Un “viaggio” giovanile, ma
avventuroso. Tra rossi e e bianchi, rivoluzioni e controrivoluzioni, politiche,
militari e linguistiche, non esclusa qualche tenzone amorosa. Šklovskij è già a
ventiquattro anni il maturo linguista che sarà, autore nello stesso 1917 del
saggio-manifesto “L’arte come artificio”, nonché fondatore e animatore di una
Società per lo studio della lingua poetica”. Ed è rosso, è un vice-commissario
del Popolo. Ma non trinariciuto: soprattutto è curioso, e perplesso. “Viaggio”
intitola le sue note come il mentore che si è scelto, Laurence Sterne.
Il viaggio va esattamente da
febbraio 1917 a maggio 1922, dalla rivolta degli operai e soldati di
Pietroburgo all’esilio dello stesso Šklovskij in Germania, imposto dalla Cekà,
la polizia segreta sovietica, con l’accusa di “socialismo rivoluzionario”, uno
dei tanti deviazionismi - rientrerà, e vivrà in pace, ma non in accordo.
“Prima della rivoluzione ero istruttore in un
battaglione corazzato di riserva”, comincia così il “Viaggio”. Dopo è
vice-commissario politico. “E adesso vivo in mezzo agli émigrés, e anche io mi vado trasformando in un’ombra tra le ombre”.
Ma il viaggio non è politico, se non nello sfondo – il suo vuole il viaggio di
“un ago senza filo, che passa attraverso il tessuto senza lasciare traccia”, di
una zattera nel mare in tempesta, della pietra che si muove cadendo, per la
gravità. Uno che non può non vedere le atrocità che le masse contadine
commettono all’Est nel nome del bolscevismo. O il massacro dei curdi, anche
allora, dei curdi di Persia.
Uno straordinario viaggio
negli anni della rivoluzione attraverso tutto l’impero zarista, eccettuata
la Siberia, e le zone d’influenza: il
bacino del Dnepr e quello della Volga, il Caucaso, il Caspio, la Persia, e
dall’altro lato l’Ucraina, la Galizia. Non tratteggia personaggi né storie
esemplari ma dà bene il tono di quegli anni di fronti in continuo
rovesciamento. Le macchine sono Fiat. Tra gli incontri occasionali c’è un
ingegnere Kalashnikoff – che sarà generale – persona modesta. Storie, imperi,
motori, psicologie, morti, feriti, compreso se stesso. Conscio, come dice a un
certo punto, che le uniche descrizioni verosimili della guerra sono quelle di
Stendhal e di Tolstòj –la guerra raccontata è letteratura.
Un “come si vive nella
rivoluzione”. Di scrittura cubista-futurista, di piani sorprendenti, benché
ordinata, all’apparenza anzi classica – da futuro autore della “Teoria della
prosa”. E un ribaltamento pratico della teorica de “L’arte come artificio”.
La nuova edizione rifà la
traduzione di Maria Olsoufieva nel 1967, a opera di Mario Caramitti, ma il
risultato è lo stesso. Un occhio disincantato, un linguaggio asciutto. Un
narratore sacrificato alla passione linguistica.
Viktor Šklovskij, Viaggio sentimentale 1917-1922,
Adelphi, pp. 360 € 22
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