Carducci - “Una poesia insieme
culturale e ingenua”, Montale, “Auto da fé”, 144.
Francia – Non è più la patria del
libro, anche se mantiene l’editoria più vivace e stimolante. L’anno scorso,
certifica Vigini su “La Lettura”, ha pubblicato ben 107 mila titoli, contro i 79
mila italiani, ma ne ha venduti solo per 2,6 miliardi, contro i 3,1 del mercato
librario italiano. Che pure non brilla in Europa, né per vendite totali né per
vendite pro capite, rispetto per esempio alla Germania, alla Gran Bretagna (e
alla Russia).
Furio Colombo – È “l’ecolalico Furio X” di una invettiva di
Montale, poi raccolta in “Auto da fé”, 309, a proposito dei “casi di conforto o
di sconforto, ignoti a chi li produce”. L’ecolalico Furio X, dice Montale, “se
un giorno Parise scriverà un capolavoro, ne sarà parzialmente l’autore”.
Perché, ha spiegato, “il mio amico Goffredo Parise cade in uno stato di nera
depressione tutte le volte che gli capita sott’occhio un articolo dell’ecolalico
Furio “. Aggiungendo con la nota perfidia. “Non ho letto nulla di lui, ma pare
che questo Furio sia uno di quegli agguerriti tecnocrati che sanno e prevedono
tutto, infallibili mostri dei futuri stati provvidenziali”.
Germania – “Dio misericordioso!\ Chi crede che io agogni a tornare\ al
caldo tedesco afoso,\ alla felicità da camera del tedesco ottuso!” – Nietzsche,
“Risposta”, 1884.
Lettore – È quello che fa l’autore –
non c’è autore senza lettore. Ogni opera, anche poetica, argomenta Montale in
“Variazioni V” (“Auto da fé”), è in realtà una “traduzione”, a opera dello
spettatore della messa in scena, del lettore, dell’esecutore: “Non esiste
l’arte ma solo l’esperienza estetica, la quale non ha bisogno di assoluti ma di
rapporti”.
Montale – Si faceva scrivere recensioni,
“parecchie” dice Soldati, di libri nuovi inglesi e americani da Henry Furst, il
critico di italianistica del “New York Times”, stabilito da molti anni in
Italia, dapprima tra Camogli e Recco poi a San Bartolomeo di La Spzia, che
presentava ai giornali cui collaborava come sue. Ne “scrisse” molte nel dopoguerra,
affannato, dapprima perché sprovvisto di un
impiego e di una rendita, poi perché il “Corriere della sera” gliene
chiedeva in gran numero, “cinque al mese” adduceva, “per contratto”. Mentre lui
si confessava incapace di leggere, di concentrarsi sulla lettura, di farla
spedita.
Il fatto è notorio (e consueto: non solo
a Furst Montale chiese recensioni, anche a Maria Luisa Spaziani,
successivamente, sua nuova fiamma, e si sospetta a Lucia Rodocanachi, con la
quale aveva avuto una breve storia). Confermato - pochi giorni dopo Soldati e
il “Corriere della sera” con un’anticipazione di “Rami secchi”, la raccolta di
varia di Soldati - da Marcello Staglieno, che decise di pubblicare le lettere
di Montale con le richieste, a lui confidate da Orsola Nemi, vedova di Furst, e ne dava
anticipazione al “Giornale”. Ma Soldati, che di Furst fu sempre grande amico,
anche nell’isolamento, pre- e post-bellico, fino alla morte, a Ferragosto del 1967,
racconta in “Rami secchi” di una viltà di Montale verso l’amico nel 1956,
quando, redattore del “Corriere della sera”, non aveva più bisogno del suo
aiuto “alimentare”. Dalla raccolta “La bufera e altro”, pubblicata in
quell’anno, espunse un poemetto in prosa che aveva scritto, a memoria, nel
1943, su un soggiorno che l’amico gli aveva offerto qualche tempo prima – pubblicandolo,
va aggiunto, in “Lettere d’oggi”, bimestrale a scarsa circolazione di Roma, nel
numero di marzo-aprile dello stesso anno. Lo rese noto riesumandolo per intero sul
“Corriere della sera” due anni dopo la morte di Furst, il 18 maggio 1969, e spiegandone
l’origine. L’esclusione addebitando a ragioni stilistiche: “Fino a quel tempo
io non ero autore di nulla che potesse dirsi narrativo e non avevo intenzione
di iscrivermi sotto quel’etichetta”. Soldati dice che non è una ragione valida.
