lunedì 30 dicembre 2019

Il lutto per la fede

“I secoli del credere in Occidente” è il sottotitolo. Come di un’epoca passata, forse anche remota. Ripercorrendo il “credere” di Novalis, i venti capitoletti di “La cristianità e l’Europa”. Allargati alla contemporaneità, alla “compiuta secolarizzazione del tempo presente”. In cui “ogni «affidarsi» alla ricerca d’interiorità (mostrano qui Jorge Luis Borges e Italo Calvino, come Maria Zambrano e Wisława Szymborska) è parte, non solo etimologica, di questo credere per costruire una nostra, irrinunciabile, «innerste Hauptstadt»”.
Il titolo intero sarebbe “Dopo la Gloria dell’Incarnazione”. Cosa avviene con Cristo, e dopo. Un tracciamento della fede anche negli anditi controversi, “improbabili” – dell’improbabilità di Pascal, che è più probabile della probabilità. Fino, in quest’epoca di miscredenza, alla commozione per Nôtre-Dame. Attraverso le tracce più sottili - ritrovamenti o pubblicazioni nei più dei venti brevi saggi della raccolta. Assortite da riletture di Dante: notevoli la “ramogna” del verso 25 del canto XI del “Purgatorio” ricondotta al francese ramoner, spazzare, e il “pianse” oppure “salse” della Madonna “in su la croce”, al verso 72 del canto XI del “Paradiso”.
Riflessioni sul divino. Ma intrise di nostalgia. E quasi un atto di fede, ma con un senso di tramonto quale non si leggeva dalla fine dell’impero romano – da Rutilio Namaziano. O anche, è vero, da sant’Agostino. Un’elaborazione del lutto. Perché, anche qui, domani è un altro giorno – il domani sarà l’oggi. 
Con varizioni a sorpresa. L’illuminismo attraverso Alfonso Maria de’ Liguori, e Giovan Battista Roberti, gesuita – l’altra storia. La riproposta di don Milani, con le due forme del credere, la Scrittura e il Tempio. Riletture di Pessoa (la centralità del “Quinto Impero”), Northrop Frye, Simone Weil, l’“Antigone” di Zambrano. E Italo Calvino, “Le città invisibili”, “La giornata di uno scrutatore”: letture queste da capogiro, che però sono Calvino.
Finale con l’apologia di Nôtre Dame dopo l’incendio, “una chiesa di resti, come a san Galgano, aperta sul cielo”. Non una fine, un’apertura.  Perché “i cristiani del resto non sono «residenti» ma inviati: apostoli”. Nomadi, si può aggingere, mai quieti: “Il loro Dio non è in trono ma in cammino”. Con Rilke, “Dio nel Medioevo”, che chiude la raccolta – “la speranza non ha bisogno di mura, ma di varcarle”. E con Bonnefoy profetico, in una composizione di poco prima dell’incendio, “Après le feu”, dopo il fuoco: “È ancora una chiesa? I pilastri\ hanno vacillato nella morsa del fuoco….”.
Un  debutto nell’editoria di “varia da banco” per Treccani, che lascia la curiosità per il Carlo di Carlo Ossola proposto in corsivo. 

Carlo Ossola, Dopo la gloria, Treccani, pp. 143 € 12


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