Testi brevi, di tre-quattro
cartelle, leggibili ma succosi. Di una intelligenza sommessa ma sempre all’erta. Nel 1961, “Il mercato del
nulla”, Montale sapeva, fiutava, il talk-show,
la chiacchiera invece della conversazione: “La quasi totale scomparsa della
conversazione ha fatto sì che lo scambio di idee sia diventato un genere
particolare di spettacolo”. Realista (pessimista) all’esordio, nel 1925, “Stile
e tradizione”, già sancisce “la nostra scarsa civiltà, non solo letteraria”:
“In Italia non esiste, quasi, forse non esisterà mai, una letteratura civile,
colta e popolare insieme; questa manca come e perché manca una società mediana,
un abito, un giro di consuetudini non volgari: come a dire un diffuso benessere
e comfort intellettuale senza cime ma senza vaste bassure”. Tecnico – specifico
– anche nelle divagazioni. Come la sera che si accomiata dagli amici per stare
solo, pretestando che deve scrivere a “Clizia”, e si regala radio Andorra,
l’annunciatrice della radio, “silfide che mi trasporta” etc. etc., per un
motivo semplice, da baritono coltivato: “La voce umana sembra uno strumento
musicale insuperabile solo nel caso che le parole restino un mero fantasma
sonoro. Chi ha inventato la bubbola del «recitar cantando»? Con l’apprezzamento
di Borges già nel 1959. E di Musil quando non era tradotto. Un’anteprima delle
lucciole di Pasolini nel grillo di Firenze, e il grillo di Strasburgo. E dubbi
non amletici: “E se il funghire delle psedudoidee fosse presente solo nel
disegno industriale”? Paradossale il giusto. Col famoso: “Io personalmente,
quando vado al cinematografo, non comprendo quasi nulla” – non possedendo il
linguaggio cinematografico, “un linguaggio allusive ormai alla portata di
tutti”.
Pubblicato come un libro di
narrativa, lo è per una caratteristica di Montale. Che è poeta sintetico e insomma ermetico, ma prosatore ilare e
disinvolto, che ogni occasione, un incontro, una visita, un viaggio, una lettura,
trasforma in narrazione. Attivo, vivace.
Montale pubblicò la raccolta,
un centinaio di articoli pubblicati su vari giornali tra il 1925 e il 1966, in
quest’ultimo anno. Una sorta di “mezza quaresima”, nel lungo silenzio poetico,
tra “La bufera (1956) e “Satura” (1971).
È molto Montale, ironico, anche scherzoso, in ambiente che si vuole
sentimentale o compassionevole, ma non cattivo – sa i limiti dell’intelligenza.
Un libro, stranamente, d’occasione, che è però come Montale era: autonomo e
anzi distaccato, anche nelle passioni, ma in qualch modo partecipe, in un
sorriso inteso, che accomuna. ….
Eugenio Montale, Auto da fè, Mondadori, pp. 377 € 14
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