“Una introduzione a ciò che
potrebbe essere una Storia della Scrittura”, la diceva lo stesso Barthes alla
riedizione nel 1972. Testi sempre nuovi alla lettura ma ormai classici, remoti.
Che cos’è la scrittura, e quando si afferma – con Flaubert. La scrittura
poetica. La scrittura del romanzo. La scrittura politica. Assortiti dalla
lettura di La Rochefoucauld, Chateaubriand (“La vita di Rancé”), le tavole
dell’“Encyclopédie”, Loti, Fromentin, Flaubert, e Proust, “I nomi di Proust”.
L’impianto originario si era intanto incrementato di considerazioni sullo
“stile”, alle quali non si riesce a trovare una faglia. Nonché sulla scrittura
e il silenzio. Con temi d’obbligo all’epoca: scrittura e rivoluzione, scrittura
borghese – compitini svogliati, ora si vede.
Ma compiti allora centrali, e
il lettore è preso da un dubbio: bisognerà buttare tutto, è acqua sporca?
“Trionfo e rottura della scrittura borghese”, nonché piccolo-borghese, riletta,
lascia traumatizzati. Benché temperata dalle brevi note stroncatorie
successive, su “Scrittura e rivoluzione”. Vi si legge che “la scrittura
Borghese ha dominato senza faglie fino al 1848” – “da Laclos a Stendhal”. Flaubert,
che pure Barthes acclama all’inzio – Balzac è totalmente assente? Sembra strano
che Barthes non si sia sottratto alla fine della borghesia, esercizio d’obbligo
in un certo ambiente, per quanto dominante. Ma non lo ha fatto, non si è
sottratto.
Per il resto è Barthes. Di annotazioni brevi, anche concettose, ma
sempre godibili. Una celebrazione. Che però si rilegge come un epicedio. Un
saggio del 1953, incrementato nel 1972, che è una reliquia, come di tempi lontanissimi. Sarà durato un secolo breve, da Flaubert, a metà Ottocento, a questo
primo Barthes il culto – e la differenza – della scrittura. Quella che
distingue i libri che rileggiamo volentieri, eterne riscoperte, dagli altri, che
compriamo compulsivamente - uno spreco in tutti i sensi, di tempo, di soldi e
di spazio, che però non dissuade, una addiction.
Lo stesso R.Barthes,
nell’introduzone del 1972, dà il ciclo per concluso, nel contesto francese, già
con fine Ottocento, con Mallarmé. Distinguendo tre epoche della letteratura:
debole con Chateaubriand, affermativa (costruttiva) con Flaubert, assassina con
Mallarmé. Dopo c’è già lo scrittore senza letteratura: “la scrittura bianca” di
Camus e Blanchot, o “la scrittura parlata” di Queneau – “ultimo episodio di una
Passione della scrittura, che segue passo a passo la lacerazione della
coscienza borghese”.
Oggi la borghesia c’è, eccome
– non c’è altro. Ma non c’è la letteratura.
Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Einaudi,
pp. 187 € 18
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