, in Italia dal 1974, e altrove nel mondo, e che l’opinione pubblica è una brutta bestia.
In Inghilterra soprattutto, si moltiplicano gli studi sul “mito” della democrazia popolare e della “volontà del popolo”. In America lo scandalo Brexit è stato sopravanzato, se possibile, dall’effetto Trump, posteriore. Ma benché partiti dopo, anche gli scienziati politici americani rivedono i limiti della democrazia. Con meno ansia degli inglesi, a quello che si legge, forse perché l’assetto istituzionale americano è democrazia pura, senza Lord e senza Corona, e forte – e comunque l’America, che il populismo ha inventato, nel primo Ottocento, e con più forza ha alimentato, non può far finta di nulla.
Caleb Crain, che è americano ma non cattedratico, è anche più cauto. Romanziere premiato, del genere, gay, è anche autore di saggi sull’America, le istituzioni e i modi di essere. Questo “caso contro la democrazia è il disinnesco del caso stesso. “Circa un terzo degli elettori americani pensa che lo slogan marxista «da ognuno secondo le sue capacità , a ognuno secondo i suoi bisogni» appare nella Costituzione” è l’esordio: “Più o meno la stessa percentuale è incapace di nominare anche una sola delle tre branche del governo costituzionale. Meno di un quarto conosce il nome dei suoi senatori, e solo la metà sa che ogni stato ne ha due”. Ma l’ignoranza non diminuisce la democrazia.
Il problema non è nuovo, Crain spiega paziente ai suoi sofisticati lettori, quelli del “New Yorker” – come dire che l’ignoranza è infinita: “La democrazia è gli altri, e l’ignoranza dei molti ha da tempo irritato i pochi, specialmente i pochi che si considerano intellettuali”. A partire da Platone, dalla “Repubblica” e anche prima, fino a J.S.Mill: una quadro della “democrazia rappresentativa”. Che Schumpeter un secolo dopo Mill vedeva limitata giustamente al voto, il controllo diretto dei rappresentanti eletti tra un voto e un altro considerando nocivo, alla legislazione e alla democrazia stessa, agli interessi “popolari”. Tra una consultazione e l’altra l’elettore deve evitare, consigliava, “la guida politica dal sedile posteriore”. L’effetto sarebbe deleterio, e ognuno ne vede i risultati con i sondaggi in continuo.
Troppa democrazia rende ineffettuale la democrazia. Ma questo non riguarda la consultazione popolare, voto politico o referendum. Questo è l’esito della parlamentarizzazione dell’opinione pubblica, ignorante e ondivaga quale è. Attraverso i sondaggi, e ora i social.
C’è una aloofness della sociologia anglosassone, compresa la sociologia politica, tutta basata, forse per un fatto linguistico, sulle esperienze anglosassoni, anzi solo inglesi e americane. Il Resto del Mondo non conta. Il problema è che il Resto del Mondo non pensa se il mondo anglosassone non pensa. E poi pensa a rimorchio, dei problemi cioè specifici alla Gran Bretagna, anzi all’Inghilterra, e agli Stati Uniti. Per di più come se fossero un’apocalisse, Brexit o Trump.
Il popolo ignorante è comunque tra noi e con noi. Decide anche per conto nostro, e comunque noi ce ne serviamo molto. Forse, se provassimo a istruirlo invece che a disprezzarlo, la sana alterigia intellettuale sarebbe anche democratica.  
Caleb Crain, The Case against Democracy, “The New Yorker” 7 novembre 2016, free online

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