Maalouf ha conosciuto il suo
Levante felice nella distruzione a opera dei Palestinesi, di Israele, della Siria,
con i fondi sauditi che alimentavano ogni sopruso – gli stessi che hanno
provato anche a distruggere la Siria, dopo il Libano – e poi iraniani, degli ayatollah diabolici. Ma non è impietoso. Avrebbe potuto includere nella sua storia delle
rivoluzioni-regressioni il Maghreb. L’Algeria che nutriva tante passioni, salvo
sprofondare nella corruzione, e poi nel fondamentalismo carnefice. O la Tunisia
di Bourghiba, che apriva il Ramadan raccomandandosi paterno di osservare i precetti
del Profeta, ma di bere di giorno sotto il solleone se impegnati nei campi o in
fabbrica. Maalouf insomma non esagera. Ma non si fa illusioni - si vive a
Beirut sotto coperta, come se nulla fosse, finché dura.
Una data è spartiacque nella
sua rappresentazione, il 1979. Del sovietismo che avvia con la perestrojka la
sua fine. Della Thatcher trionfante, o dell’egoismo elevato a dottrina. Di
Reagan che esordisce decretando la fine dei sussidi ai poveri (negri). Di Deng
che avvia in Cina le Quattro modernizzazioni, ossia l’arricchitevi sotto
l’ombrello comunista della legge e l’ordine. Dell’ayatollah Khomeiny che
riemerge in un paesino al coperto dei servizi francesi e abbatte con le
audiocassette – registrate e diffuse dai servizi - l’impero dello scià: una
rivolta in teoria contro l’ordine imperiale, di fatto contro la modernizzazione,
nel nome di un paleo tradizionalismo.
Finite, a pochi anni dalla
morte del Rais, le risate che Nasser si fece nel 1958, quando prese direttamente
il potere liberandosi di Neguib e il leader dei Fratelli Mussulmani volle
incontrarlo per esortarlo e imporre il velo e togliere il lavoro alle donne – un
aneddoto forse inventato ma veritiero. Lo stesso Egitto progressista voterà per
i Fratelli Mussulmani. Dopo un’altra rivoluzione, la “primavera”, che era un’involuzione.
Un racconto anche divertente.
Nella decadenza ci si diverte, si irride, si raccontano barzellette, è sempre
successo. Anche per le capacità affabulatorie, aneddotiche, di Maalouf, vecchia
Beirut col sorriso sulle labbra. Nulla di profetico, né di minaccioso, giusto
una realtà trascurata, una serie di realtà, che vengono raccontate. Ma alla
fine problematico: che ci sta succedendo?
Prendendo per buona la data di
Maalouf, la data d’inizio della fine, la fine della civiltà va per i quaranta. E non si vede riscossa. Nemmeno un segno di resistenza. Forse la regressione
non è totale – ci sarebbe stata altrimenti una reazione. Forse la regressione è
sapiente, sa come vaselinare i sui obbrobri, ammesso che sia opera di qualcuno
e non di noi stessi. E questo forse e più probabile: si vede dalla melassa buonista
che ha saputo imporre, all’insegna del politicamente corretto, sapiente, che spunta
ogni capacità critica, e impone il rifiuto delle differenze, e cioè della
difesa delle identità.
Sapiente perché non si vede con che mezzo e a che fine,
poiché non c’è costrizione: è una resa per stupidità? La fine di una civiltà può
ben avvenire per dabbenaggine: ci si arrende per debolezza o stanchezza, perché
un ciclo si è esaurito, perché un nemico s’impone invincibile, ma anche perché non si capisce, se si sposano le tesi del nemico. Poniamo che il Fratello
Mussulmano che l’Egitto ha eletto presidente, dimenticando Nasser, avesse imposto
il velo alle donne (lo ha fatto) e le avesse cacciato dal lavoro (si apprestava
a farlo), noi lo avremmo giustificato, come abbiamo già fatto, ma perché? Si dice delle civiltà perente che erano estenuate. Ma che vuol dire, che erano diventate disappetenti?
Amin Maalouf, Il naufragio delle civiltà, La Nave di
Teseo, pp. 346 € 20
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