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venerdì 13 dicembre 2019

Il santo parricida


“La storia di san Giuliano l’Ospitaliere”, che muore abbracciato al lebbroso, “come pressappoco la si trova, su una vetrata di chiesa, al mio paese” – così Flaubert la spiega a un amico. Uno dei numerosi racconti di santi, che lo appassionano. Questa si distigue, nella morte di Giuliano, come un abbraccio omosessuale – implicito, certo (come molto altro in Flaubert, compersa Madame Bovary. E come la riuscita infine della ricostituzione di un universo “medievale”, ambizione a lungo coltivata.
Nello stile degli “Acta Sanctorum”, e della “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine, delle agiografie quali sono in uso ancora oggi, la storia del santo che ha ucciso i genitori. Come da profezia ma per sbaglio – come negli antichi miti, di Edipo e di Oreste. Flaubert ci ha convissuto tutta la vita, per rivolta o rivalsa, direbbe Freud, contro l’autoritarismo del padre dottor Flaubert, implicita certo. “Un tema ruminato per trent’anni”, nota Sartre in “L’idiota della famiglia”, vol. II. E ha provato a scriverla a più riprese, fin dal 1845, dalle prime prove da adulto: il “cacciatore maledetto” (Sartre) lo ossessionerà per tutta la vita creativa. La riscrive, per la terza o quarta volta, e la completa, un paio di righe al giorno, spiega ai corrispondenti – e deve essere vero: il manoscritto in facsimile riprodotto nella vecchia edizione Bur è una mappa di cancellature e rinvii, inverosimile talmente è aggrovigliata – nel 1875-76, dopo il quasi fallimento finanziario dell’amatissima nipote e consorte, che lo aveva costretto al sacrificio di quasi tutto il suo. Tace a lungo, rintanato, e ricomincia a scrivere col santo assassino. Scrive “al colmo della disperazione la più ottimistica delle sue opere” – Sartre. La virtù si vuole punita, questo è parte del processo virtuoso – e quindi il male può essere sconfitto.
Una ripresa diminutiva. “Una bazzecola”, la dice a qualcuno, un “esercizio di stile”, “voglio vedere fin dove arriverò a scrivere”. Un racconto emblematico? Del bene che viene dal male – o viceversa? Un racconto nello stile “medievale – in realtà agiografico – che Flaubert aveva inseguito da tempo. Lo schema, oltre che lo stile, è quello degli “Acta Sanctorum” e della “Legenda aurea”, su partizione ternaria: il racconto è articolato su tre fasi di vita, predizione, parricidio, espiazione, le predizioni sono tre, sono tre le dimore, tre le maledizioni, ma poi tutto è tre, la serie è interminabile di lessicalizzazioni  base tre. Che non vuol dire niente, Flaubert non era superstizioso, né numerologo, ma denuncia lo sforzo di imitazione: Flaubert “ha sempre sognato di ricostruire il Medio Evo, i suoi grandi Signori e la loro umile fede” – Sartre. Fino a riuscire, al gusto di Proust, “la più perfetta delle sue opere” – “un racconto denso che parla di Dio, dell’Uomo e del Destino”, Sartre.
La storia di un Edipo cristiano, doppiato di Oreste, parricida di padre e di madre? Una storia di “selvaggia violenza” (Sartre), di “sadismo” (id.). Una storia “nera” ma su un piano “bianco”, poiché sappiamo subito che il cattivo diventa santo (id.): la storia di un predestinato alla santità. M, aggiunge Sartre, per “l’ambivalenza del sacro, terribile quaggiù, benefico lassù”.
È incredibile l’esercito critico, anche a proposito di questo racconto come di ogni Flaubert, da Sartre a Stefano Agosti, che introducono e spiegano in lungo l’opera – ma non in queste edizioni.
Con l’originale francese l’edizione Salerno.
Gustave Flaubert,   La leggenda di san Giuliano l’Ospitaliere, Salerno, remainders, pp. 168 € 4
Leone, pp. 93 € 6

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