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lunedì 4 novembre 2019

Pensare è poetare, in salsa tedesca

“Da qualche tempo è divenuto consueto nominare insieme Hölderlin e Nietzsche”. Si potrebbe pensare perché entrambi sono finiti pazzi. No, è perché “(noi tedeschi) ci «chiamiamo» il popolo dei poeti e dei pensatori – non soltanto ci chiamiamo, ma anche lo siamo”. E giù, quando la guerra è perduta per tutti eccetto che per alcuni tedeschi speciali, nell’autunno del 1944, un corso patriottico sulle glorie nazionali. Con un iniziale riferimento a “noi”, i tedeschi, e “gli stranieri”. Sempre con “il problema se noi stessi”, i tedeschi, “e come noi stessi custodiamo questa nostra destinazione storica anche quando il corso storico , lungo il quale essa diviene il nostro destino, rimane ancora così velato”. Il complesso dello sconfitto che accompagnerà Heidegger per i restanti trenta anni di vita.
Il tema è semplice: poesia e filosofia pari sono, l’essenza dell’uomo. “Perché, nel momento in cui trattiamo del pensare, nominiamo improvvismente anche i poeti? I poeti sono autenticamente dei pensatori? I pensatori sono in fondo dei poeti? Con quale diritto li nominiamo volentieri insieme, i pensatori e i poeti? Sussiste tra i due un’affinità eminente, ma intanto ancora nascosta, delle loro essenze? L’affinità tra i due riposa sul fatto che il pensare è un meditare, propio come il poetare?”
Sono le domande iniziali e il tema del corso “per il semestre invernale 1944\45, come introduzione alla filosofia”, spiega Heidegger in nota. E continua drammatico: “Il corso dovette essere interrotto a metà novembre, alla seconda ora, in seguito a un intervento del partito nazista. Solo dopo sette anni di interdizione dall’insegnamento l’autore poté far seguire, da professore emerito, il corso «Che cosa significa pensare?»”. Come dire: nazisti e occupanti pari sono, non amano la filosofia (né la poesia), non amano la Germania. Ma di fatto il corso fu interrotto perché Heidegger fu richiamato, nella territoriale – e comunque l’università il giorno dopo era stata distrutta dai bombardamenti.
Che cosa significa pensare, dunque. Malgrado l’albagia, e il nazionalismo di rivalsa, da pensatore tedesco, su tedeschi, per tedeschi, Heidegger lo spiega bene. Ma se si fa la tara, paradossalmente, dell’“autenticità”: autentico ricorre, al solito indefinito-ibile in ogni pagina e quasi in ogni riga dela trattazione. “Introduzione alla filosofia come conduzione al pensare autentico attraverso il pensatore Nietzsche e il poeta Hölderlin” è il titolo completo. Partendo dall’ovvio: “La filosofia non è ciò che pur ancora e comunque sembra essere quella che sta a margine o addirittura al di là della vita «autentica». Piuttosto la filosofia, in quanto pensare autentico, è la contrada – pur ancora e comunque ignota – in cui il pensare usuale soggiorna costantemente senza esserne esperto, e senza avere dimestichezza con essa come con la proprietà che è stata assegnata all’essenza dell’uomo in quanto questi è il pensante”.
Il corso continua così, con cose di senso comune. Ma che vanno dette. Specie a un corso di filosofia: l’uomo è “il pensante”, e quindi la riflessione è il suo dominio e dovere. “L’uomo «filosofa» in quanto è l’uomo ri-pensante”. Ogni uomo storico lo è: “Nella misura in cui pensa il passato, il futuro, il presente , l’uomo pensa l’essente in totale secondo tutte le modalità dell’essere”. La filosofia è “il luogo del soggiorno per l’uomo”, se e finché filosofa: “L’uomo storico è già nella filosofia. L’uomo non ha bisogno di essere introdotto nella filosofia”. Ci sono “i pensatori” perché l’uomo è “essente pensante”.
Un Heidegger didascalico – in appendice sono riportati in fac-simile i fogli autografi che appendeva alla bacheca con l’avviso delle lezioni (che qualcuno, nel novembnre 1944, aveva cura di collezionare…).  Anche appassionante, nella lettura di Nietzsche – di Hölderlin nulla, solo il nome nel titolo. O del Greco, che al solito Heidegger professa di conoscere meglio dei greci antichi: ποιείν non è poetare, quello è latino, ma estrarre, estrinsecare, esporre. E altre agudezas. Senza mai un riferimento latino. Anche dove spiega la Essenz di Nietzsche: “È l’abbreviazione del nome di un concetto fondamentale della metafisica occidentale: essentia”. Wesen è essentia – p. 111. Id. per factum, 117. E le veritates essentiae  e le veritates facti, 121- dove si troveranno le veritates, l’essentia e il factum alle matricole tedesche non è dato sapere. Con l’appesantimento anche qui  della specialità di Heidegger, il nazionalismo. Sia pure nella forma strapaese e non nazista, imperialista. 
Perché Nietzsche e Hölderlin e non  Kant e Goethe? Se lo chiede lo stesso Haidegger. E si risponde: perché Nietzsche, come già Platone, “poeta i suoi «miti»”. Con “l’eterno ritorno dell’uguale”, che lui stesso dice “il pensiero dei pensieri”. Nietzsche “ha poetato la figura di Zarathustra”. E “mai in precedenza, in nessun luogo, nel pensare della metafisica occidentale è stata poetata una figura”. E così via.
Poesia e filosofia si potrebbe argomentare meglio. Anche solo intuitivamente. Ma senza i primati.
A cura di Vincenzo Cicero, che fornisce una traduzione precisa (significante: a fronte del testo originale) e agile-leggibile. E un ottimo glossario-antologia delle parole chiave di Heidegger, le “parole fondamentali”, i Grundworte - in aggiunta a quello della sua traduzione di “Holzwege”, il libro della “svolta”, 1950, “Sentieri interrotti”, da lui tradotto per questa stessa collana Bompiani Testi a fronte “Sentieri erranti nella selva”. Per un bisogno che anche lui, traduttore di Heidegger sperimentato, sente: “Heidegger gioca con le parole, continuamente, talora quasi compulsivamente”. La verità è di difficile accesso, presso uno stesso filosofo – la verità del filosofo.
Tutto a un certo punto è Grund in Heidegger, basico – ha un “Concetti fondamentali” (Grundbegriffe), “I fondamenti della filosofia”, et al., così organizzati, con questi titoli, nella epica opera omnia da lui stesso avviata (ordinata) cinquant’anni fa. Ma talmente basico da restare indefinibile? Fra tutti I traduttori di Heidegger Cicero è il più inventive, ma a costo dell’insignificanza: le sue “parole chiave” sono poco o nulla significative. Non è un caso, non è il solo.
Il glossario di Cicero è speciale in quanto fa capire – indirettamente ma in dettaglio – che Heidegger si vuole incomprensibile. I traduttori di Heidegger hanno bisogno di corredare le traduzioni di glossari, anche Franco Volpi (per “Segnavia”). Dei quali non uno concincide con quello di un altro: Heidegger è una sfida, una gara ermeneutica, soprattutto fra traduttori. D’altra parte, leggerlo in originale semplifica, ma non del tutto, i rovelli erstano.  
Martin Heidegger, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, Bompiani, pp.233 € 15



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