Aneddoto – Ritorna
prevalente e anzi privilegiato a scapito, come già nel secondo Ottocento, della
filosofia – quando la riflessione non ha buon corso. In questo primo Millennio
perfino nelle forme piatte dell’autofiction
o selfie, dell’aneddoto impalpabile.
Il qui e subito, il circoscritto, il piccolo e breve: il pensiero si vuole
narrativo – e di non grande respiro, senza presumere troppo.
Raccontare
diventa la funzione fondamentale di ogni forma di comunicazione. Non solo della
riflessione, anche dell’informazione, e perfino della comunicazione politica.
Una forma minore di rappresentazione, lo storytelling.
In cui non conta la cosa detta, ma il modo: il modo diventa credibile e
creduto.
È
una forma superiore o inferiore di comunicazione? Quando la storia si voleva progressiva,
da Vico in poi, l’oralità si relegava agli stati primitivi della società.
È
però vero che l’oralità scardina le stratificazioni, e quindi le disuguaglianze.
Le impressioni (umori) non creano accumuli e questo agisce nei due sensi, della
non imposizione, e della non conoscenza.
Filosofia – Una prepotenza
e una quasi-mistificazione. Che si avvera quando si espone – espone i suo trucchi,
tranelli, i suoi utensili.
Lo
è come ogni forma di espressione – che è un’arte: l’espressione è modulare, si
fa per modelli, più o meno stabilizzati (classici).
La
riflessione s’impone arrivati al finale delle considerazioni di Diderot sul
“sublime” – il bello (il bello del brutto), l’arte, la stessa conoscenza. Diderot
confessa una messinscena, analoga a quella dei dialoghi di Platone: ha finto di
discutere della natura come se fosse nella natura, mentre era solo di fronte a
quadri che rappresentano la natura. Lo fa dire (denunciare) nei termini della
commedia del’arte, in italiano: “Che, mi direte, l’istitutore, i suoi due
piccoli allievi, la colazione sull’erba, il paté,
sono immaginati?”. “È vero”, “I posti
sono quadri diVernet?” “Tu l’hai detto”.
“Ed è per rompere la noia”, etc. “che
hai inquadrato i paesaggi come colloqui?” “A
maraviglia. Bravo; ben sentito”.
Heidegger – Si dirà il novello
Platone – il Filosofo Secondo (o non Bino, Platone e Aristotele insieme?). In
antitesi a Platone sul tema fondamentale della poesia, linguaggio e essenza. Ma
ugualmente avvolgente, ugualmente nella forma indiretta – nel dialogo, nel
dubbio, nella interrogazione, nell’opinione: non apodittico ma suggestivo.
Il
parallelo nasce dall’“impegno” politico, in entrambi fuorviante, di sudditanza
al tiranno. Dalla Forza startrekkiana che sola li anima. Dal nessun conto della
democrazia. Ma i tempi e i modi accomunano di più. Si applica curiosamente a
Heidegger il Platone nel giudizio di Popper, in appendice al primo volume di
“La società aperta e i suoi nemici” - quello dedicato appunto a Platone: “La
mia opinione che Platone sia stato il più grande di tutti i filosofi non è per
nulla mutata. Anche la sua filosofia morale e politica, come realizzazione
intellettuale non può essere paragonata ad alcun’altra, anche se la trovo
moralmente riprovevole e addirittura spaventosa”
Mare – È figurazione,
fra gli elementi, di quello integralmente democratico, rispetto all’aria, la terra,
il fuoco. Indivisibile e non appropriabile, aperto, indipendente. Un sorta dematerializzazione
del divino.
Materializzazione
è la parola giusta, poiché il mare è anche creatore. Così come è distruttore,
seppure con procedimenti lenti.
Meritocrazia – Nasconde o
afferma i diritti individuali – i diritti ugualitari? Un punto che sembrava lineare
nello sviluppo del pensiero, del pensiero applicato in questo casso alla
società, diventa controverso. Il merito presuppone il sapere. Che non si
saprebbe qualificare come discriminatorio. E invece lo è. Specie se va
acquisito a caro prezzo, e attraverso patrocinii.
L’uguaglianza
si esercita solo ai minimi termini, al livello minimo. Della condizione e anche
delle aspettative.
Poesia – Tradisce la
filosofia – come aveva stabilito Platone? È la filosofia per Heidegger – che
per questo si può dire il secondo Platone, come avrebbe voluto, sebbene aggrovigliato
(fumoso? Heidegger è poeta in proprio, non occasionale): il modo di conoscenza
più approfondito, e veritiero: Il modo espressivo, anche, più completo. Anche se,
usandolo al ragionamento al modo di Heidegger, non si direbbe: troppe
parole.
Populismo - È dei grandi
repubblicani, di Jefferson come di Jackson, o in Francia Victor Hugo, Michelet,
Zola. È del progressismo, prima e dopo la sua cancellazione col classismo di
Marx: il socialismo è a lungo populista. Lo stesso in Russia, dove poi diventerà
un movimento politico specifico: ma fu presto attivo nei Tolstòj, nella nobiltà
aperta al popolo, e fra gli intellettuali, alla Dostoevskij.
Corrado Alvaro può rimproverarlo a Ricco Scotellaro - sul “Corriere
della sera”, l’11 settembre 1954 - recensendo “L’uva puttanella”, in termini di
dispetto della cultura. Alvaro elogia l’impegno di Scotellaro, sindacalista, ma
gli rimprovera “un certo vezzo populista di seconda mano”, per “il fastidio della
cultura senza avervi lavorato in profondità”.
Potere - Ha
connotazioni tutte sulfuree. Mentre può essere benefico. E sa essere anche
sornione. Si è appena conclusa una crisi politica in Italia aperta e chiusa da
tre democristiani, di tre generazioni, Mattarella, Casini, Conte, mentre l’opinione
pubblica si pensa alla Terza Repubblica. Questo è anzi più nella sua natura,
d’imporsi senza mostrarsi - esibirsi, fare violenza.
Storia – “La Storia è
sempre e anzitutto una scelta, e i limiti di questa scelta”, R.Barthes, “Il
grado zero della scrittura”.
La
storia è narrazione. E quindi scelta, il linguaggio non è innocente: è
impostazione, vagliatura, brillatura, ritmo, effetto. Personalizzati. Tanto più
se scritta. Un esito complesso, anche non voluto: le parole hanno memoria e senso
riposti, che germogliano anche non voluti. “Lo stile è propriamente un fenomeno
d’ordine germinativo, è la trasposizione di un Umore”, sempre R.Barthes, ib.,
Ma un Umore difficilmente rilevabile in un’opera di storia, indagata,
analizzata, raccontata. Quindi tanto più insidioso.
È
la storia della verità. Di un bisogno, cioè, inafferrabile – che sempre appare
e lusinga, e poi sfugge.
zeulig@antiit.eu
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