“La Terra santa”, la più
densa, è memoria del manicomio: di soprusi, violenze, sofferenze, di un inferno
in realtà: l’obbrobrio del corpo, martoriato dagli elettroshock, dalla nudità,
dalle mani dei custodi, degli infermieri. “Sono regina ma fuori dal mondo\
potrei essere morta”. Il titolo mediando dalla location biblica, tra Giona e Aronne, “vicino al Giordano”, dove “il Cristo non c’era:\ dal mondo ci
aveva divelti\ come robaccia
obbrobriosa”.
La tre plaquettes confluite sotto “La Terra Santa” sono esercizi, per lo
pù, in composizione, su stili diversi – “il poeta deve provare di tutto\ prima
di poter scrivere”, nel senso dell’esperienza personale, e di quela letteraria. Un
nuovo inizio, dopo l’isolamento, ma non meno ardito, anche solforoso, di quello
che l’aveva visto poetessa prodigio nell’adolescenza. Ora anche concettualista
– “Anima circonflessa,\ circonfusa e incapace,\ anima circoncisa,\ che fai distesa nel corpo?”. Dantesca: le
“rime petrose” sono in perfetto stile. Non una poetica, però, piuttosto una
condizione-
“Destinati a Morire” è una
serie di dediche, alle figlie, agli amici, agli amori – “aspetto un compagno\
che non arriva mai\ lo aspetto per lunghe ore…”. Un paio a Quasimodo, in morte,
“padre antico, solare,\ sapiente melograno”.. “antico profeta, benedetto e
malvisto”. Due plaquettes riuniscono
composizioni occasionali: “Le satire della Ripa”, ticinese, nei navigli, dove
abitava, e “Fogli bianchi”.
Alda Merini, La Terra Santa e altre poesie, Corriere della sera, pp. € 7,90
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