Che Dante non conoscesse il
greco e i greci, se non come precursori della filosofia scolastica medievale, un
mondo soprattutto morale, in parte anche estetico, si sapeva. Come del pregiudizio - stereotipo ai suoi anni - contro la grecità. Questa raccolta, di dantisti e bizantinologi, perlustra soprattutto i collegamenti
con la grecità attraverso Bisanzio, gli studi bizantini.
Su questo convergono i primi
tre saggi. Reka Forray, “Change and continuity:
Italian Culture and Greek Learning in the Age of Dante”, fa un quadro delle opportunità
che Dante ha avuto di collegarsi alla classicità greca – con una svista: fa
Leonzio Pilato il primo maestro di greco di Petrarca nel 1342, mentre si
trattava di Barlaam da Seminara. Illuminante è il contributo di Vera von
Falkenhausen, “Greeks in Italy at the Time of Dante
(1265-1321)”, una rassegna dei punti di contatto tra le due culture, la “greca”
e la latina, nel Sud Italia, a Genova e a Venezia. Ma senza mutare il quadro complessivo:
malgrado i contatti frequenti e la presenza costante di “greci” colti in
Italia, non ci fu nessun interesse, o allora marginale, per il greco e la
cultura greca. Lo stesso nella prospettiva che Elizabeth A. Fisher rovescia, in
“Homo Byzantinus and Homo Italicus in late Thirteenth-Century
Constantinople”: la presenza di occidentali a Bisanzio e le conoscenze che a
Bisanzio si avevano della cultura latina, occidentale.
I tre saggi centrali,
di Michele Trizio, Filippo Naitana e Tedolinda Barolini trattano naturalmente
dell’aristotelismo, sia come canone e misura retorica sia come fisica e
metafisica. Con un excursus sullo Pseudo-Dionigi in Dante di Diego Sbacchi.
Due studi esaminano la “cartografia” di Dante: come Dante vedeva
lo spazio e la storia del Mediterraneo.
Nella presentazione Ziolkowski riporta la considerazione che apre
il classico di Curtius, “La letteratura europea e il Medio Evo latino”, 1948.
Omero era sconosciuto nel Medio Evo, ma “il nome bisognava farlo” , nella “bella
scola” del Limbo: “Senza Omero non ci sarebbe stata l’“Eneide”; senza la discesa
di Odisseo nell’Ade niente viaggio di Virgilio nell’altro mondo; senza quest’ultimo,
niente “Divina Commedia””. Boitani, “Ulysses and the three Tradition”, in
conclusione alla raccolta, prova a rovesciare l’assunto: perché Dante non
avrebbe saputo, seppure all’ingrosso, dell’“Odissea”? Anzi, la conosceva al punto
da farne una nuova. Una “versione notevolissima” della storia, combinando tre
modi di interpretare la figura del migrante Ulisse: come un trickster cantastorie, come esempio di virtù e saggezza, e come
prefigurazione di Cristo – Boitani qualche anno dopo confiderà a Gnoli (“la
Repubblica”, 1 ottobre 2017): “Da quando ho cominciato a scrivere di Ulisse è
come se un demone si fosse impossessto di me. Ho entito una vibrazioe emotiva
fortissima”.
Un libro da biblioteca, di ricerca. Che però avrebbe meritato la traduzione,
in vista delle celebrazioni tra un anno centenarie, e anche senza. Ziolkowski è
professore a Harvard di Latino medievale, e direttore a Washington della
biblioteca e della collezione di Dumarton Oaks, a Georgetown – il luogo famoso dove
si stabilizzarono le monete e gli assetti economici mondiali nel 1944 ora
ospita l’istituzione di ricerca di Harvard per gli studi bizantini e pre-colombiani.
Studioso di Virgilio. è stato borsista residente all’Accademia Americana a Roma
nel 1980-81.
Jan M.
Ziolkowski (a cura di), Dante and the Greeks, Dumbarton Oaks Medieval Humanities.
Washington, DC: Dumbarton Oaks Research Library and
Collection, pp. 286, ril. $44.95
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