Plaxy
Exton, inglese, e Giorgio Locatelli, lombardo, chef stellato nel loro
ristorante londinese, “La Locanda”, e giudice di Masterchef, nel 2020 apriranno
un ristorante in Montenegro. Lo chiameranno “Sabia”, nel resort di lusso One
and Only. Dove, dice lei, “faremo cucina del Sud Italia”. Le idee del Sud non
mancano, ma non al Sud.
Simenon, “Il Mediterraneo
in barca”, trova in Italia, in Sicilia, a Siracusa, dei “disoccupati prima dell’invenzione della disoccupazione”, in corsivo
a sottolineare la meraviglia: “Gente che non fa niente perché è bello non far
niente o piuttosto perché è inutile fare alcunché”. Il turismo può essere dannoso, è una vecchia
tesi.
“La
statua della giustizia, con la spada in mano e la bilancia da pesar i fagioli,
potrà forse andare come riempitivo architettonico; ma mi lascia freddo me, come
uomo, che pur si commuove all’idea di giustizia”, C.E.Gadda, “Divagazioni e
garbuglio”, p. 70.
Il “Corriere
Economia” può censire “le 250 locomotive del Veneto”, locomotive economiche. Di
un’area che era classificata “depressa” cinquant’anni fa. Che crescono “il
doppio dell’Italia”. E fatturano in media 65,3 milioni. Di tutto quello che c’era, di
attività apparentemente a scarso valore aggiunto, si è fatto un tesoro:
occhiali, scarpe, legno, maglieria, vino.
Sudisimi\sadismi
Mafie e
stupidità
Sul
“Corriere della sera” delle buone azioni, “Il bello dell’Italia”, Goffredo
Buccini protesta contro “l’infinito repertorio dei luoghi comuni sulla Calabria
( ingiusto e superficiale quanto ogni catalogo del genere)”. Non gli piace che per
Cosenza si faccia eccezione: “Ma Cosenza è diversa…”. Sotto il titolo: “La diversità
culturale che non si merita un altro caso Calabria”.
Spiega
che “Cosenza è la prova che correndo si può battere il destino. È la Calabria
possibile, la meno banale”. Poi confina Reggio nella “fossa mefitica” della
rivolta del 1970: “Non bastano a
salvarla i Bronzi di Riace, imprigionati in un museo difficile da raggiungere,
non serve la sciagurata stagione dello struscio e del cornetto alla panna
comprato da Peppe Scopelliti a costo di dissestare i conti comunali. Reggio era
e resta la porta d’affari della Locride in cui il boss Paolo Di Stefano uscendo
di galera nell’80, fa il giro dei negozi per pagare le scarpe che i reggini s’erano
comprati «a nome della famiglia» mentre lui stava dentro: 60 milioni di
lirette, giusto per dire al figliolo ed erede «da oggi chisti camminano sulle
scarpe nostre»”.
Criptico,
in fatto di cornetti alla pana e struscio, ma chiaro. Che le mafie siano affare
di stupidità, a questa bisognava pensarci.
Le donne del Sud
Non
è più in uso ma il fantasma ne è sempre invadente della “donna del Sud”, dello
stereotipo. Muta, inerte, inesistente, dopo aver fatto dieci o venti figli, e avvolta
in teli neri. Si procede perciò con sorpresa, scorrendo una biografia di
Campanella, che tra l’altro era un frate, domenicano, quindi piuttosto rigido
in fatto di comunione delle anime, nonché filosofo, politicante, carcerato praticamente
a vita, che vivesse tra le donne, non anonime, nel Cinque-Seicento. Intanto le
sorelle, che erano numerose, ma tutte con un nome – un carattere. Anche la madre
ha un nome e una sua storia: era Caterina Martello di Basile, e venne da un
paese vicino a Stilo, per sposarvi uno “scarparo”. Delle quattro sorelle due si
sposarono, Lucrezia e Giulia, Costanza si fece anch’essa monaca, fu badessa, e scrisse poesie, Emilia,
che Tommaso ricorderà più volte, “una sibilla”, aveva le visioni e soffriva di
epilessia.
In
fatto di visioni un’altra donna è importante per Campanella, di cui però non dà
il nome: è la “maga di Stignano”, come la chiama in “Del senso delle cose e
della magia”, paese vicino a Stilo, che lo ha iniziato ai misteri della magia.
A
San Giorgio Morgeto, il convento dove fu avviato dopo il noviziato per
studiarvi la filosofia, divenne il protetto di Isabella Del Tufo, gentildonna
napoletana moglie del feudatario dei luoghi Giacomo II Milano, che col fratello
Mario Del Tufo lo ospiterà Napoli quale precettore. Con Mario Del Tufo sarà
anche nei di lui possedimenti a Minervino Murge,dove consolerà e studierà le “tarantolate”,
il fenomeno del tarantismo.
Nella
primavera-estate del 1599, nei preparativi per la rivolta della Calabria contro
gli spagnoli, fu in rapporti stretti con Dianora Toraldo, vedova di Mario
Galeota, signora di Monasterace, della marchesa Beatrice d’Aragona e sua figlia
Isabella nel castello di Arena, e di donna Dianora Santaguida a Santa Caterina.
Un’altra
Dianora, nome scelto dalla monaca di casa Eleonora Barisana, lo accudirà in
carcere al Castelnuovo di Napoli dal 1603, con libri, manoscritti, carta,
inchiostri. Forse ci fu dell’altro, e comunque la Barisana si meritò alcuni sonetti.
