Una storia non di riscatto ma
di fatalità. Sentimentale, giocata sul poetico: filo conduttore sono le
immagini, i sogni e i segni del Poeta – un Marcello Fonte che un’altra volta centra
al cento per cento il personaggio. Corroborata dal commento musicale di Piovani. E dal dialetto non addomesticato - recuperando il rigore filologico dei film di mafia di Coppola, e da ultimo del capolavoro di Jonas Carpignano, sulla comunità rom di Gioia Tauro. Sentita anche come ritorno alle origini, dal
regista, dallo stesso produttore - Fulvio Lucisano si è voluto produrre in un cameo all’ultima scena, del ragazzino
che sbarca in vecchiaia sulle rovine in elicottero, e trova a colpo sicuro il
quaderno del “Poeta”, la memoria - in singolare sintonia con l’ultimo
Scalfari, di “Grand Hotel Scalfari”, che ritorna alla Calabria “adesso da
vecchio, nella stagione della poesia, dell’«ora blu»”, della malinconia..
È il Poeta che celebra i sogni, quindi l’avventura.
Ma sconsolato constata pure che senza “la terra” – la memoria, la comunanza - non
siamo niente.
Un film di immagini sempre
pregne, benché semplici. Alla Pupi Avati, in ambiente agreste – “Nuovo cinema
Paradiso” è stato evocato ma questa favola non è ottimista, è della
rassegnazione, storicizzata. Con difetti purtroppo di sceneggiatura, o
montaggio. Monocromo, monocorde. Grigio e dolente, ininterrottamente. Il sole
non sorge, il sorriso non scappa. La natura che s’immagina aperta e varia,
variopinta, è invece chiusa e cupa. La maestrina volontaria di Como, l’umanità
altra che avrebbe dovuto agire da dialettica antitesi, è ridotta a poche scene,
inutile – perfino maltrattata: mendica da ultimo un bacio distratto
da un contadino in cenci, da “stordita”, il personaggio che Valeria Bruni Tedeschi si è ormai ridotta a impersonare. Il contrasto con “la Marina”, lo Stato, il nuovo, il diverso, è ridotto a poche scene di
genere, “il Prefetto”, “il Maresciallo”.
Mimmo Calopresti, Aspromonte. La terra degli ultimi
Nessun commento:
Posta un commento