Non potrebbe. È un tema di cui non si parla,
e forse tabù – un dei tanti che l’infomazione si autoinfligge. Ma la Germania è
molto lontana, a sinistra e anche a destra, e nel suo intimo contraria, alle spese
militari. Per timore più che per avarizia. A settanta e più anni dalla guerra
persa, con vergogna, il ceto militare è sempre disprezzato in Germania, si riempiono i ranghi con difficoltà specie dei graduati, e le
spese per la difesa sono contenute al minimo indispensabile.
I tre paesi dell’Asse hanno reagito in
modo estremamente difforme alla sconfitta. Non se ne parla, ma è un fatto. L’Italia
con l’armistizio e la Resistenza. In Giappone il premier Abe non ha ottenuto
a fine luglio i due terzi dei deputati necessari per cambiare la Costituzione, sul punto in cui proibisce l’uso della forza
militare fuori dell’arcipelago, ma di misura. E comunque con una larga maggioranza
in un eventuale referendum sullo stesso punto, suppletivo al voto parlamentare.
La Germania considera l’impegno militare, anche soltanto in funzione di difesa,
inutile e dannoso – da mantenere giusto per gli impegni Nato.
I cancellieri del dopo riunificazione
hanno cercato per la Germania più visibilità internazionale. Più per la
Germania, e non per l’Europa. Un posto al Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’interfaccia della Russia postsovietica, in
Ucraina e nella questione energetica. Una “rappresentanza europea” in
automatico, in Turchia per i migranti, a Pechino per le tecnologie, e ora con
Washington per i dazi. Ma evitando di proposito il tema militare, della forza.
Un pacifismo, quello tedesco, doppiato
dal calcolo: si vive meglio senza
spendere troppo per le armi. Già nella Repubblica di Bonn, nella guerra fredda,
con i russi a Berlino, era forte la tendenza neutralista.
È questo il motivo per cui i progetti
europei di difesa comune non hanno mai demarrato. È un dato di fatto, compatto,
di cui non si manifestano incrinature. Con un rischio: che il militarismo non
risorga in funzione sovversiva,
nazionalista.
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