Imperi –Si dividono in
spontanei e preordinati, programmati? Possono essere spontanei? Lo inferisce
Heidegger dalla sua contestazione della storia, in chiave assolutoria: “Vi sono
regni che durano per millenni perché il loro sussistere continua a
perpetuarsi”. L’impero dei faraoni? Altri invece, condannabili, sono costruiti:
“Un altro conto è se vengono consapevolmente pianificate dominazioni per
millenni e la garanzia del loro sussistere viene riposta nella volontà, la quale si propone come fine essenziale la durata
più lunga possibile di un ordinamento più grande possibile, formato da masse
più vaste possibili”. Questo è “l’essenza metafisica nascosta dell’età moderna
da tre secoli”: l’impero della tecnica – da Nietzsche, secondo Heidegger,
abominato.
L’argomento,
elaborato ne 1940, quando il Reich di Hitler era vittorioso, potrebbe portarsi a
discolpa di Heidegger nella questione del nazismo, suo e della sua filosofia:
si potrebbe dire l’impero “ordinato” un’allusione alla sua Germania, di Hitler?
Populismo
–
Concetto politicamente ambiguo, dovendolo situare tra “destra” e “sinistra”, ma
di forte spessore e costante ricorrenza. Ambiguo perché applicabile a
esperienze e indirizzi politici più diversi. Potenzialmente disgregativo quindi
delle categorie correnti di classificazione politica, tra destra e sinistra.
Le molte classificazioni che si operano
non lo spiegano perché si muovono nell’ambito della dicotomia invalsa nell’Otto-Novecento.
Che già allora non inquadrava correttamente lo spettro politico, delle opinioni.
C’erano elementi di destra nel populismo di sinistra a fine Ottocento, in
Russia e negli Stati Uniti, e si ha difficoltà a inquadrare il fascismo e lo
stesso nazismo come reazioni capitalistiche. Dove si colloca il
“sanculottismo”, fino ai gilets jaunes odierni?
O, oggi, il turbocapitalismo, del più volgare “arricchitevi”, a dirigenza
comunista in Cina. Mentre è probabilmente di sinistra il moderato ma
progressivo Modi in India.
Il populismo corrente in Europa, contro
i guasti del liberismo, si colloca con difficoltà a destra – una destra
anti-destra? Una polarità più rispondente alla realtà, comprensiva quindi dello
stesso populismo, sarebbe tra uguaglianza e privilegio, legge e sopraffazione,
interesse pubblico (comune, popolare) e interesse privato – al limite tra
lavoro (applicazione, impegno) e proprietà.
Il
populismo viene presentato di destra in quanto è – in Europa – sovranista, e in
genere – Usa – nazionalista. Nazionalista in senso stretto, non un nazionalismo
che sa contemperare gli interessi nazionali in contesti – e a ritorni – più
vasti: si accontenta dei benefici dell’autarchia. Ma, anche in questo quadro più
ampio, è sostanzialmente una delusione del liberalismo, dei benefici del liberalismo
e del suo corollario la globalizzazione, l’apertura al mondo. Non senza ragione,
se si guarda al modo asimmetrico di funzionare dell’Unione Europea, e alle
distorsioni della concorrenza cinese, tra furti di know-how e dumping, sociale (costo del lavoro) e
fiscale (grandi patrimoni).
Progresso – Non è finito
con le due guerre mondiali, con Hitler, con la Shoah, finisce con l’ambiente?
Il millenarismo ecologico sembra al contrario la sua più radicale affermazione:
il rifacimento della natura, a seguire al disfacimento. A opera dell’uomo,
l’uno e l’altro.
Si
dice un’ideologia. Del secolo XIXmo, dell’Ottocento. Ma resisteva, e sta
durando. Non nasce col positivismo e la socialdemocrazie, queste se ne fanno
forti, ma preesiste, e sopravvive. Dell’Ottocento è caratteristico e qualificante
il contrario, il malthusianesimo, in collegamento col darwinismo. E tuttavia,
se c’è un secolo del Progresso, è proprio l’Ottocento. Lo stesso si può dire
oggi, dell’ambientalismo da fine del mondo. Che si traduce in catastrofismo – l’ecologia
include la necessità della distruzione, la complementarietà fra riproduttori e
distruttori. Ma anche in un produttivismo non selettivo, al modo del vecchio
progressismo secondo Ottocento, di Michelet, Hugo, Zola – la sinistra francese,
che aborriva Malthus, e quindi Darwin, più malthusiano dello stesso Malthus, non
tenendo conto per le specie viventi della possibilità umana di moltiplicare le
risorse nutritive. Sul biologismo di Pouchet, “L’Hétérogénie, ou traité de la
generation sponatanée”: i “rifiuti organici” assicurano la continuità vitale.
