Nei due momenti, dell’errore
e poi della falsità, serpeggia l’antisemitismo. Ma qui poco: Dreyfus è un
colpevole di cui l’esercito non si vergogna, e anzi è contento, in segreto, dello
scandalo, perché è un ufficiale ebreo. Ma soprattutto campeggia la stupidità:
degli alti gradi dell’esercito, dei giudici militari, dei ministri, degli
esperti. Mentre gli ufficiali di grado inferiori, gli esecutori, si limitano a
obbedire: il tenente colonnello Picquart, che a differenza dei pari gardo si
attiene ai fatti, finisce in galera.
Una storia, dunque, e un modo
di raccontarla, non specialmente attraenti. Nessuna novità, niente sorprese,
niente contorni – la relazione dell’inquirente con una donna sposata prende due
o tre brevissime scene – e tutto in interni. Polanski, a 85 anni, non si è
sprecato: il racconto dà di seguito, senza fronzoli, sottintesi, anticipazioni,
senza nemmeno adrenalina. Dreyfus non è un eroe ma un mediocre, burocrate anche
lui: sta al suo buon diritto di innocente quasi per stolidità.
Un racconto che semplifica
molto, anche, la vera storia. L’antisemitismo nella vicenda fu feroce, ma fu
dei giornali, che qui vengono tralasciati. Il “J’accuse” di Zola che invertì il
processo non pose fine allo stesso: allo stesso Zola si fece un processo, che
lo vide condannato. Dreyfus fu poi semplicemente graziato, la revisione del
processo si fece dopo dodici anni. Questa parte c’è, ma in breve. La condanna e
l’assoluzione sono solo il frutto di due diverse maggioranze politiche, o per
essere più esatti massoniche, di due diverse confessioni. Ma questo si lascia
intendere, non si dice. In scena è una sorta di esercito del disonore. E qui sta la sorpresa: che un polpettone non sottilmente polemico, scontato, semplificato,
sia il grande successo della stagione in Francia, dove l’Armee è – era – intoccabile. Il generale
Boisdeffre – veramente Le Mouton de Boisdeffre, il montone – capo di Stato
Maggiore, è un macchietta, uno scemo. I ministri della Guerra che si succedono,
il generale Zurlinden, pieno di sé, il grasso generale Billot, il debole
Cavaignac, si lasciano fare da subordinati truffatori, e dalla stessa vera
spia, l’ufficiale Esterhazy, un francese che odia i francesi ma evidentemente
della Loggia giusta. O l’esercito non è più intoccabile, o la giustizia, anche
in Francia, se entrambi sono stupidi, e “venduti”.
Roman Polanski, L’ufficiale e la spia
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