C’è festa grande alla Casina col cuoco di D’Alema, seppure en petit comité. Lui ha presentato lei
mentre fervevano le candidature tra gli Amici. Un saggio lungo, importante,
pensato, articolato: la spinta decisiva per la vittoria di lei.
Lei ne è esilarata. Lui è il playmaker. Ma ne è scontento.
- L’ho scritto perché lei aveva parlato male di me, ne ha parlato
a conoscenti comuni, del mio lavoro, della mia scrittura.
- Vuoi dire che hai scritto cose in cui non credi?
- La critica è esercizio supererogatorio. È gratis: c’è cosa
ci metti.
- È vero, il buon critico diventa lo scrittore. O lo
scrittore è il suo buon critico. Molto meglio Debenedetti o Macchia
dell’originale Proust, più fantasia, migliore scrittura, più corroborante,
Proust è noiosissimo.
- Sì, lo scrittore è solo un’esca, a una buona critica.
- Lo scrittore d’arte.
- Per il narratore certo è diverso.
- Lo scrittore d’accademia.
- E dunque l’abbiamo sistemata, la vendetta è consumata. Ma
non ti sento sollevato.
- Non sono tranquillo.
- Per un problema di lealtà? Di personale rettitudine?
- Si bluffa sempre, si sa, e s’imbroglia quando si scrive, è
teatro, sentimenti finti, quinte e impalcature. Non c’è uno scrittore peggiore
dell’altro, in fondo si scherza. - Nella festa è triste per la novità, per la
prima volta è insofferente: - Vedo questo trionfo, questa donna gongolante,
questa celebrazione che mi viene quasi ascritta a premio, e non m’interessa.
Ma più mi meraviglia l’atto della scrittura. Per molti anni mi ha accompagnato
ogni giorno. Un atto semplice e tonico, un ricostituente.
- Quando il rito si slabbra, anche il mito si sfilaccia.
- Credo che lei sia un po’ innamorata di me, e questo mi
disgusta.
- Vedrai che passa, basta un po’ d’aria.
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