Prima di questa riedizione, i giudici Caselli e Ingroia una
ventina d’anni fa avevano riproposto la riflessione di Mosca come un relitto
del passato. Curioso: riproponevano Mosca diminuendolo per accrescere il loro
operato? Ma nel fondo probabilmente sapevano – sicuramente Ingroia, che
malgrado tutto è ben siciliano - che aveva ragione.
È impressionante anche come l’armamentario delle mafie sia rimasto
inalterato dopo un secolo e tanti cataclismi, comprese l’internazionalizzazione
dei traffici e la finanziarizzazione: l’incendio o il taglio delle piante,
l’abbattimento o il furto del bestiame, la grassazione, il ricatto, con
sequestro di persona, la violenza armata alle cose e sulle persone, a scopo
intimidatorio o dimostrativo, l’agguato. Uguale è la sordità morale
dell’accumulazione mafiosa: di violenza illimitata, ma calcolata sui codici
penali – la passione mafiosa è il calcolo.
Lo “spirito di mafia” Mosca trova anche nell’Italia del Centro –
che disprezza lo sbirro – nonché fra i “barabba” e i “gargagnan” di Torino.
Perfino fra i nobili e gli snob: “Anche nelle classi alte di buona parte
d’Europa e di tutta l’Italia un leggerissimo spirito di mafia ancora
sussiste”. Ancora: è un fatto storico, da cui le società
progressivamente si emendano. L’ambiente conta molto: c’è chi è mafioso in
paese e non lo è più in città, fuori del suo ambiente, chi è mafioso a
Palermo e non lo è più a Messina – “ciò che, se mancassero altri argomenti,
basterebbe a provare che la mafia non è effetto dell’eredità o della razza, ma
dell’ambiente in cui si vive”.
Mosca discute pure lo Stato-mafia e la corruzione etnica. Con lo
scioglimento d’autorità dei consigli comunali, come misura di prevenzione
mafiosa. Una misura d’emergenza ma non una buona strategia: “Dicono alcuni che
è necessario togliere il parlamentarismo, levare ogni autorità agli elementi
rappresentativi, perché in Sicilia sia sradicata la mafia; e scrivono e dicono
altri che è il governo che in Sicilia coltiva e mantiene la mafia, perché senza
di essa non potrebbe avere quella maggioranza di pretoriani reclutati fra i
deputati del Mezzogiorno con la quale schiaccia la rappresentanza delle regioni
più civili e colte del Nord. Credo esagerazione l’una, esagerazione l’altra. La
Sicilia non è così corrotta che la mafia sia l’unica forza elettorale viva”.
Basterebbe condannare i delinquenti.
Questo di Mosca non è un saggio. È una conferenza che tenne ne 1990
a Torino e a Milano. A commento del delitto Notarbartolo: l’assassinio nel 1893
del marchese di San Giovanni, Emanuele Notarbartolo, esponente politico della
Destra, sindaco di Palermo, direttore generale del Banco di Sicilia, da parte
di un gruppo mafioso. Del processo Notarbartolo, senza una
condanna, né dei mandanti né degli esecutori. Non per un qualche strapotere
mafioso, una cosca “non riesce a sviare il braccio della giustizia”, ma perché
il delitto è stato politico, di gruppi di potere che si sono serviti dei
mafiosi come killer.
Gaetano Mosca, Che cos’è la mafia, Aragno, pp. 58 € 12
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