mercoledì 23 ottobre 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (406)

Giuseppe Leuzzi


Plaxy Exton, inglese, e Giorgio Locatelli, lombardo, chef stellato nel loro ristorante londinese, “La Locanda”, e giudice di Masterchef, nel 2020 apriranno un ristorante in Montenegro. Lo chiameranno “Sabia”, nel resort di lusso One and Only. Dove, dice lei, “faremo cucina del Sud Italia”. Le idee del Sud non mancano, ma non al Sud.

Simenon, “Il Mediterraneo in barca”, trova in Italia, in Sicilia, a Siracusa, dei “disoccupati prima dell’invenzione della disoccupazione”, in corsivo a sottolineare la meraviglia: “Gente che non fa niente perché è bello non far niente o piuttosto perché è inutile fare alcunché”.  Il turismo può essere dannoso, è una vecchia tesi.

“La statua della giustizia, con la spada in mano e la bilancia da pesar i fagioli, potrà forse andare come riempitivo architettonico; ma mi lascia freddo me, come uomo, che pur si commuove all’idea di giustizia”, C.E.Gadda, “Divagazioni e garbuglio”, p. 70.

Il “Corriere Economia” può censire “le 250 locomotive del Veneto”, locomotive economiche. Di un’area che era classificata “depressa” cinquant’anni fa. Che crescono “il doppio dell’Italia”. E fatturano in media 65,3  milioni. Di tutto quello che c’era, di attività apparentemente a scarso valore aggiunto, si è fatto un tesoro: occhiali, scarpe, legno, maglieria, vino.

Sudisimi\sadismi
Mafie e stupidità
Sul “Corriere della sera” delle buone azioni, “Il bello dell’Italia”, Goffredo Buccini protesta contro “l’infinito repertorio dei luoghi comuni sulla Calabria ( ingiusto e superficiale quanto ogni catalogo del genere)”. Non gli piace che per Cosenza si faccia eccezione: “Ma Cosenza è diversa…”. Sotto il titolo: “La diversità culturale che non si merita un altro caso Calabria”.
Spiega che “Cosenza è la prova che correndo si può battere il destino. È la Calabria possibile, la meno banale”. Poi confina Reggio nella “fossa mefitica” della rivolta del 1970: “Non bastano a  salvarla i Bronzi di Riace, imprigionati in un museo difficile da raggiungere, non serve la sciagurata stagione dello struscio e del cornetto alla panna comprato da Peppe Scopelliti a costo di dissestare i conti comunali. Reggio era e resta la porta d’affari della Locride in cui il boss Paolo Di Stefano uscendo di galera nell’80, fa il giro dei negozi per pagare le scarpe che i reggini s’erano comprati «a nome della famiglia» mentre lui stava dentro: 60 milioni di lirette, giusto per dire al figliolo ed erede «da oggi chisti camminano sulle scarpe nostre»”.
Criptico, in fatto di cornetti alla pana e struscio, ma chiaro. Che le mafie siano affare di stupidità, a questa bisognava pensarci.

Le donne del Sud
Non è più in uso ma il fantasma ne è sempre invadente della “donna del Sud”, dello stereotipo. Muta, inerte, inesistente, dopo aver fatto dieci o venti figli, e avvolta in teli neri. Si procede perciò con sorpresa, scorrendo una biografia di Campanella, che tra l’altro era un frate, domenicano, quindi piuttosto rigido in fatto di comunione delle anime, nonché filosofo, politicante, carcerato praticamente a vita, che vivesse tra le donne, non anonime, nel Cinque-Seicento. Intanto le sorelle, che erano numerose, ma tutte con un nome – un carattere. Anche la madre ha un nome e una sua storia: era Caterina Martello di Basile, e venne da un paese vicino a Stilo, per sposarvi uno “scarparo”. Delle quattro sorelle due si sposarono, Lucrezia e Giulia, Costanza si fece anch’essa  monaca, fu badessa, e scrisse poesie, Emilia, che Tommaso ricorderà più volte, “una sibilla”, aveva le visioni e soffriva di epilessia.
In fatto di visioni un’altra donna è importante per Campanella, di cui però non dà il nome: è la “maga di Stignano”, come la chiama in “Del senso delle cose e della magia”, paese vicino a Stilo, che lo ha iniziato ai misteri della magia.
A San Giorgio Morgeto, il convento dove fu avviato dopo il noviziato per studiarvi la filosofia, divenne il protetto di Isabella Del Tufo, gentildonna napoletana moglie del feudatario dei luoghi Giacomo II Milano, che col fratello Mario Del Tufo lo ospiterà Napoli quale precettore. Con Mario Del Tufo sarà anche nei di lui possedimenti a Minervino Murge,dove consolerà e studierà le “tarantolate”, il fenomeno del tarantismo.
Nella primavera-estate del 1599, nei preparativi per la rivolta della Calabria contro gli spagnoli, fu in rapporti stretti con Dianora Toraldo, vedova di Mario Galeota, signora di Monasterace, della marchesa Beatrice d’Aragona e sua figlia Isabella nel castello di Arena, e di donna Dianora Santaguida a Santa Caterina.
Un’altra Dianora, nome scelto dalla monaca di casa Eleonora Barisana, lo accudirà in carcere al Castelnuovo di Napoli dal 1603, con libri, manoscritti, carta, inchiostri. Forse ci fu dell’altro, e comunque la Barisana si meritò alcuni sonetti. Non fu la sola, altre donne aiutarono Campanella nel carcere di Napoli e si meritarono sonetti e ringraziamenti. Soprattutto una “Florida”, Giulia Gentile da Barletta. Orsola Benincasa ricorre la prima volta come destinataria di un sonetto di Campanella. “Alla signora Maria” è un sonetto dedicato a Maria Spìnola Centurione, degli Spìnola genovesi, i banchieri creditori della corte napoletana. Donna Ippolita Cavaniglia fu la maggiore benefattrice, figlia di Garzia Cavaniglia conte di Montella. Una “donna Olimpia” è anche menzionata. E la stessa moglie del castellano di Castelnuovo Alonso de Mendoza, donna Anna de Mendoza.
Di suo, Campanella farà nella “Città del sole” largo spazio alle donne, in condizioni di eguaglianza. Nella “Philosophia sensibus demonstrata” spingendosi a esaltare le donne eminenti dell’antichità, proprio nella sua Calabria: la poetessa Nosside, di Locri, e le filosofe Teano, dalla scuola pitagorica, forse moglie dello stesso Pitagora, Filtide, e Timica, moglie di Millia.
In generale, nei tanti scritti Campanella  solo stigmatizza delle donne gli eccessi nell’abbigliamento e i cosmetici. In questo contesto valorizzando le donne che in Calabria, come sintetizza un suo biografo, “non hanno spessi sandali né belletti né ozio, sono alte di statura, agili, robuste, vivaci nei movimenti, nei colori, nella voce”.

