È la vecchia raccolta di
lettere e saggi a e su Joyce di Ezra Pound, grande promotore, se non inventore,
dell’autore dell’“Ulisse”, a cura di Forrest Read, irlandese di Belfast,
apronata presumibilmente negli anni 1940 – Read è morto nel 1947. Pubblicata da
New Directions nel 1967, tradotta per Rizzoli da Ruggero Bianchi nel 1969,
riproposta da SE nel 1989. Con una nuova traduzione, di Antonio Bibbò, e una
introduzione di Terrinoni, il joyciano animatore della riscrittura di
“Finnegans Wake” in italiano.
Lettere formidabilmente
vivaci. Piene di consigli editoriali e tagli per l’“Ulisse”. L’amicizia fu
particolarmemte stretta negli anni 1910 e i primi 1920, della “nascita” di
Joyce narratore e poi dell’“Ulisse”. Tra due giocherelloni che si divertono e
divertono con la lingua, anche per dimenticare le difficoltà pratiche. Pound fa
tutto, una sorta di letteratissimo super-agente letterario: promuove Joyce, lo
fa pubblicare, lo recensisce, lo consiglia, lo stimola. Una relazione sempre a
distanza, seppure intima. Fino a diagnosticare a Joyce il “mal d’occhi” che poi
sarà accertato clinicamente – e a prescrivergli, da londra a Trieste, i colliri
giusti… Una storia di amicizia, che poi finisce. Ma piena di riferimenti per la
stria della letteratura, qualora ritornasse in vita.
Nell’inverrno del 1913 Pound,
segretario di Yeats, confinato quindi nel Sussex, compilava un’antologia di
“imagisti”, la corrente poetica che, col “vortisicmo”, lui stesso aveva
ispirato, per rinnovare la sonnolenta scena inglese, ancora post-vittoriana –
un “movimento” che annovera tra I tanti T.S .Eliot (altro beneficiario illustre
vdei “consigli” e “tagli” di Pound, al quale però, lui, resterà grato). Chiese
al suo principale se aveva dimenticato qualcuno e Yeats fece il nome di Joyce,
“un irlandese che ha scritto alcune buone poesie e ora vive a Trieste”. Pound
scrisse a Trieste per avere il permesso di antologizzare qualche poesia, e il
rapporto si stabilì stretto per una decina d’anni. Fra due stravaganti che però
facevano sul serio. Joyce ebbe da Pound incoraggiamenti costanti, la pubblicazione
di tutti i lavori che veniva via via producendo, presentazioni e recensioni
promozionali, aiuti finanziari, perfino l’assistenza medica. E il lancio alla
fine, sul mercato letterario di Parigi, dopo Joyce finì per stabilirsi dopo la
guerra, come il romanziere geniale della nuova generazione. Con il difficile,
anzi difficilissimo, “Ulisse” – un aborto senza Pound? non si può sapere ma non
si può escludere, e anzi è probabile.
L‘opinione prevalente è che Pound
è stato determinante nell’elaborazione, la presentazione e l’affermazione dell’“Ulisse”.
Dopodiché il rapporto, tanto intenso nei dieci anni fino all’uscita del
romanzo, non poté che degradarsi. In una serie di reserve da parte di Pound.
Mentre Joyce taceva. Una ragione fra le tante per cui Pound lascia Parigi, dove
aveva invitato e imposto Joyce, per l’Italia.
Non c’è molto di Joyce nella
raccolta, a parte un paio di scherzi. Al confronto dell’esuberanza e la
generosità di Pound, Joyce appare anzi riservato. Nessun interesse per l’opera
di Pound, poca rispondenza ai suoi entusiasmi, anche se riguardavano per lo più
i suoi scritti, quelli di Joyce. Joyce stave bene a Roma e a Trieste,
esuberante, benché se ne dichiarasse insoddisfatto, e poi a Parigi, in Europa,
ma aveva estraneo l’americano, benché fosse stato lui a invitarlo e imporlo a
Parigi, e malgrado la lingua comune e la comune spinta all’invenzione.
Ezra Pound, Lettere a James Joyce, Il Saggiatore,
pp. 474 € 45
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