Un viaggio nella fede, in
froma di reportage da inviato
speciale. Contro la fede. Da “oppresso, innervosito”, scorbutico, rannicchiato
nel posto assegnato del Treno Verde che porta i malati a Lourdes, e muto, “a
costo di apparire incivile”, facendosi schermo con le “Bucoliche”. Soldati
contesta il viaggio sin dalla partenza, sdegnato. Sconvolto dalla caciara, per
giunta snobistica – il Treno Verde parte da Torino. Ma sotto sotto, da uomo di
fede, forse pascaliana, sicuramente gesuitica - individuale, speciale (un po’
alla Scalfari con Bergoglio). Un duello anche con Mauriac, la sua lettura
beghina di Lourdes e dei miracoli.
La riedizione di Silvano Nigro
recupera le revisioni cui Soldati sottopose i materiali di “Lourdes”, per le
varie edizioni in cui incluse questa o quella parte del racconto (“L’amico
gesuita”, 1943 e 1979 (negli Oscar), “I racconti”, 1957, “I racconti
1927-1947”, 1961): un’applicazione di oltre trent’anni. L’introduzione del
curatore, breve, è sfolgorante: Soldati gliene sarà grato, di una lettura così
attenta. Nella seconda metà del volume, oltre e recuperare i testi dispersi di
Soldati attinenti al viaggio o alla fede, Silvano Nigro si applica con acribia,
ma senza apparente fatica, alla ricostituzione del testo “vero”, il meglio
definito da Soldati – contro i precedenti, tutti abborracciati, perfino le
riedizioni curate da Garboli, che pure ha operato per espressa volontà di
Soldati, negli Oscar e poi nei Meridiani. E ne mette in rilievo le influenze,
attraverso le citazioni: Leopardi, Pascal
e Hemingway – con riferimenti precisi, ai capp. 11 e 35 di “Addio alle
armi”. Creando un racconto del racconto, un contesto in materia di fede, di
letteratura di viaggio, di esterofilia.
Un racconto difficile per lo stesso
Soldati. Fuori anche dalle sue misure, improntate al garbo: indignato, quasi maledicente,
savonaroliano. L’“Abraam giudeo” di Boccaccio, della seconda novella del
“Decameron”, che “va in corte di Roma, e veduta la malvagità de’ chierici, torna
a Parigi e fassi cristiano”. Come a dire: se malgrado tutto questo male la
religone soravvive, dev’essere quella vera. Un racconto di moralités. Perfino di pedagogismi, dichiarati, da sindrome del
maestro di scuola, a lui pure così
estranea: come uno che volesse tenere o rimettere in piedi l’impalcatura
pericolante, se non già terremotata, della chiesa, nientedimeno.
Un corpo a corpo con la
perduta fede. Alla quale Silvano Nigro lo recupera con Pascal. Col pascaliano
“il Paradiso bisogna scommetterlo”. Che Soldati cita più volte, a proposito di
Manzoni e altri. Su questo tema recupera in appendice “Il sale della terra”,
sulla santità, e la recensione a Emilio Cecchi, “Scrittori inglesi e
americani”. Questa per lo sdegno sull’equiparazione nei gusti di Cecchi, per
lui improponibile, tra Poe, Stevenson e Conrad da una parte con Belloc e
Chesterston dall’altra. Di Chesterston non avendo nessuna stima. E semmai la
fede tra i due gruppi volendo rovesciata, fra i tre e i due: “Una tragica
alternativa di non conformismo e conformismo, di radicalismo e reazionarismo,
di audacia e prudenza, di fede e sfiducia”. Mentre “il cattolicesimo, fra gli
intellettuali di oggi, è l’ultimo rifugio dei più scettici e sfiduciati”.
Non da miscredente, Soldati
si recita salmi e versetti. Per interloquire, seppure in soliloquio, per
spiegarsi, capire.Un viaggio in se stesso, nella propria infanzia e
adolescenza, nelle quali la fede ebbe larga parte, di cui tenta di afferrare il
senso, e il peso – la religione lo riporta alla sua “triste fanciullezza”. Evoca
“la lontana angoscia della mia fanciullezza divota, quando il più grande
divertimento era servir Messa e cantare in processione..., la dolcezza delle
lunghe orazioni nelle cappelle deserte”. E si dice “con un nodo alla gola, con
un enorme peso sullo sterno, con una disperata volontà di pianto, sono lì lì
per dubitare”. Una liberazione? Una riconquista?
Prose piene di umori, come
sempre in Soldati. “Un treno di notte, se non mi distraggo, mi fa, sempre,
pensare alla morte”. La fede è un dono: “Molti credono di credere, e invece non
credono; e molti credono di non credere,
e invece credono”. Con i miracoli e senza: “Ma credere? Credere? Sono proprio necessari
i miracoli per credere?” Perché “si nasce, si vive, si muore, e non sappiamo
perché. Ma chi, almeno una volta, non ha sperato? Abbiamo forse qualche altra
verità?”
Sul piano storico,
effettuale, la conclusione la dice all’inizio: “Non i santi, purtroppo, ma i
bigotti sono la grande forza dell’attuale Chiesa cattolica”. Ma senza tragedie.
Alla seconda corrispondenza-capitolo racconta, con tratti unicamente sensuali,
un innamoramento platonico, nella sosta che il treno fa alla frontiera con la
Francia per la “visita” dei doganieri. Con il “raccontar rapido, tutto cose”, e
“il dialogar frequente” dell’elzeviro “La novella estera”, 1935, che Soldati
teorizza, seppure ironico, degli “esterofili”.
Mario Soldati, Un viaggio a Lourdes, Sellerio, pp. 154
€ 9
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