“Da qualche tempo è divenuto
consueto nominare insieme Hölderlin e Nietzsche”. Si potrebbe pensare perché
entrambi sono finiti pazzi. No, è perché “(noi tedeschi) ci «chiamiamo» il
popolo dei poeti e dei pensatori – non soltanto ci chiamiamo, ma anche lo
siamo”. E giù, quando la guerra è perduta per tutti eccetto che per alcuni
tedeschi speciali, nell’autunno del 1944, un corso patriottico sulle glorie
nazionali. Con un iniziale riferimento a “noi”, i tedeschi, e “gli stranieri”.
Sempre con “il problema se noi stessi”, i tedeschi, “e come noi stessi
custodiamo questa nostra destinazione storica anche quando il corso storico ,
lungo il quale essa diviene il nostro destino, rimane ancora così velato”. Il
complesso dello sconfitto che accompagnerà Heidegger per i restanti trenta anni
di vita.
Il tema è semplice: poesia e
filosofia pari sono, l’essenza dell’uomo. “Perché, nel momento in cui trattiamo
del pensare, nominiamo improvvismente anche i poeti? I poeti sono
autenticamente dei pensatori? I pensatori sono in fondo dei poeti? Con quale
diritto li nominiamo volentieri insieme, i pensatori e i poeti? Sussiste tra i
due un’affinità eminente, ma intanto ancora nascosta, delle loro essenze?
L’affinità tra i due riposa sul fatto che il pensare è un meditare, propio come
il poetare?”
Sono le domande iniziali e il
tema del corso “per il semestre invernale 1944\45, come introduzione alla
filosofia”, spiega Heidegger in nota. E continua drammatico: “Il corso dovette
essere interrotto a metà novembre, alla seconda ora, in seguito a un intervento
del partito nazista. Solo dopo sette anni di interdizione dall’insegnamento
l’autore poté far seguire, da professore emerito, il corso «Che cosa significa
pensare?»”. Come dire: nazisti e occupanti pari sono, non amano la filosofia
(né la poesia), non amano la Germania. Ma di fatto il corso fu interrotto
perché Heidegger fu richiamato, nella territoriale – e comunque l’università il
giorno dopo era stata distrutta dai bombardamenti.
Che cosa significa pensare,
dunque. Malgrado l’albagia, e il nazionalismo di rivalsa, da pensatore tedesco,
su tedeschi, per tedeschi, Heidegger lo spiega bene. Ma se si fa la tara,
paradossalmente, dell’“autenticità”: autentico ricorre, al solito
indefinito-ibile in ogni pagina e quasi in ogni riga dela trattazione.
“Introduzione alla filosofia come conduzione al pensare autentico attraverso il
pensatore Nietzsche e il poeta Hölderlin” è il titolo completo. Partendo
dall’ovvio: “La filosofia non è ciò che pur ancora e comunque sembra essere
quella che sta a margine o addirittura al di là della vita «autentica».
Piuttosto la filosofia, in quanto pensare autentico, è la contrada – pur ancora
e comunque ignota – in cui il pensare usuale soggiorna costantemente senza
esserne esperto, e senza avere dimestichezza con essa come con la proprietà che
è stata assegnata all’essenza dell’uomo in quanto questi è il pensante”.
Il corso continua così, con
cose di senso comune. Ma che vanno dette. Specie a un corso di filosofia:
l’uomo è “il pensante”, e quindi la riflessione è il suo dominio e dovere. “L’uomo
«filosofa» in quanto è l’uomo
ri-pensante”. Ogni uomo storico lo è: “Nella misura in cui pensa il passato, il
futuro, il presente , l’uomo pensa l’essente in totale secondo tutte le
modalità dell’essere”. La filosofia è “il luogo del soggiorno per l’uomo”, se e
finché filosofa: “L’uomo storico è già nella
filosofia. L’uomo non ha bisogno di essere introdotto nella filosofia”. Ci sono
“i pensatori” perché l’uomo è “essente pensante”.
Un Heidegger didascalico – in
appendice sono riportati in fac-simile i fogli autografi che appendeva alla
bacheca con l’avviso delle lezioni (che qualcuno, nel novembnre 1944, aveva
cura di collezionare…). Anche appassionante,
nella lettura di Nietzsche – di Hölderlin nulla, solo il nome nel titolo. O del
Greco, che al solito Heidegger professa di conoscere meglio dei greci antichi:
ποιείν non è poetare, quello è latino, ma estrarre, estrinsecare, esporre. E
altre agudezas. Senza mai un
riferimento latino. Anche dove spiega la Essenz
di Nietzsche: “È l’abbreviazione del nome di un concetto fondamentale della
metafisica occidentale: essentia”. Wesen è essentia – p. 111. Id. per factum,
117. E le veritates essentiae e le veritates
facti, 121- dove si troveranno le veritates,
l’essentia e il factum alle matricole tedesche non è dato sapere. Con
l’appesantimento anche qui della
specialità di Heidegger, il nazionalismo. Sia pure nella forma strapaese e non
nazista, imperialista.
Perché Nietzsche e Hölderlin
e non Kant e Goethe? Se lo chiede lo
stesso Haidegger. E si risponde: perché Nietzsche, come già Platone, “poeta i
suoi «miti»”. Con “l’eterno ritorno dell’uguale”, che lui stesso dice “il
pensiero dei pensieri”. Nietzsche “ha poetato la figura di Zarathustra”. E “mai
in precedenza, in nessun luogo, nel pensare della metafisica occidentale è
stata poetata una figura”. E così via.
Poesia e filosofia si
potrebbe argomentare meglio. Anche solo intuitivamente. Ma senza i primati.
A cura di Vincenzo Cicero,
che fornisce una traduzione precisa (significante: a fronte del testo
originale) e agile-leggibile. E un ottimo glossario-antologia delle parole
chiave di Heidegger, le “parole fondamentali”, i Grundworte - in aggiunta a quello della sua traduzione di
“Holzwege”, il libro della “svolta”, 1950, “Sentieri interrotti”, da lui
tradotto per questa stessa collana Bompiani Testi a fronte “Sentieri erranti
nella selva”. Per un bisogno che anche lui, traduttore di Heidegger
sperimentato, sente: “Heidegger gioca con le parole, continuamente, talora
quasi compulsivamente”. La verità è di difficile accesso, presso uno stesso
filosofo – la verità del filosofo.
Tutto a un certo punto è Grund in Heidegger, basico – ha un “Concetti fondamentali” (Grundbegriffe), “I fondamenti della
filosofia”, et al., così organizzati, con questi titoli, nella epica opera omnia
da lui stesso avviata (ordinata) cinquant’anni fa. Ma talmente basico da
restare indefinibile? Fra tutti I traduttori di Heidegger Cicero è il più
inventive, ma a costo dell’insignificanza: le sue “parole chiave” sono poco o
nulla significative. Non è un caso, non è il solo.
Il glossario di Cicero è
speciale in quanto fa capire – indirettamente ma in dettaglio – che Heidegger
si vuole incomprensibile. I traduttori di Heidegger hanno bisogno di corredare
le traduzioni di glossari, anche Franco Volpi (per “Segnavia”). Dei quali non
uno concincide con quello di un altro: Heidegger è una sfida, una gara
ermeneutica, soprattutto fra traduttori. D’altra parte, leggerlo in originale
semplifica, ma non del tutto, i rovelli erstano.
Martin Heidegger, Introduzione
alla filosofia. Pensare e poetare, Bompiani, pp.233 € 15
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