Compleanno – “Una festa che è sempre un
po’ triste”, Federico De Roberto, “La morte dell’amore”, 83.
Dialetto – Preserva la lingua dalla globalizzazione
– Camilleri, “Cos’è un italiano?” (in “Come la Penso”): “Le radici dialettali.
Sono esse in definitiva che ancora oggi impediscono alla lingua italiana di
diventare definitivamente una colonia dell’inglese”.
Flaubert – Una didascalia avventata del
“Trovaroma” di “la Repubblica” lo fa poeta: “In una famosa lettera indirizzata
alla poetessa Louise Colet del 3 ottobre 1846, il poeta francese Gustave Flaubert…”.
Il curioso è che non fu poeta, nemmeno di un verso: si è pubblicato tutto quello
che scrisse da ragazzo, ma sono solo prose.
Come Balzac – che però cominciò a
scrivere tardi. I soli romanzieri di cui non si ha un solo verso. Con
Dostoevskij. Walter Scott debuttò da poeta, Dickens scrisse poesie per tutta la
vita. Perfino Zola ne scrisse, una anche “All’imperatrice Eugenia – Reggente”,
la vedova dell’infausto Napoleone III, a capo in esilio del partito
bonapartista.
Neanche Tolstòj ne scrisse. Ma è autore
di un aforisma molto citato: “Il misticismo senza
poesia è superstizione, e la poesia senza misticismo è prosa”.
Groenlandia – L’isola che Trump vorrebbe
comprare atterriva l’Ottocento. Michelet lo spiega in dettaglio ne “Il mare”,
al § “L’arpione”: “«Il marinaio che arriva in vista della Groenlandia non ha (dice
ingenuamente John Ross) nessun piacere a vedere queste terra». Lo credo bene”,
può aggiungere Michelet di suo, pur non essendoci mai stato: “È anzitutto una
costa di ferro, di aspetto impietoso, in cui il nero granito scosceso non
trattiene nemmeno la neve. Dappertutto altrove ghiacci. Nessuna vegetazione. Questa
terra desolata, che ci nasconde il polo, sembra un terra di morte e di fame”,
etc., per una quindicina di pagine.
Italiano – La lingua è femminile per
Michelet, che ne era entusiasta. Ne “Il mare” ha un cap. che intitola “Vita nuova delle nazioni”, in cui
celebra l’Italia, ripetendo l’elogio della lingua in questi termini: “Lingua affascinante
di donne e di bambini, così tenera, e tuttavia brillante, graziosa nello stesso
dolore. È una pioggia di lacrime e di fiori”
Il tipo ha 25 pagine di vizi per Camilleri,
“Cos’è un italiano?” (ora in “Come la penso”) - che, naturalmente, non è “italiano”.
Opera di Berlusconi, “sotto il mantello protettore di Craxi”.
Letteratura – Nel senso di scrivere, di
opera di bella scrittura, è parola di fine Settecento, nel Battaglia e nel
Petit Robert..
Michelet – Un italianista,
entusiasta. Viaggiatore spesso in Italia. Studioso del Rinascimento. Per due
volte provò anche a stabilirsi in Italia. Nel 1853-54 a Nervi, sull’Aurelia, “a
due assi al mare” - dove fece varie cure termali, soprattutto colpito da quelle
dei fanghi di Acqui. Nel 1870-71 a Firenze. Nel dicembre 1860 interrompe la
rifinitura de “Il mare”, cui aveva lavorato per un anno, per inserire un capitolo in lode
dell’Italia, appena ricomposta a unità,“Vita nuova des nations”: “La
risuscitata, l’Italia, la nostra gloriosa madre di tutti”, “Un paese da cui ci
arrivano spesso grandi notizie: nel 1300, quella di D ante; nel 1500, quella di
Amerigo; nel 1600, Galileo”, “Piccola solo in apparenza! Ma immensa per i risultati!”.
Eccetera. Soprattutto è colpito dalla capacità di mostrarsi commossi, in
pubblico: “È una cosa tutta italiana. Altrove ci si guarderebbe bene dal
mostrarsi deboli e teneri; si temerebbe il ridicolo”.
Pirandello – Alle stroncature, del
narratore e anche del commediografo, esumate da Ferdinando Taviani nel Meridiano
dei “Saggi”, Croce, Renato Serra, Contini, Garboli, Elsa Morante, Camilleri
aggiunge, nel discorso di accettazione della laurea ad honorem
dell’università di Chieti (ora in “Come la penso”, 185 segg.) Sergio Solmi e, a
lungo, Gramsci.