Soprattutto a fronte della gioia immensa che il poemetto avrebbe dato a Furst,
uno che sopra a tutto privilegiava l’amicizia. E attribuisce l’esclusione al
rapporto un po’ truffaldino che Montale aveva intrattenuto con l’amico.
Ma
un’altra ragione è (anche) probabile: Furst era diventato un innominabile. Era
personaggio rispettato, in Italia e in Europa, ma non comodo. Rispettato da
Moravia, Mauriac e Henry Miller, oltre che da Soldati, ma pure da Pound, Drieu
La Rochelle e Ernst Jünger. “Sgradito ai fascisti”, lo dice Soldati, perché americano
e presunto omosessuale, era diventato nel dopoguerra collaboratore del
“Borghese”, il settimanale anti-sinistra. Dal tempo di Longanesi, che “Il
Borghese” aveva fondato, vi era rimasto confinato, peraltro assiduo, anche
quando il settimanale era diventato organico all’Msi.
In un lungo memoir su Montale al “Corriere della sera”, pubblicato sul
quotidiano il 12 novembre 1989 dopo l’anticipazione di Soldati, Gaetano Afeltra,
redattore capo al giornale poi, da direttore del “Corriere” pomeridiano,
inventore del Montale critico musicale, incarico che terrà per tutta la permanenza al giornale, spiega che il futuro Nobel era molto
ben trattato al giornale, da subito, con una stanza propria di fronte a quella
del direttore, ma che i primi tempi era intimidito e innervosito dalla novità,
il trasferimento a Milano, la stanza d’albergo, la redazione, e non aveva
capito che i “cinque articoli al mese” contrattuali erano una formula
ragionieristica per pagargli un certo ammontare di spettanze. Aggiunge anche, a
proposito di Furst, avendo avuto accesso alla corrispondenza che Montale aveva
indirizzato ai vari direttori e redattori influenti del giornale per farsi
assumere, che lo chiamava “il pazzo”. Così scrivendo, “il 5 dicembre 1946, a Silvio
Negro, il famoso «vaticanista» del giornale: «Caro Negro, tu sei, nel
giornalismo, una rara avis, l’avevo
già intuito parlando col ‘pazzo’…»”. Il “pazzo”, spiega Afeltra, “era lo
scrittore americano Henry Furst”, di cui tratteggia la biografia. A Padova nel
1919 per la storia dell’arte di cui era specialista, fraternizzò con Silvio
Negro. Che lo introdusse fra i suoi amici letterati, di cui “ottenne le
simpatie per intelligenza vivacità e cultura”. “Uomo estroso e generosissimo”
lo dice ancora Afeltra, raccogliendo l’aneddoto di Furst a Fiume, che una notte
in un bar, sentendo di una prostituta che va ad abortire, la prega di non
farlo. E all’obiezione della donna: “E già, me lo mantieni tu?, risponde: “Te
lo mantengo io”. “Nacque una bambina”, prosegue Afeltra, “e la mantenne
davvero. L’amico Negro le fece da padrino. Oggi è sposa e madre”. A Fiume Furst era con D’Annunzio, di cui
divenne il segretario.
Curiosamente, tra le lettere al Corriere
della sera” che Afeltra menziona, una indirizzata a Filippo Sacchi nel novembre
del 1945 vanta una speciale sensibilità di Montale per le recensioni: “Le mie
vecchie recensioni a libri di racconti, romanzi ecc., tutte fatte con stile da croniqueur, mi erano state chiese da
Croce per Laterza!”. Ma in precedenza lo stesso Afeltra, intervenendo il 25
ottobre sul “caso Furst”, testimoniava la scarsa propensione di Montale alla
lettura: “Si annoiava di leggere i libri e io lo vedevo sfogliarli sospirando e
leggendo i risvolti di copertina. I libri li annusava”, scusandolo, “ma è
quello che fanno molti recensori”.
