Roy, arabista e islamista, sa
che l’islam non ha una soluzione politica, da molti secoli ormai, passato
l’assolutismo – non c’è occupazione, non c’è progetto, c’è solo fuga. Non l’ha
avuta nel secolo scorso, dopo l’impero ottomano, che si resse con la durezza turca, e non ce l’ha oggi, con tutti i petrodollari. Niente di temibile,
vuole dire: la
paura dell’arabo, dell’islam, è in Europa una deriva per non vedere la mancanza,
o incapacità, di religione, di senso religioso, della vita e della comunità. Lo
dice subito, nell’introduzione-conclusione: “L’idea che, se non vi fossero né
l’islam né l’immigarazione, tutto andrebbe bene non è che un’illusione”.
L’Europa è cresciuta su radici
cristiane. L’Europa di oggi, post-bellica. A opera, come si sa, di De Gasperi,
Schuman, Adenauer e Monnet. Tre cattolici devoti, i primi due in odore di
santità, e un laico liberale. Era l’Europa delle democrazie cristiane, ma
soprattutto radicata, cioè colta, conscia. Roy rileva che questo non c’è più.
La fede non è più di rilievo nella società e la politica. E la morale laica non
rimanda più alla religione, seppure sotto la forma del teismo. È autoreferente,
sul presupposto del niente – l’incertezza, la crisi.
In Europa tutto è cambiato ma
nel vuoto: non c’è più religione, e non c’è nient’altro. Il lettore lo può
vedere da solo, anche oggi: le feste, o manifestazioni, per la Terra non sono
niente, solo business.
Olivier Roy, L’Europa è ancora cristiana?,
Feltrinelli, pp. 158 € 17
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