“La storia di san Giuliano l’Ospitaliere”, che muore abbracciato
al lebbroso, “come pressappoco la si trova, su una vetrata di chiesa, al mio
paese” – così Flaubert la spiega a un amico. Uno dei numerosi racconti di
santi, che lo appassionano. Questa si distigue, nella morte di Giuliano, come
un abbraccio omosessuale – implicito, certo (come molto altro in Flaubert,
compersa Madame Bovary. E come la riuscita infine della ricostituzione di un
universo “medievale”, ambizione a lungo coltivata.
Nello stile degli “Acta Sanctorum”, e della “Legenda aurea” di
Jacopo da Varagine, delle agiografie quali sono in uso ancora oggi, la storia
del santo che ha ucciso i genitori. Come da profezia ma per sbaglio – come
negli antichi miti, di Edipo e di Oreste. Flaubert ci ha convissuto tutta la
vita, per rivolta o rivalsa, direbbe Freud, contro l’autoritarismo del padre
dottor Flaubert, implicita certo. “Un tema ruminato per trent’anni”, nota
Sartre in “L’idiota della famiglia”, vol. II. E ha provato a scriverla a più
riprese, fin dal 1845, dalle prime prove da adulto: il “cacciatore maledetto”
(Sartre) lo ossessionerà per tutta la vita creativa. La riscrive, per la terza
o quarta volta, e la completa, un paio di righe al giorno, spiega ai
corrispondenti – e deve essere vero: il manoscritto in facsimile riprodotto
nella vecchia edizione Bur è una mappa
di cancellature e rinvii, inverosimile talmente è aggrovigliata – nel 1875-76,
dopo il quasi fallimento finanziario dell’amatissima nipote e consorte, che lo
aveva costretto al sacrificio di quasi tutto il suo. Tace a lungo, rintanato, e
ricomincia a scrivere col santo assassino. Scrive “al colmo della disperazione
la più ottimistica delle sue opere” – Sartre. La virtù si vuole punita, questo
è parte del processo virtuoso – e quindi il male può essere sconfitto.
Una ripresa diminutiva. “Una bazzecola”, la dice a qualcuno, un
“esercizio di stile”, “voglio vedere fin dove arriverò a scrivere”. Un racconto
emblematico? Del bene che viene dal male – o viceversa? Un racconto nello stile
“medievale – in realtà agiografico – che Flaubert aveva inseguito da tempo. Lo
schema, oltre che lo stile, è quello degli “Acta Sanctorum” e della “Legenda
aurea”, su partizione ternaria: il racconto è articolato su tre fasi di vita,
predizione, parricidio, espiazione, le predizioni sono tre, sono tre le dimore,
tre le maledizioni, ma poi tutto è tre, la serie è interminabile di
lessicalizzazioni base tre. Che non vuol
dire niente, Flaubert non era superstizioso, né numerologo, ma denuncia lo
sforzo di imitazione: Flaubert “ha sempre sognato di ricostruire il Medio Evo,
i suoi grandi Signori e la loro umile fede” – Sartre. Fino a riuscire, al gusto
di Proust, “la più perfetta delle sue opere” – “un racconto denso che parla
di Dio, dell’Uomo e del Destino”, Sartre.
La storia di un Edipo cristiano, doppiato di Oreste, parricida di
padre e di madre? Una storia di “selvaggia violenza” (Sartre), di “sadismo”
(id.). Una storia “nera” ma su un piano “bianco”, poiché sappiamo subito che il
cattivo diventa santo (id.): la storia di un predestinato alla santità. M,
aggiunge Sartre, per “l’ambivalenza del sacro, terribile quaggiù, benefico
lassù”.
È incredibile l’esercito critico, anche a proposito di questo
racconto come di ogni Flaubert, da Sartre a Stefano Agosti, che introducono e
spiegano in lungo l’opera – ma non in queste edizioni.
Con l’originale francese l’edizione Salerno.
Gustave Flaubert, La leggenda di san Giuliano l’Ospitaliere,
Salerno, remainders, pp. 168 € 4
Leone, pp. 93 € 6
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