In cui la distruzione è necessaria all’ecologia, ne è il fulcro: non ci sono
rifiuti, non devono esserci, vanno riciclati: rifiuti, resti, gli stessi morti
nella catena alimentare vegetale e animale, gli stessi escrementi nella
concimazione, tutto ciò che il vivente espelle vi ritorna e lo rialimenta.
Del catastrofismo
progressista immanente all’ecologia fa la summa Michelet al § 1, “Fecondità”,
della parte seconda de “Il mare”: “Bisogna che la natura inventi un supremo
divoratore, mangiatore ammirevole e
produttore povero, di digestione immensa e di generazione avara. Mostro
caritatevole e terribile che interrompe questo flusso invincibile di fecondità
rinascente con un grande sforzo di assorbimento, che ingurgita ogni specie
indifferentemente, i morti, i vivi,, che dico?, tutto ciò che incontra”. Lo
squalo per esempio, “il bel mangiatore
della natura, mangiatore patentato: lo
squalo… viviparo, elabora dentro di se il giovane squalo, suo erede feudale,
che nasce terribile e tutto armato”.
“I profeti, come si vede,
conservano, nei riguardi dello squalo, tutta la loro serenità, e molta indulgenza.
Questa favola ha una moralità
socialdemocratica, e come un profumo di attualità. Tuttavia, il profeta non è
un opportunista: non appartiene al momento, né alla storia come si potrebbe
credere, e nemmeno alla Natura – appartiene al Progresso”.
Storia – “È come
occuparsi di un vecchio parente povero che per decenza non si può completamente
lasciar morire”, J.Burckhardt, frammenti postumi,.
Suicidio – Un impulso
controverso, anche nelle modalità e gli effetti. Vercors, per il lancio delle sue “21
recettes pratiques de mort violente précédées d’un Petit Manuel du Parfait
Suicidé”, ingoiò un veleno,
s’impiccò a un albero lanciandosi nel vuoto sopra la Dordogna e si sparò alla
tempia, ma il salto deviò il colpo, la pallottola tagliò la corda, e il
suicidando cadde nel fiume, da cui fu tratto in salvo da un pescatore di trote,
dopo aver vomitato nell’impatto il veleno.
La bella e gentile Karoline
von Günderode si pugnalò prima di buttarsi al fiume, subito dopo essersi
scritto l’epitaffio, a venticinque anni, per un torto d’amore subito.
Lo scrittore argentino Fracisco Lopez
Merino si uccise davanti allo specchio, nella cantina del Jockey Club a La
Plata.
Si
suicidavano i soldati giapponesi nell’ultima guerra piuttosto che arrendersi –
meglio un giapponese morto che uno vivo?
Dan Brown ha l’agathusia, il “sacrificio altruistico”,
sacrificarsi per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla famiglia,
e perfino il caso dell’assassino seriale che si toglie la vita per non compiere
altri delitti. Più generosi, in questo senso, quelli della distopia “La fuga di
Logan”, dove tutti si suicidano per non
aggravare il mondo della sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno –
ma una giovinezza spensierata col senso
della fine imminente, nel film “L’età dell’eliminazione”, era innalzata a
trent’anni, per attrarre al cinema i giovani, che allora ci andavano?
“Ci
si uccide per impotenza”, dice Kafka a Janouch, per “un atto di egoismo spinto
all’assurdo”, ma è assurdo il Kafka di Janouch.
Scrivendo
a Brod invece, al solito minuzioso e argomentativo, Kafka disse unica conclusione
sensata della sua vita “non il suicidio, ma il pensiero del suicidio”. Che non
vuole dire nulla – una debolezza? - ma per lui sì: era quanto bastava per darsi
dell’incapace: “Tu che non riesci a fare nulla, vuoi fare proprio questo?”.
Gli stoici lo legano alla vita felice.
zeulig@antiit.com
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