Colli, professore di Storia
d’impresa alla Bocconi, è un cultore della materia. Questo intervento è un
adattamento del saggio pubblicato nel 2002 a Cambridge, “The History of Family
Business”, in copertina un Gianni Agnelli giovinetto col nonno di profilo di
spalle, cappello alto e pipa. Ha poi recidivato, sempre a Cambridge, dodici anni
dopo, con Paloma Fernàndez Pérez, con una raccolta sostanziosa di studi
sull’argomento, “The Endurance of Family Businesses: A Global Overview”
L’arcaico
famigliare del titolo sembra adombrare qualcosa di, magari stimabile,
meritevole di nostalgia, ma vecchio e sorpassato. Mentre è più che mai attivo,
spiega Colli, e anche stabile. Nell’impresa piccola e anche nella grande. In
America e in Germania più che in Italia - dove è risentito, pro o contro, in quanto s’incarna
nella famiglia Agnelli. Dell’Italia è però il vero capitale, l’iniziativa
del piccolo e piccolissimo imprenditore che osa in proprio, per numero e
qualità di iniziative.
Con un limite, però, che
Colli non rileva. E meglio s’illustra con la foto di copertina dell’edizione
angloamericana: la “famiglia” vuole remunerarsi, e questo può minare l’azienda.
Fiat ha prosperato con due
manager esterni, col professor Valletta in guerra e dopo, e con Marchionne. Che
hanno avuto mano libera perché l’azienda era in difficoltà gravi. Tra i due supermanager
Gianni Agnelli, che gode di ammirazione unanime per altre doti personali, ma sul
piano gestionale ha portato il gruppo in situazione fallimentare. Per
dovere-volere soprattutto “fare il dividendo” ogni anno per la “famiglia”.
Pochi o nulli gli investimenti nell’auto, soprattutto acquisti e cessioni, e
fondi pubblici a vario titolo, con accumulo di plusvalenze per il dividendo.
Con due soli nuovi modelli di auto in quarant’anni, “Panda” e “Uno” – poi
“Punto”. A opera di un manager, Ghidella, licenziato per fare posto a Romiti,
il manager pubblico-privato del “fare il bilancio”. Una Fiat attivissima nel
mercato politico ma in perdita costante di posizioni in quello automobilistico. I segmenti E e D, i più profittevoli, dapprima, e poi a rischio anche quelli delle
utilitarie.
Con due limiti, anzi. L’altro
è che troppe aziende, anche brillantissime, cessano col fondatore, quando non
cura una gestione che perpetui il suo brillante avvio. Borghi per esempio,
Merloni, Laverda - la serie è innumerevole.
Andrea Colli, Capitalismo famigliare, Il Mulino, pp.
155 € 13
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