Sicilia
Ha fama di cattiva amministrazione. Ma colpisce nella Sicilia di Angela in tv la cura per palazzi, chiese, giardini, piazze, monumenti. La cura pubblica, di manufatti non più accudibili dalle vecchie proprietà ma sempre recuperati. Per le più diverse esigenze moderne, comunque ben temuti.
Colpisce la continuità: dei centri urbani, della memoria, del gusto.

Colpisce anche la quantità e la qualità di questi manufatti. Che si liquidano democraticamente come sangue cavato alla povera gente. Ma non c’era in Sicilia uno sfruttamento speciale rispetto a un bracciante padano. La diversità sta nel gusto.
Anche nella scelta dei materiali e nelle tecniche costruttive, se gli agglomerati urbani, anche non monumentali, sono durati attraverso i terremoti.

C’è costernazione tra i grandi magistrati siciliani a Roma, Pignatone e Prestipino, perché la loro Mafia Capitale è stata derubricata dai tribunali. Se non è mafia non è delitto?

La Sicilia è diventata quello che volevano diventasse. Un segno di forza questo invece non è.

Ercole Patti è scrittore apprezzato da Soldati: “Catanese, scrittore squisito, affascinante e mai abbastanza ammirato” (“Nuovi racconti del Maresciallo”, Patti era morto nel 1976). Premiato al Campiello, soggettista e sceneggiatore di film rinomati, “Un amore a Roma”. “L’amore difficile”, “Un bellissimo novembre”, “La seduzione”. Ignorato dalla vasta pubblicistica siciliana.

La pubblicistica siciliana è vasta, costante nei secoli alto livello, e di molteplici interessi: storia, folclore, filosofia, poesia, diritto, economia. Ma è ferma dal dopoguerra, dal cosiddetto secondo Novecento, che è ormai quasi un secolo, all’asse agrigentino: Pirandello, Sciascia (con un varco, modesto, al catanese Brancati, professore intravisto al ginnasio), e ora Camilleri. Attorno all’essere-non-essere, e al “traggediaturi”, mentre la Sicilia è tante cose: fantastica, positiva, comica, erutita.   

Lo Stato-Mafia è un ritorno alla camilleriana “bolla di componenda”. Treccani non la registra, neanche il Battaglia. Wykipedia la registra parco, dopo Camilleri: “I Componenda sono accordi o transazioni informali finalizzati a risolvere un contenzioso tra le parti, una sorta di accordo stragiudiziale losco, non legale e non riconosciuto dall’ordinamento giuridico. Secondo Andrea Camilleri erano in uso in Sicilia”. “Traggediare” piace.
 “Tutto ciò che appartiene alla Sicilia finisce sempre per iscriversi in un tono sopra le righe,  rivela sempre una natura densa, eterogenea,  mescolata e fusa, violenta e raffinata insieme…” – Mario Soldati, “Nuovi racconti del Maresciallo”.

Vittorio Bersezio, “Le miserie del signor Travet”, che Soldati ricorda subito appresso, nel racconto “Travet”, ne faceva ancora un luogo di punizione: “Oh mi provr’om! I sun ruinà, i sun disperà… A veulu mia mort… Ah, sur Comendatur, elu vera l’on c’ha ma dime adess ‘l Cap Sessiun?... A veulu mandeme an Sicilia mi? Ma tant a’ vaò’ c’a ‘m büto adiritüra an mes d’na strà e c’a ‘m diuch’i chërpa lì Cuma ‘n can!”.

“Durante la guerra del ’15-18 il maggior numero d renitenti alla leva (mi rifaccio a documenti dello stato maggiore) e di disertori fu riscontrato fra i contadini soldati che provenivano dal Sud,specialmente siciliani e calabresi, i quali non capivano perché dovessero andare a difendere i cavolfiori dei contadino del Nord”, Camilleri, “Come la penso”, 210. A morire.

leuzzi@antiit.eu

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