martedì 8 ottobre 2019

La verità, con giudizio

A cura e con una estesa e ferrata presentazione di Andrea Tagliapietra. Che mette insieme due scritti di Kant e uno di Constant. La parte della “Metafisica dei costume” in cui si argomenta l’obbligo di dire la verità, e il saggio breve, subito famoso, “Di un preteso diritto di mentire per il bene dell’umanità”. In risposta al terzo scritto, una breve nota, “Sulle ragioni politiche”, di Benjamin Constant al debutto, a trent’anni, nella Parigi dopo la rivoluzione, che contestava l’obbligo kantiano di dire la verità anche a costo della vita.
Il precetto di Kant, che bisogna dire la verità anche se può costare la vita a qualcuno, colpevole o innocente che sia, è ridicolizzata modernamente con garbo da Woody Allen quando scriveva libri: il padrone di casa di Anna Frank avrebbe dovuto denunciarla per un imperativo morale e non per razzismo, o per soldi? Tagliapietra mette in evidenza la contraddizione filosofica di Kant, con se stesso. Che in questo caso liquida la morale in un astratto diritto, quello codificato dalle leggi, mentre il fondamento della sua concezione della morale è l’autonomia del giudizio e non il vincolo esterno: si è morali se si è autonomi e non eteronomi, semplici esecutori, non liberi. Si è morali se si è introiettato il principio di legislazione universale – c’è un “principio di legislazione universale”. Morale è l’autonomia del giudizio.
Con o senza Woody Allen, l’obbligo per sé di conformarsi alla legge è quello che ha fatto molti “boia volenterosi” in Germania con Hitler. Specie quando sono stati chiamati a renderne conto in tribunale: quelli dell’“ho obbedito”.   
Immanuel Kant, Bisogna sempre dire la verità?, Raffaello Cortina, pp. 170 € 13

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