Le centrali a carbone di Cina e India,
che le moltiplicano malgrado gli impegni presi a Parigi, potrebbero salvarci
dall’effetto serra. Non è un paradosso e non è una bufala: è un fatto. E
significa che la polemica antindustriale con cui il business verde o della sostenibilità si promuove è solo un
aggiornamento delle guerre fra monopoli industriali, e può fare danni.
Fino al 1975, per almeno 35 anni,
malgrado la guerra, la mobilitazione industriale bellica, e e la
superproduzione del lungo boom postbellico, anche sgangherata, senza controlli
delle emissioni, la temperatura terreste fu in diminuzione. Lieve, ma
allarmante. E misteriosa: l’ipotesi più accreditata fu che il particolato di
solfato rilasciato dal carbone riflettesse nello spazio l’energia del sole, la
rimandasse indietro. Ma incrementava le piogge acide. La decarbonizzazione ha
fatto sparire le piogge acide, ma contemporaneamente ha portato al rialzo la
temperatura del gloco.
Nel quasi mezzo secolo dal 1975 la
temperatura media è aumentata di poco più di mezzo grado, di 0,6° C. Non è poco
ma non è allarmante. E gli studi più accreditati ne danno merito all’uso
estensivo del carbone nei grandi paesi asiatici, da quando hanno accelerato il
decollo economico: India e Cina sarebbero leader dell’antinquinamento con le
loro centrali a carbone perché le imponenti emissioni di solfato ritardano il
riscaldamento da gas serra.
Uno studio, che porta la firma di otto
ricercatori di vari paesi, pubblicato sull’autorevole “Geophysical Reserach
Letters”, “Climate Impacts from a Removal of Anthropogenic Aerosol Emissions”,
si conclude con questa minaccia: “La rimozione dell’insieme delel emissioni
aerosol del mondo potrebbe aggiungere 0,7°C alle temperature globali”.
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