domenica 15 settembre 2019

Renzi mette fine al compromesso

Dunque, Renzi si sfila dal Pd. Ricostituisce la vecchia sinistra Dc, da cui proviene. Specialista delle primarie Pd, nelle quali compattava gli ex Dc contro, solitamente, tre o quattro babbioni ex Pci, che quindi inevitabilmente perdevano, aveva così conquistato le tribune tv e i consensi. 
Ci ha prosperato, per quasi due decenni, e ora lo liquida. Il compromesso del resto non era, e non ha fatto, buona politica. Con la scissione però potrebbe non essergli più possibile ripetere i successi dei due decenni passati, quando sbaragliare i vecchi Pci in lite tra di loro, alla Provincia e al Comune di Firenze, e  poi nel Pd nazionale. Gli mancherà lo zoccolo duro”?.
La scissione annunciata è un’operazione analoga alla Margherita. Della sinistra Dc attorno al liberale-radicale Rutelli, reduce dal successo al Comune di Roma. Che si smarcava dal’Ulivo, dal compromesso storico, messo insieme da Prodi con Veltroni - quello che non era mai stato comunista. La Margherita è fallita e il Pd ha poi consacrato con Veltroni, seppure svenandosi elezione dopo elezione, il compromesso berlingueriano.
Renzi però non è Rutelli: è molto caratterizzato nel senso “democristiano”, dell’agilità politica, e molto più manovriero. E il ritorno alle formazioni classiche, con venature ideologiche, potrebbe fare bene a entrambe le parti del Pd. 
Renzi può riprendere il vecchio mantra democristiano nei confronti di Berlusconi – in morte di – e riportare all’ovile i voti “rubati”. Un Pd classista potrebbe recuperare i molti che non votano – gli ex Pci che non sono passati con la Lega – e rianimare i residui credenti. I cinquanta anni di compromesso non hanno mai visto un vero (ex) Pci al governo, partito degli operai - del lavoro - è dei poveri.

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