Non fu la sola, altre donne aiutarono Campanella nel carcere di Napoli e si meritarono
sonetti e ringraziamenti. Soprattutto una “Florida”, Giulia Gentile da
Barletta. Orsola Benincasa ricorre la prima volta come destinataria di un
sonetto di Campanella. “Alla signora Maria” è un sonetto dedicato a Maria Spìnola
Centurione, degli Spìnola genovesi, i banchieri creditori della corte
napoletana. Donna Ippolita Cavaniglia fu la maggiore benefattrice, figlia di
Garzia Cavaniglia conte di Montella. Una “donna Olimpia” è anche menzionata. E
la stessa moglie del castellano di Castelnuovo Alonso de Mendoza, donna Anna de
Mendoza.
Di
suo, Campanella farà nella “Città del sole” largo spazio alle donne, in condizioni
di eguaglianza. Nella “Philosophia sensibus demonstrata” spingendosi a esaltare
le donne eminenti dell’antichità, proprio nella sua Calabria: la poetessa
Nosside, di Locri, e le filosofe Teano, dalla scuola pitagorica, forse moglie
dello stesso Pitagora, Filtide, e Timica, moglie di Millia.
In
generale, nei tanti scritti Campanella solo
stigmatizza delle donne gli eccessi nell’abbigliamento e i cosmetici. In questo
contesto valorizzando le donne che in Calabria, come sintetizza un suo
biografo, “non hanno spessi sandali né belletti né ozio, sono alte di statura,
agili, robuste, vivaci nei movimenti, nei colori, nella voce”.
Sicilia
Ha fama di cattiva amministrazione. Ma colpisce nella Sicilia
di Angela in tv la cura per palazzi, chiese, giardini, piazze, monumenti. La
cura pubblica, di manufatti non più accudibili dalle vecchie proprietà ma sempre
recuperati. Per le più diverse esigenze moderne, comunque ben temuti.
Colpisce la continuità: dei centri urbani, della memoria, del
gusto.
Colpisce anche la quantità e la qualità di questi manufatti.
Che si liquidano democraticamente come sangue cavato alla povera gente. Ma non
c’era in Sicilia uno sfruttamento speciale rispetto a un bracciante padano. La diversità
sta nel gusto.
Anche nella scelta dei materiali e nelle tecniche costruttive,
se gli agglomerati urbani, anche non monumentali, sono durati attraverso i
terremoti.
C’è costernazione tra i grandi magistrati siciliani a Roma,
Pignatone e Prestipino, perché la loro Mafia Capitale è stata derubricata dai
tribunali. Se non è mafia non è delitto?
La Sicilia è diventata quello che
volevano diventasse. Un segno di forza questo invece non è.
Ercole Patti è
scrittore apprezzato da Soldati: “Catanese, scrittore squisito, affascinante e
mai abbastanza ammirato” (“Nuovi racconti del Maresciallo”, Patti era morto nel
1976). Premiato al Campiello, soggettista e sceneggiatore di film rinomati, “Un
amore a Roma”. “L’amore difficile”, “Un bellissimo novembre”, “La seduzione”. Ignorato
dalla vasta pubblicistica siciliana.
La pubblicistica siciliana è vasta, costante nei secoli alto
livello, e di molteplici interessi: storia, folclore, filosofia, poesia, diritto,
economia. Ma è ferma dal dopoguerra, dal cosiddetto secondo Novecento, che è
ormai quasi un secolo, all’asse agrigentino: Pirandello, Sciascia (con un varco,
modesto, al catanese Brancati, professore intravisto al ginnasio), e ora Camilleri. Attorno
all’essere-non-essere, e al “traggediaturi”, mentre la Sicilia è tante cose: fantastica,
positiva, comica, erutita.
Lo Stato-Mafia è un ritorno alla camilleriana “bolla di
componenda”. Treccani non la registra, neanche il Battaglia. Wykipedia la registra
parco, dopo Camilleri: “I Componenda sono
accordi o transazioni informali finalizzati a risolvere un contenzioso
tra le parti, una sorta di accordo stragiudiziale losco, non legale e non
riconosciuto dall’ordinamento giuridico. Secondo Andrea Camilleri erano in uso
in Sicilia”. “Traggediare” piace.
“Tutto ciò che
appartiene alla Sicilia finisce sempre per iscriversi in un tono sopra le righe,
rivela sempre una natura densa, eterogenea, mescolata e fusa, violenta e raffinata insieme…”
– Mario Soldati, “Nuovi racconti del Maresciallo”.
Vittorio Bersezio, “Le miserie del signor Travet”, che
Soldati ricorda subito appresso, nel racconto “Travet”, ne faceva ancora un
luogo di punizione: “Oh mi provr’om! I sun ruinà, i sun disperà… A veulu mia mort…
Ah, sur Comendatur, elu vera l’on c’ha ma dime adess ‘l Cap Sessiun?... A veulu
mandeme an Sicilia mi? Ma tant a’ vaò’ c’a ‘m büto adiritüra an mes d’na strà e
c’a ‘m diuch’i chërpa lì Cuma ‘n can!”.
“Durante la guerra del ’15-18 il maggior numero d renitenti
alla leva (mi rifaccio a documenti dello stato maggiore) e di disertori fu
riscontrato fra i contadini soldati che provenivano dal Sud,specialmente
siciliani e calabresi, i quali non capivano perché dovessero andare a difendere
i cavolfiori dei contadino del Nord”, Camilleri, “Come la penso”, 210. A
morire.
leuzzi@antiit.eu
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