giovedì 12 settembre 2019

L'11 settembre dell'Italia, o l'errore di Ciampi

Giorgio  La Malfa ricostruisce sul “Corriere della sera”, con Giovanni Farese, il “Settembre nero” della lira, nel 1992. O l’“11 Settembre” dell’Italia, non sanguinoso come quello che fa data in America, ma non meno funesto. Avendo avviato un venticinquennio, quasi un trentennio, di stagnazione economica, unico paese industrializzato – il Giappone ha sofferto una stagnazione ventennale ma è riuscito a venirne fuori.
La colpa fu della Germania, dicono in sostanza La Malfa e Farese. Il che è vero, ma per cose note. In sostanza una: la nessuna volontà della Bundesbank, molto germanica (rigida) in questo, di farsi coinvolgere in una stabilizzazione europea, il suo compito ritenendo limitato alla sola Germania, come se la Germania fosse un’isola, incontaminabile.
Il consiglio direttivo della Bundesbank a un certo punto decise di non sostenere più le monete europee sotto attacco da quattro mesi da parte della speculazione. Che si era scatenata dopo gli accordi di Maastruicht, prendendo gli obblighi dei trattati dell’euro come leve per scardinare il progetto di unione monetaria. A prova della decisione tedesca La Malfa e Farese portano la telefonata del presidente della Bundesbank Schlesinger al governatore della Banca d’Italia Ciampi, con l’annuncio della decisione, mentre Ciampi era in riunione a palazzo Chigi col presidente del consiglio Amato sui mezzi per arginare l’attacco speculativo. E la documentazione prodotta dallo storico dell’economia Harold James, di Princeton, nel 2012, “Making the European Momnetary Union”: la Bundesbank aveva notificato al cancelliere tedesco Schmidt la decisione, e Schmidt aveva dato ragione alla sua banca centrale, che si appellava agli statuti.
Ma il fatto centrale è un altro: l’attacco contro Maastricht fu sferrato perché i parametri erano chiaramente insostenibili per alcuni apesi, al primo posto l’Italia. Posto che l’Italia non aveva provveduto a consolidare (ridurre) il debito, come aveva fatto e stava facendo per esempio il Belgio, altro paese esposto sul fronte del debito pubblico, e non aveva il consolidamento in programma. E anche perché, per preparare l’adesione a Maastricht, la Banca d’Italia aveva nel corso del 1991 favorito un apprezzamento sostanzioso della lira nei confronti del marco – in teoria era più solida del marco. Una finzione insostenibile.  
È stato un duplice errore. Di Ciampi, e di Draghi, che negoziava l’euro. Entrambi puntati sull’adesione comunque a Maastrcht e all’euro, il cosiddetto “vincolo esterno” che avrebbe portato l’Italia, la politica italiana, sul sentiero virtuoso.
L’apprezzamento della lira a premio sul marco, che non era naturalmente sfuggito ai Soros della finanza, era stato rilevato anche giornalisticamente, sul settimanale “Il Mondo”, da Antonello Figà- Talamanca, per gli ottimi contatu che aveva nella stessa Banca d’Italia, con Fabrizio Saccomanni.
Sullo stesso settimanale Hans Tietmeyer, il cristiano-democratico e buon cattolico succeduto nel 1993 all’inflessibile socialdemocratico Schlesinger, consigliava due anni dopo l’Italia di optare per una pausa nella adesione alla moneta unica, sempre su “Il Mondo”, in un’estesa intervista con Stefano Eleuteri.
Inutilmente. L’errore di Ciampi governatore fu perpetuato successivamente da presidente del consiglio, e poi da Prodi nel 1996. Evitando ogni consolidamento del debito nell’attesa dell’entrata in vigore dell’euro, dieci anni dopo Maastricht. Un debito che, pur con i tassi bassi e bassissimi garantiti dall’euro, costa all’Italia ogni anno fra i 50 e i 60 miliardi. Di che svenare l’economia più solida. Dopo aver costretto a un perenne attivo di bilancio, attivo primario (al netto cioè degli interessi sul debito), ormai da veticinque anni. Quasi trenta: un lungo, lunghissimo, inverno dell’economia.
L’Italia è ancora viva per le energia profuse dalle sue imprese, ma quanto sudore e quanto sangue sprecati per un semplice errore di politica monetaria. Il consolidamento prima o poi va fatto, e allora perché non prima invece che dopo, cioè dopo aver speso (sprecato) centinaia e anzi migliaia di miliardi? Se un rubinetto perde in casa si ripara il prima possibile, e non dopo.   

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