La colpa fu della Germania, dicono in
sostanza La Malfa e Farese. Il che è vero, ma per cose note. In sostanza una: la
nessuna volontà della Bundesbank, molto germanica (rigida) in questo, di farsi
coinvolgere in una stabilizzazione europea, il suo compito ritenendo limitato alla
sola Germania, come se la Germania fosse un’isola, incontaminabile.
Il consiglio direttivo della Bundesbank
a un certo punto decise di non sostenere più le monete europee sotto attacco da
quattro mesi da parte della speculazione. Che si era scatenata dopo gli accordi
di Maastruicht, prendendo gli obblighi dei trattati dell’euro come leve per
scardinare il progetto di unione monetaria. A prova della decisione tedesca La
Malfa e Farese portano la telefonata del presidente della Bundesbank Schlesinger
al governatore della Banca d’Italia Ciampi, con l’annuncio della decisione,
mentre Ciampi era in riunione a palazzo Chigi col presidente del consiglio
Amato sui mezzi per arginare l’attacco speculativo. E la documentazione
prodotta dallo storico dell’economia Harold James, di Princeton, nel 2012, “Making
the European Momnetary Union”: la Bundesbank aveva notificato al cancelliere
tedesco Schmidt la decisione, e Schmidt aveva dato ragione alla sua banca
centrale, che si appellava agli statuti.
Ma il fatto centrale è un altro: l’attacco
contro Maastricht fu sferrato perché i parametri erano chiaramente insostenibili
per alcuni apesi, al primo posto l’Italia. Posto che l’Italia non aveva
provveduto a consolidare (ridurre) il debito, come aveva fatto e stava facendo
per esempio il Belgio, altro paese esposto sul fronte del debito pubblico, e
non aveva il consolidamento in programma. E anche perché, per preparare l’adesione
a Maastricht, la Banca d’Italia aveva nel corso del 1991 favorito un apprezzamento sostanzioso della lira nei confronti del marco – in teoria era
più solida del marco. Una finzione insostenibile.
È stato un duplice errore. Di Ciampi, e
di Draghi, che negoziava l’euro. Entrambi puntati sull’adesione comunque a
Maastrcht e all’euro, il cosiddetto “vincolo esterno” che avrebbe portato l’Italia,
la politica italiana, sul sentiero virtuoso.
L’apprezzamento della lira a premio sul
marco, che non era naturalmente sfuggito ai Soros della finanza, era stato rilevato
anche giornalisticamente, sul settimanale “Il Mondo”, da Antonello Figà-
Talamanca, per gli ottimi contatu che aveva nella stessa Banca d’Italia, con Fabrizio
Saccomanni.
Sullo stesso settimanale Hans Tietmeyer,
il cristiano-democratico e buon cattolico succeduto nel 1993 all’inflessibile socialdemocratico
Schlesinger, consigliava due anni dopo l’Italia di optare per una pausa nella adesione alla moneta unica, sempre
su “Il Mondo”, in un’estesa intervista con Stefano Eleuteri.
Inutilmente. L’errore di Ciampi governatore
fu perpetuato successivamente da presidente del consiglio, e poi da Prodi nel
1996. Evitando ogni consolidamento del debito nell’attesa dell’entrata in
vigore dell’euro, dieci anni dopo Maastricht. Un debito che, pur con i tassi bassi
e bassissimi garantiti dall’euro, costa all’Italia ogni anno fra i 50 e i 60
miliardi. Di che svenare l’economia più solida. Dopo aver costretto a un perenne
attivo di bilancio, attivo primario (al netto cioè degli interessi sul debito),
ormai da veticinque anni. Quasi trenta: un lungo, lunghissimo, inverno
dell’economia.
L’Italia è ancora viva per le energia
profuse dalle sue imprese, ma quanto sudore e quanto sangue sprecati per un
semplice errore di politica monetaria. Il consolidamento prima o poi va fatto,
e allora perché non prima invece che dopo, cioè dopo aver speso (sprecato)
centinaia e anzi migliaia di miliardi? Se un rubinetto perde in casa si ripara
il prima possibile, e non dopo.
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