Alibi – È fondamento della scienza forense, ma
evanescente. Per un semplice motivo, che una semplice romanziera, di gialli, Agatha
Christie, fa dure a un suo personaggio “italiano” (un peraltro evanescente
signor Paravicini): “È difficile dimostrare quello che non è” – “posso io forse
dimostrare che non sono un pazzo criminale?”. E l’investigatore principe di
Agatha Christie, Poirot: “La maggior parte degli indizi è insignificante”
Alternativa - Termine e concetto
desueti, ma non senza ragione: vivere nell’alternativa è rinunciare. L’alternativa è politica, è un modo per
esercitare il potere. Ma è un’antinomia se applicata alla società, alla
produzione cioè e alla cultura.
Emarginarsi può essere rivoluzionario: si
assottiglia la base del potere per abbatterlo. Fu così alle origini della
politica partitica, per gli ideologi che l’hanno inventata nel Settecento. Da
qui l’equivoco di voler essere resistenza e potere, l’una cosa e l’altra. Che però
non è politica – e non è rivoluzione, naturalmente.
Auctoritas – La forza mista
all’autorevolezza, nella dottrina dello
Stato di Alessandro Passerin d’Entrèves, la romana legittimazione. Che all’Italia
sempre è mancata, argomentava lo studioso nell’ultima prolusione a Oxford, per
avere i Savoia e i loro aiutanti scambiato i bastoni per briscola: “I
governanti dell’Italia unita sembrano aver provato più paura da dentro che da
fuori”. E hanno lasciato fuori dallo Stato la chiesa e i lavoratori, si
volevano legittimare con la polizia.
Ma
non solo l’Italia: la sovranità nazionale non esiste, come per la giumenta di
Orlando è il suo solo difetto. Non poteva sopperire il socialismo, se Mazzini è
morto ammonendo: “Meglio il ritorno degli austriaci che l’impianto in Italia di
quella falsa e perversa dottrina che dividerebbe gli italiani in sfruttati e
sfruttatori”. La Repubblica, malgrado tutto, ha colmato la “legittimità
inadeguata”, un certo patriottismo formando, anche se sempre in rapproto alla
“minaccia esterna”: prima il blocco sovietico, poi alternativamente l’Unione
Europea, la Russia, l’immigrazione.
Passerin
d’Entrèves dava ragione a Mazzini: “La nozione marxista dello Stato si attaglia
alla concezione volgare italiana che la forza e non il consenso è la chiave
della politica”.
È
vero che Jacques, secondo il suo Maestro, non ha tutte le rotelle a posto.
Diderot giansenista – Del
giansenismo condivide l’assunto principale, la negazione della libertà. Nella
teoria del “fatalismo” (poi determinismo) e nell’approccio in genere ai fatti
della vita, con l’opera di narratore. In “Jacques il fatalista” al punto da
patrocinarlo in opposizione al “molinismo” - la corrente teologica che
conciliava libertà e grazia. Forse perché patrocinata dai gesuiti.
Ecologia – Affronta gli
effetti, alcuni effetti, ma non le cause del degrado ambientale – la circolazione
automobilistica, il riscaldamento e il raffreddamemto
domestici. Che contemporaneamente moltiplica
in misura incontrollabile e incomputabile. Si presenta come una campagna
pubblicitaria, cosa che all’origine, e nel suo nucleo forte, è. Dell’industria
dell’antiinquinamento. Non risolutiva naturalmente, pena la cancellazione del business.
Lo è stata dichiaratamente all’origine, nel
piano di Nixon, 1969, e poi nella dottrina dei “limiti allo sviluppo”, che ha
tenuto banco per un ventennio, dopo il 1973 e la crisi del petrolio, con “la
fine delle risorse fossili”. Poi in sordina con la globalizzazione, che ha
passato all’Asia senza limiti le produzioni altamente inquinanti.
Le strade vuote, le vetrine spente, il
rimbombo dei passi, gli orologi fermi, e il freddo nelle ossa, la desolazione
dell’inverno 1973 misurava quanto l’inventiva sia più colorata e attraente
della natura. Era la rotta della secolarizzazione che il cristianesimo ha
introdotto, dal miraggio precapitalistico del Dio in terra. Sembrava Evola, un
rifiuto reazionario della modernità, ma con la teoria dei limiti e l’ecologia
l’Occidente s’impadroniva anche della crisi. Un nuova domanda sociale si
imponeva basata sull’astinenza – “l’Austerità”. Partendo dalla filosofia, che
non ci può essere sviluppo all’infinito. Si parte cioè dall’ovvio, che è sempre
una scoperta: all’infinito nulla cresce. Né decresce, lo sviluppo è continuo
nella discontinuità, è sociale e individuale, aggregante e disgregante, il Club
di Roma è la cuspide dello scientismo - il pensiero unilineare non muore mai,
come la fine del capitalismo.
I limiti dello sviluppo ripetono
l’invenzione della povertà: il ricco Occidente si fa povero per compatirsi e
aiutarsi, si è ricchi per volere tutto.
Opinione pubblica – È un abuso e una
disgrazia, ciò che la “gente pensa”, per
il proto-giornalista Diderot, fabbrica di fake
news, e di finte impressioni, che tuttavia condannano e dannano. Nei
racconti di W”Jacques il fatalista” e altrove non cessa di dirla “la folla
imbecille”, il “pubblico stupido”.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento