Mario era il vinaio del quartiere. “Un residuato di guerra” diceva di sé,
da tempo non vendendosi più il vino spillato, perché tutti lo compriamo asettico,
si suppone, al supermercato – l’amicizia si era creata per questo, per volere
ancora il “vino di Velletri”, di cui ogni anno prendeva una botte. Ma non un
vinto: era venuto il boom dell’acqua minerale, e lui riforniva le case di acqua
minerale. A cataste. Piccolo e in età, ma nervoso e atletico, sul vespino caricava
tra le gambe due pacchi da sei sovrapposti, dodici-diciotto chili, e riforniva
malati e psicotici a ogni piano, anche senza ascensore – “basta salire un pacco
alla volta”.
Gli abitudinari che passavano per un bicchiere erano sempre più rari. E
bevevano soli, lui non poteva, non avendo più stomaco. Ma l’acqua bastava. Con
l’acqua aveva accumulato un piccolo patrimonio immobiliare. Di cui raccontava orgoglioso
– l’orgoglio dele cose fatte è preannuncio di fine? Da quando era arrivato ragazzino
dall’Abruzzo senza niente in tasca, senza titolo di studio, e senza mestiere, all’agiatezza
che aveva costruito per sé e i familiari. Insieme con la moglie, che accomunava
fiero: collaboratrice scolastica (“bidella”) di giorno, e sarta rammendatrice nel
tempo libero – molto capace, bisogna riconoscere. La casa abitazione, “un
attico”, grande. L’Alfa 164 per andare al paese, qualche domenica. La casa per
i figli impiegati, una per lui, una per lei. La casa al paese, rilevata da fratelli
e nipoti e restaurata – “una spesa inutile, c’è anche il riscaldamento, mi
mordo le mani, non ci va nessuno, neanche d’estate, e quando ci vado i paesani
mi guardano storto, ‘povero cretino’, pensano, magari ‘sbruffone’”.
Si può vivere bene con poco, basta applicarsi – il miracolo dell’acqua
minerale lo faceva sorridere.
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