Brennan, quarantenne professore di filosofia
all’università gesuita di Georgetown, individua tre categorie di elettori. Gli
hobbit, scarsi in politica. Gli hooligan, politicanti faziosi. I vulcaniani,
cioè noi, i belli-e-buoni della repubblica, colti, saggi. Che sono in
difficiltà, è evidente, l’ora è ai Di Maio. “L’ignoranza e la polarizzazione
degli elettori li lasciano in balìa di politici senza scrupoli, ideologi e
gruppi di interesse”, è la sintesi della sua analisi. Colpa delle rete, dell’informazione
superficiale invadente, del dominio che sulla rete esercitano pochi monopolisti,
no? Confinanti con i signori del denaro, anzi ora monetaristi in proprio. Per motivi
comunque di interesse.
Una considerazione di Brennan è interessante.
Negli Stati Uniti gli immigrati recenti che non superano un test di educazione
civica non possono iscriversi ale liste elettorali. Un test, dice che “la
maggior parte della popolazione di origine americana fallirebbe”. Ma questo è
il nodo del suffragio universale. Senza il quale non c’è democrazia. Il nodo si
scioglie con la formazione dell’opinione pubblica. E su questo gli Stati Unit,
che di fatto l’hanno inventata, sulla scia dell’Inghilterra, e ne ne fanno scudo
e bandiera, invece esprimono il peggio. L’epistocrazia di Estlung, cui Brennan
si richiama, o la subordinazione del diritto di voto alla conoscenza a questo
si richiama – la terza media ce l’abbiamo tutti.
Con prefazione di Sabino Cassese e un saggio introduttivo di Raffaele de Mucci.
Jason Brennan, Contro la democrazia, Luiss, pp. 333 €
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