Dei “Marginalia” che oggi
farebbero una fama e una carriera. Diminutivi, come era nel carattere schivo di
Poe – “il nonsense è il senso essenziale della Nota a margine”. Prose
giornalistiche – recensioni e elzeviri - come note a margine, di una vasta
biblioteca. Che Poe non possedeva, ma ne aveva la cultura.
Scriveva le note per bisogno,
e anche per il piacere di “vedere con chiarezza il meccanismo di qualunque
opera d’arte”. Con la chiave, forse, dei “terrori” narrativi per cui è famoso, quando
spiega la sua capacità di memorizzare le “visioni” tra sonno e veglia, I sogni,
la parte dei sogni, che si ricordano: “Sono in grado di passare di soprassalto
da quel punto alla veglia – e di trasferire in tal modo il punto stesso nel
regno della memoria – di trasmetterne le impressioni, o più esattamente le
rimembranze, a una situazione ove io possa esaminarle con occhio analitico” –
altrove annota: “Dal volume della Disperazione, rilegato in ferro”.
Pasolini
teneva un taccuino a portata di mano per segnare le “visioni” ai risvegli
notturni. Lovecraft non mancava di segnarsi gli incubi. Poe riusciva a fissare le
immagini che si accavvalano al punto del risveglio, del “sonno attivo o paradossale”,
i cinque-quindici minuti della “fase Rem”, rapid
eye movement.
È l’edizione Theoria del
1994, con la stessa traduzione, di Cristiana Mennella, e con la sempre suggestiva “nota al margine”
di Ottavio Fatica. Di cui in questo sito un suggerimento per la riedizione, due
anni e mezzo fa:
Poe è letterato di sterminata
erudizione e intuizione, in entrambe le “due culture”. È ben lui l’autore anche
di “Eureka”, il poema in prosa che Valéry poteva dire ancipatore della teoria
della relatività. A torto, ma a ragione era ben nel solco di quello che sarà il
darwinismo, con annessa teoria del Big-Bang, del mondo che ha un iniziio e che
è in evoluzione. Questi marginalia sono divaganti ma bien pondus.
Edgar Allan Poe, Marginalia, Adelphi, pp.249 € 14
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