Austria-Vienna – Il paradiso dei mitteleuropei è rifiutato dai suoi Autori, il
Nobel Handke e il Nobel-di-tutti Bernhard , come già da Ingeborg Bachmann.
Anche l’altra Nobel, Jelinek, non è tenera. Handke e Bernhard si può supporre
per motivi personali: entrambi illegittimi, nati da madri nubili con uomini
sposati. Entrambi cresciuti con un patrigno, con la sola autorità paterna, a
distanza, del nonno materno. Bachmann e Bernhard in polemica col tiepido
antinazismo austriaco, bollato come nazismo. Handke, di madre slovena, arrivato
al punto di coltivare lo slavismo, almeno fino alla guerra contro la
Serbia, a preferenza del germanesimo. Bachmann e Handke hanno scelto di
vivere fuori dell’Austria, Bernhard in continua polemica.
Auto elettrica – Gadda si diverte,
scrivendo nel 1931, su una vecchia foto del principe di Galles, il futuro
Edoardo VII, che all’Expo di Parigi nel 1900 “siede pieno di bonomia in una
elefantesca carcassona ad accumulatori, che doveva certo raggiungere i 12 km.
orari”. Velocità ritenuta temeraria.
Balzac – Ha 2.060 personaggi, secondo un “Répertoire de la Comédie
Humaine” di Cerfberr e Christophe, citato in Pierre Abraham, “Créatures chez
Balzac”, che qualche anno dopo prendeva le misure dell’autore sotto tutti i
possibili aspetti scientifici – statistici, psicologici, etici, eccetera.
Burgess – Ha tradotto in italiano Joyce, “Finnegans Wake”, ha
cominciato a tradurlo, insieme con la moglie Liana. Ne diede l’annuncio alla
rivista “American Scholar” nel numero Inverno 1971-72: “Il nostro titolo di
lavorazione, a proposito, è pHorbiCEtta: forbicetta significa
«earwig»; si possono vedere le iniziali di Humphrey Chimpden Earwicker saltare
fuori dalla parola in tutto o in parte”; si rivolge al mondo –
orbi; è insieme papa e insetto”.
Qualche anno dopo, 1975-77, Burgess
collaborerà con Zeffirelli per “Gesù di Nazaret”.
La Fondazione Burgess conserva una
traduzione in italiano di 11 pagine. Una col titolo, “pHorbiCEtta.
James Joyce”, manoscritto e illustrato da Burgess, e forse dal figlio Andrew. Quattro pagine di prova di traduzione manoscritte, che corrispondono alla pagina
70 di “A shorter Finnegans Wake”, col dattiloscritto della stessa prova di
traduzione, con una correzione autografa. Una pagina di traduzione provvisoria,
corrispondente alla prima pagina del romanzo, con correzioni manoscritte di
Burgess. Cinque righe di traduzione della prima pagina, con correzioni
manoscritte di Liana Burgess e Anthony Burgess.
Dialetto – Ha dato i migliori risultati nella prosa novecentesca con
scrittori di cui non era la lingua madre, il romanesco di Gadda e Pasolini.
Mentre il napoletano Eduardo italianizza. E il Pirandello siciliano è stato
presto desueto – Camilleri non fa testo, il suo “siciliano” è legato a
personaggi caratterizzati del ciclo Montalbano.
Gadda nel 1954 faceva della pratica
naturale del dialetto la condizione della sua riuscita letteraria. Recensendo
l’“Hypnerotomachia Poliphili” del “trevigiano Francesco Colonna, frate, il tipo
di umanista claustrale”, “una sorta d macchinone allegorico-fantastico-sensorio
di una rara stoltezza, redatto in un italiano-latino-greco della più
strana qualità, nato dalla solitudine e dalla follia letteraria”: “La prosa del
dissennato umanista perviene (involontariamente?) ai confini della
maccheronea e del grottesco…. Ci mostra in quale «impasse» è venuto a cacciarsi
lo scrittore da tavolino che vuole inventare una lingua su documenti letterari
senza tener conto della realtà realmente linguacciuta di Padania, o
di Toscana, o di Napoli”.
Diritti – Verdi ebbe un anticipo di un milione di euro per “Otello”,
mantenendo per sé i diritti d’autore – da documenti di Casa Ricordi esposti a
New York, alla mostra “Verdi” alla Morgan Library and Museum.
Manzoni “ha fatto meno soldi
di Moravia e Pasolini e Germi e Fellini”, secondo un indispettito Gadda (ne
scrisse in tal senso a Citati il 26 luglio 1960). Indispettito contro Moravia
che aveva diminuito Manzoni presentandolo nei Millenni Einaudi. “Il Manzoni era
un signore, malato d nervi, un po’ fissato sulla cioccolata…come conservatore
ha fatto meno soldi….”.
Fenici – Sono sconosciuti a Roma. Negli stessi luoghi, il Colosseo e il
Foro Romano, dove una insistente pubblicità dice che sono celebrati in una
grande mostra. La richiesta d’informazioni a due addetti all’informazione del
Foro Romano, perfetti nelle divise, compiti al tratto, non due coatti
rivestiti, sul dove la mostra annunciata fosse visitabile ha prodotto sguardi
smarriti e non so. Non meglio è andata allo 060606, il centralino di
informazioni di Roma Capitale, solitamente servizievole. Allo 060608, il
centralino di Roma Capitale per gli spettacoli e “gli eventi”, uguale
incertezza. Dissipata all’ultimo, per caso, per aver detto “Ma sì, i Fenici, i
Cartaginesi”. L’operatrice si è allora illuminata: “Allora lei intende la
mostra Carthago”.