In un racconto del 1949, “La gazza
ladra” (in “Accoppiamenti giudiziosi”), Gadda ironizza sull’amicizia
Montale-Furst parodiando un episodio avvenuto l’anno prima. Drusilla Tanzi, la
“Mosca” che Montale dopo qualche tempo sposerà, accuso Furst di averle rubato
un anello. Non era vero, ma Montale non incontrò più Furst in presenza di
Drusilla – erano gli anni in cui gli chiedeva le recensioni.
Nabokov – “Un meraviglioso
comparatista”, quale in effetti era, Montale scova Nabokov alla lettura di
“Lolita” nel 1959 (“Variazioni IV”, in “Auto da fé”): “Il russo Nabokov non ha
uno stile inglese suo, e ne è perfettamente consapevole: scrive come oggi si
deve scrivere in America per avere lettori e per poter vendere”.
Ma è farina del sacco di Montale – v.
sopra? La notazione sembra caratteristica di Furst.
Nazionalismo – Non fa bene alle nazioni?
È il caso di Barcellona, che col nazionalismo catalano ha perduto in due anni
lo status di città simbolo del cosmopolitismo, meta privilegiata del nomadismo
turistico e giovanile. È il caso anche degli Stati Uniti, dove il numero dei
visitatori esteri è rimasto praticamente stabile nei tre anni di Trump, dopo il
2016 – mentre è aumentato del 5-7 per cento altrove, in America Latina, in
Europa, in Asia.
Occidentale – Suona strano in tedesco. È politico, quasi polemico, il titolo
del primo volume dell’ultimo fluviale Habermas (millesettecento pagine in due
volumi), “Anche una storia della filosofia”: “Die okzidentale Konstellation von
Glauben und Wissen”.
Russia – È il paese europeo dove si
legge di più (tra libri e giornali): 7,5 ore mediamente a settimana, secondo i
rilevamenti a campione del settore. Al secondo posto, in Europa, viene la
Germania, con 5,7 medie settimanali, tallonata dall’Italia, 5,6 – al di sotto
della media mondiale, 6,5 ore settimanali.
“Il Sole 24 Ore”
illustra oggi la recensione di Šklovskij, “Viaggio sentimentale”, con la foto
di una manifestazione di protesta a Pietrogrado, l’attuale San Pietroburgo, il
18 giugno 1917, prima del colpo di mano bolscevico, con una folla in posa molto
ben vestita e molto “occidentalizzata”.
Übersetzerstreit, contesa dei traduttori – Se ne fanno periodicamente in Germania, di contese, la più recente
e famosa è quella degli storici, a proposito del nazismo, e una dei traduttori
non sarebbe male, dei traduttori di Heidegger. Non uno dei quali
collima con un altro anche nei “concetti fondamentali”, anzi soprattutto in
quelli. E così abbiamo tanti Heidegger quanti sono i traduttori.
Heidegger stesso aveva
posto molta cura, articolando nei suoi ultimi anni la colossale opera omnia in
120 e passa volumi, in quelli che chiama i suoi “concetti fondamentali”. Ma con
definizioni non univoche, o comunque non ali da prestarsi a essere rese in
traduzione con esattezza – si direbbe Heidegger talmente basico da restare
indefinibile, sia pure per essere pregnante.
Al Book City milanese, la fiera
libraria, l’editrice NN può proporre trenta racconti dello stesso autore
tradotti da trenta traduttori diversi (l’autore è Robert Coover).
La traduzione è una gara, fra i
traduttori. C’è chi vuole meglio, cioè significante, in lingua il testo. Chi
vuole restare fedele all’originale. Chi lo interpreta. E, nel caso di una
scienza, come la filosofia, di renderlo “aderente” all’originale. Questo,
contrariamente alle apparenze, è il metodo più insidioso: da qui la traduzione
come Streit, piccola guerra.
letterautore@antiit.eu
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