Croce cita nell’ennesima stroncatura,
1935, “il famoso industriale americano Henry Ford”, che invece di Pirandello si
volle fare impresario: “Io non sono competente in fatto di letteratura, però
sono dell’opinione che con lui si possa
fare un affare eccellente, ragione per cui è in me radicato il proposito di
finanziare una sua tournée in America.
Voglio dimostrare che con lui si possono guadagnare milioni”.
In quel 1935 Pirandello, un anno dopo il
Nobel, sbarcava a New York in realtà senza Ford, con progetti di cinema, anche
per l’interesse di Marlene Dietrich a portare sullo schermo “Trovarsi”, il dramma
scritto per Marta Abba. Ford aveva sponsorizzato la tournée americana di Pirandello nel 1923. Su iniziativa di
G.B.Shaw, che aveva visto a Londra i “Sei personaggi in cerca d’autore”, e
aveva provato di sua iniziativa a cercare un impresario americano. Sbarcando a
dicembre 1923 a New York, Pirandello si era ritrovato felicemente popolare: “Allo scalo ho trovato una rappresentanza
della Società Italo-Americana, di cui sono ospite”, scrisse a Marta Abba (così scrive
Camilleri, in realtà la lettera non è a M.Abba, che Pirandello conoscerà due
anni dopo) n.d.r.), “e all’uscita una folla infinita, di migliaia e migliaia di
persone, che mi hanno accolto come un sovrano con grida di evviva e applausi
strepitosi”.
Pizzuto – Ha fermato il tempo.
Nessuno più lo ricorda, l’autore di “Signorima Rosina” e altri testi che furono
la sola “produzione” delle avanguardie italiane negli ani 1960, l’ultima decade
delle avanguardie. Ma in “Signorina Rosina”, che è del 1956, rilanciato tre
anni dopo dall’editore Lerici, arguisce Camilleri in “Come la penso”, 265-6, “il
tempo lo annulla”. È il suo segreto in effetti: “Se un lettore, terminata la
lettura di «Signorina Rosina», si domandasse quale sia l’arco temporale nel
quale si svolge la vicenda, se pochi anni, una decina d’anni, oppure una vita
intera, non saprebbe darsi assolutamente una risposta, perché Pizzuto già da
questo suo primo libro, abolisce completamente la categoria del tempo. Di
conseguenza il procedimento narrativo di Pizzuto è rigorosamente non-lineare,
si dipana per azioni contigue, parallele”. È anche piatto, oltre che
disorientante
L’abolizione del tempo moltiplica e dà
rilievo al “gratuito”, dice ancora Camilleri, con Giuliano Gramigna. Ma nell’insignificanza..
Stile - Se il linguaggio è “al di qua della
letteratura”, è dato, “lo stile è quasi al di là”. R. Barthes, “Il grado zero
della scrittura”, § “Che cos’è la scrittura”, ne fa il panegirico – il primo
dopo Boileau: .“Delle immagini, un flusso, un lessico nascono dal corpo e dal passato
dello scrittore e divengono a poco a poco gli automatismi stessi della sua
arte”. Sembra ricamato su Céline, il massimo avocatore dello “stile”. Che
avrebbe sicuramente insolentito Barthes, ne avesse avuto conoscenza (è il 1953,
ma Céline leggeva ancora?). E continua con molte specifiche – tutte céliniane:
“Così, sotto il nome di stile si forma un linguaggio autarchico che non si
radica che nella mitologia personale e segreta dell’autore, in questa ipofisica
della parole (saussuriana, n.d.r), in
cui si forma la prima coppia delle parole e delle cose, in cui si installano
una volta per tutte i grandi tempi verbali della sua esistenza. Quale che sia
la sua raffinatezza, lo stile ha sempre qualche cosa di brutale…”.
Il seguito non è meno allettante: “È una
forma senza destinazione, è il prodotto di una spinta, non di un intenzione, è
come un dimensione verticale e solitaria del pensiero. I suoi riferimenti sono
al livello di una biologia e di un Passato, non di una Storia: è la «cosa»
dello scrittore, il suo splendore e la sua prigione, la sua solitudine”.
Molte altre raffinatezze Barthes rileva.
Concludendo: “Il tipo dello scrittore senza stile è Gide”, che “sfrutta il
piacere moderno di un certo ethos classico proprio come Saint-Saëns ha rifatto
Bach o Poulenc Schubert”.
Umorismo – Com’è triste Livorno, che
pure è città umorale, nel week-end dell’umorismo – del festival “Il senso del
ridicolo”. Che pure è alla quarta o quinta edizione. Con letture e conferenze
sul comico, al cinema, tra gli scrittori, anche nella moda, e nel design.
letterautore@antiit.eu
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