Scontato che l’operatore pubblico è
pagato per non lavorare, però: non deve avere la terza media?
Finnegans Wake – Fu subito indovinelli e sciarade. Mentre era ancora in mente a Joyce. Già nel 1929, mentre la scrittura era agli inizi, più programmatica che realizzata, il riferimento era a un “work in progress”, si pubblicava una corposa raccolta di saggi esplicativi, col debutto nelle lettere di Samuel Beckett. Non spessa, una ottantina di pagine, ma dal titolo finneganiano, “Our Exagmination round his factification for incamination of Work in progress”, e si avvaleva di una decina di contributi. Tra essi quelli di William Carlos Williams, Eugene Jolas, Marcel Brion, Robert McAlmond – si segnalava per l’assenza Pound, ostetrico e mallevadore dell’“Ulisse”.
Finnegans Wake – Fu subito indovinelli e sciarade. Mentre era ancora in mente a Joyce. Già nel 1929, mentre la scrittura era agli inizi, più programmatica che realizzata, il riferimento era a un “work in progress”, si pubblicava una corposa raccolta di saggi esplicativi, col debutto nelle lettere di Samuel Beckett. Non spessa, una ottantina di pagine, ma dal titolo finneganiano, “Our Exagmination round his factification for incamination of Work in progress”, e si avvaleva di una decina di contributi. Tra essi quelli di William Carlos Williams, Eugene Jolas, Marcel Brion, Robert McAlmond – si segnalava per l’assenza Pound, ostetrico e mallevadore dell’“Ulisse”.
Beckett apre la raccolta con otto pagine
sulle influenze italiane maturate da Joyce: “Dante… Bruno. Vico… Joyce”.
Il volume, tradotto nel 1964 da
Francesco Saba Sardi, con una prefazione di Sylvia Beach, era stato già
segnalato da Eco nel 1962, con la parodia “My
exagmination round his factification for incamination to reduplication with
ridecolation of a portrait of the artist as Manzoni”, in cui fa
attribuire “I promessi sposi” a Joyce – che ha poi incluso in
“Diario minimo”.
Generazione X - Lamenta
Scurati sul “Corriere della sera” “l’infecondità” della sua generazione, di
quaranta-cinquantenni, la Generazione X, oggi “padri senza figli”. Curioso
lamento in contemporanea col ritorno dei padri contro i figli, Del Vecchio e De
Benedetti. Dopo il ritorno, qualche tempo prima, di Luciano Benetton e del poi
defunto Caprotti. Di padri che si sono riprese le aziende che avevano legato ai
figli. Troppi casi per essere “casi”: l’Italia è un Paese bloccato, anche
generazionalmente. Non per colpa dei vecchi, dato che al ritorno sono migliori
dei giovani.
Giallo - “La
Lettura” si dedica al giallo. Con cinque giallisti di fama, De Giovanni,
Lucarelli, Lagercranz, Fiona Barton, Michael Connelly. Che sottolineano
ognuno una ragione del successo di pubblico di questo genere, in Italia a lungo
marginale. Ma nessuno che dica quella probabilmente più importante: la
“popolarità” dei personaggi, più che gli intrecci, anche morbosi, o gli
inquirenti, anche di peso, come Montalbano o Maigret. È il successo tv che lo
dice: i gialli sono visti da “tutti”. Perché fanno partecipare “tutti”, la
portinaia e il bifolco, il drogato e la ragazza pia. Si dice il realismo del
giallo un realismo nuovo, non il “naturalismo” fine Ottocento, alla Zola, alla
Verga. Ma in una vena ordinaria, della quotidianeità. Epico di fatto, ma dei
piccoli e ignorati.
Nievo – Gadda
ne era conoscitore e estimatore, che lo apparenta più volte a Stendhal, nelle
recensioni dei primi anni 1930 ora raccolte in “Divagazioni e garbuglio”.
Recensendo il cugino Piero Gadda, gli trova (ironicamente) patrons Stendhal
e Nievo, “i quali non sono così lontani fra di loro, almeno se si pensi a certo
Stendhal della ‘Certosa’”. Per poi dire che Piero “va avanti benissimo per
conto suo”, senza scomodare Stendhal, e senza Nievo: “Né il Nievo gli ha
prestato la sua prosa robusta, elegantissima e classica, polposa e icastica, ma
forse un po’ del suo tono e del suo clima, e di quel brio così dolcemente umano
e satirico a un tempo,e di quella così chiara aura come chi dicesse una luce
d’Italia, malinconica e serena oltre il migrare delle tempeste”.
Stendhal – “Livio e Cesare sono stendhaliani più che uno non pensi”,
C.E.Gadda (“Divagazioni e garbuglio”, 60-61). Anche se “il senso tragico ed
ossessivo della morte e dello scannamento vi domina (jam ad necem pervenerant)
e quell’altro del presente volere, opposto al destino”.
letterautore@antiit.eu
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