Un monumento a Di Caprio, in una caratterizzazione sfaccettata, cui sarà difficile negare l’Oscar, benché fresco di premio, appena tre anni fa. E al migliore non protagonista Brad Pitt, se non altro per il sacrificio, molto Hollywood post-Hollywood post-vedettariato, dell’ego nella posizione di spalla.
Un film allegro di mestizia. Di
solitudini e fallimenti, nel glamour.
Mentre la minaccia incombe, di Charles Manson sui vicini congiunti di Polanski.
Con pochissima violenza – quanto basta per innescare l’orgoglio di Manson.
Hollywood privilegia da qualche tempo il suo retroscena: violenze carnali, alcol, droghe, fallimenti milionari, e uno stato depressivo costante. Come una forma di glamour, acida. Tarantino mostra un di dietro del cinema di polvere e cartone. Non esilarante e anzi ridicolo, nella sua superba pocaggine,
ma le tre ore di mestizia scorrono lievi. Un film pieno di immagini, che
pensiamo di avere già visto – Tarantino si vuole cinefilo, più che drammaturgo –
ma forse no.
Quentin Tarantino, C’era una volta a… Hollywood
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