Fanno campagna per la presidenza quindici
candidati nel partito Democratico – erano venti un mese fa, sei si sono
ritirati, uno si è aggiunto, Bloomberg. Con carriere politiche molto diseguali, da sindaco di paese a governatore di Stato, a senatore, all’ex
vice di Obama, Biden. Con grandi differenze di età, fra i 37 e gli 88 anni –
Sanders ne ha 78, Biden 77. Un paio miliardari, Steyer e Bloomberg. Dodici
hanno maturato il diritto a candidarsi in tv, in dibattiti serali, con lo
stesso tempo, rigidamente calcolato. Ora ridotti a sette, con esclusione dei
candidati di colore o ispanici. Tutti con ghostwriter
e biopic, cioè con un tesoretto
elettorale già nutrito.
Le campagne elettorali sono molto
dispendiose. In minima parte coperte dai partiti, e solo per i candidati
vittoriosi alle primarie. Le quali invece si combattono a spese proprie.
Hillary Clinton aveva fondi elettorali senza confronto rispetto a quelli messi
in campo dal pur miliardario Trump nel 2016 – è vero che Trump ha vinto.
Il finanziamento largo della campagna elettorale
è ritenuto prerequisito di democraticità: il miliardario Bloomberg è escluso
dai dibattiti in tv perché non vuole “donazioni”.
Quello di stanotte è il sesto dibattito
promozionale televisivo di cui i candidati Democratici ala presidente hanno
beneficiato in tre mesi. In America non c’è la par condicio.
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