Durata – “Il nesso ineffabile dell’esistenza”, R.Barthes, “Il grado zero
della scrittura” (“La scrittura del Romanzo”). La liaison, “che è anche legame sentimentale”.
Immagini – La civiltà
(contemporaneità) si dice delle immagini – da E. Jünger a Sonntag e ora all’opinione
comune. Che però si manipolano – sono un artefatto. Si vede dove sono portate a
prova: che affermano e sconfessano indifferentemente, le stesse immagini. Nei
sogni come in foto, al cinema, in tv, sui social. Nel ricordo-ricostruzione
come in tribunale e sui campi di gioco (la moviola, il Var). Non c’è solo la
manipolazione, che presume un progetto. L’immagine è effetto di luci, e d’ombre.
E di movimento, anche quella statica. Varia col posizionamento dell’occhio
riflettente, anche video- o tele-camera, con l’illuminazione, con
l’inquadratura, col movimento, al’interno di essa e all’esterno (rallentamento,
anche minimo, accelerazione).
Forse
la verità non fa un passo indietro con le immagini, ma nemmeno un passo avanti.
Lingua – Una difesa o
una barriera? È l’una cosa e l’altra. Identificandosi con la nazione, di cui è
anzi il fondamento, limita la qualità veicolare entro confini. Erige confini,
nazionali e anche sociali – attraverso l’alfabetizzazione, l’apprendimento. La
misura in cui diventa una piattaforma, oppure una prigione, un castello assediato,
dipende dalla rigidità che (si) impone, dal grado di elasticità.
Resta
il fattore primo dell’identità, comunitaria – nazionale e sociale: uno svizzero
italiano è italiano prima che svizzero – lombardo sarebbe più giusto, ma sempre
italiano. Ma sopravvive e si rinnova per innesti, endogeni e esogeni: è la comunicazione, e
quindi si vuole curiosa, aperta.
Selfie – Va contro il romanzesco? Contro la terza persona, l’“egli” di
R.Barthes che è il perno del romanzesco. Ma è l’appropriazione del romanzo,
dell’“egli”, da parte dell’io. In una prospettiva dichiaratamente piatta, di
orizzonte rivoltato sull’io che guarda. O anche: l’io si dichiara attore in
proprio, senza più intermediazioni (finzioni). O si pretende di più, di “più
verità”, per essere presuntivamente spontaneo e non riflesso, non costruito: la
verità come spontaneità.
Il problema è – può essere – questo: che ambisce a verità. La
confessione e il ricordo si erigono fondamenti di verità.
Oggi molto più che in ogni altro tempo, la storia è dei testimoni,
di giustizia e non: ognuno recita la sua parte. I fili che s’intrecciano sono
per sé veritieri, non si valutano. La civiltà del selfie, se c’è, è una civiltà del sé. Di tessitura inesistente, o
debole – un narcisismo di bassa lega.
Si dice anche genere moderno, freudiano. È in effetti un
prolungamento (volgarizzazione) dello storione familiare di freudiana memoria.
Ma di fatto anti-freudiano, di maniera invece che di ricerca. Prodotto assemblando
le due-tre nozioni freudiane di uso comune, non l’apertura
all’inconscio\ignoto\indeterminato\ipotetico freudiano, un allargamento della
sfera del’esperienza o avventura.
I Grandi Uomini ne rifuggono. Ne hanno rifuggito in passato, non
ci sono più Grandi Uomini - è il motivo per cui oggi non ci sono più Grandi
uomini, che le memorie sono articolo obbligatorio? Cesare lo praticò a fini
politici: si scrisse gli annali delle proprie “imprese” da solo.
Storia – “È sempre e
anzitutto una scelta e i limiti di questa scelta”, R .Barthes, “Il grado zero dela
scrittura”( “Che cos’è la scrittura?”)
È
rassicurante, un energetico. “Il passato narrativo fa parte di un sistema di
sicurezza delle Belle Lettere. Immagine di un ordine”, id., “La scrittura del
Romanzo” (“romanzo e storia hanno rapporti stretti nel secolo che ha visto il loro
più grande sviluppo”). “Il passato semplice è… l’espressione di un ordine, e di
conseguenza di un’euforia. Grazie a lui, la realtà non è né misteriosa né
assurda, è chiara, quasi familiare, a ogni momento raccolta e contenuta nella
mano di un creatore; subisce la pressione ingegnosa della sua libertà. Per
tutti i grandi recitanti del XIXmo secolo, il mondo può essere patetico, ma non
è abbandonato perché è un insieme di rapporti coerenti, perché non c’è
sovrapposizione tra fatti scritti, perché
quello che lo racconta ha il potere di ricusare l’opacità e la solitudine delle
esistenze che lo compongono, perché può testimoniare a ogni frase di una
comunicazione e di una gerarchia degli atti, perché infine, è tutto dire, quegli
stessi atti possono essere ridotti a segni”.
Tribù – Richiamata in Europa in chiave nazionale, dalla rivoluzione francese
e poi nell’opinione del primo Ottocento, da Walter Scott, da Michelet. Nel
mentre che il colonialismo la deprezzava in chiave etno- antropologica. Michelet,
autore de “Il popolo”, in “La montagna” arriva a una sorta di protezionismo
biologico. Guardando le efflorescenze effervescenti dei Caraibi o delle isole
della Sonda: “Alla vera Flora francese, un po’ povera è vero ma affascinante, squisita,
sposa legittima del nostro spirito nazionale, sono succedute queste concubine
che la cultura spinge a ingrossare, a prendere i colori invadenti che la
barbarie del tempo ama”. Le erbe e gli alberi sono “mondo amabile di mutualità,
di ospitalità fraterna”. E ancora: “Com’erano degni e gravi i clan originari
dei nostri alberi e le piante dei Galli! Erano parentele, erano amicizie.
Parenti tra essi, lo erano con noi. Conoscevano e dicevano i nostri pensieri,
ci parlavano secondo i nostri bisogni”.
L’invenzione
della tradizione è opera piacevole, scovare un passato utile è pure facile –se limitato
a sé, la famiglia, il clan. Il metodo è quello di Walter Scott, il genio che
dei pastori scozzesi convertì i clan in casati, dotandoli di pedigree,
armi in forma di tartan, stendardi, inni, miti, saghe, kilt, uniformi, e i
corni ha doppiato di cornamuse berbere importate via Gibilterra, avendo per sé
scelto, per nobilitarsi, l’Inghilterra.
“Ci sono realmente cose come le nazioni”, George Orwell chiede in
“Il leone e l’unicorno”, il saggio che al tempo dell’attacco di Hitler dedicò
all’Inghilterra madrepatria, “non solo 46 milioni di individui tutti
differentissimi?” Ci sono, la risposta l’ha già data: “Col “bravo soldato che
uccide alla cieca il “nemico”. Con la abitudini di vita. Con l’aspetto fisico –
la cura, i modi. Con la lingua.
zeulig@antiit.eu
1 commento:
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