Si trova il riscontro di questo riallineamento in Libia. Dove gli Usa non difendono il governo Serraj, il governo eletto e da loro patrocinato, contro Egitto, Arabia Saudita, e Turchia, che armano e sostengono il generale ribelle Haftar. Anche a costo di mettere in gioco, al confine italiano, la Russia, che ai tre paesi islamici e a Haftar fornisce gli operativi, sotto forma di consulenti militari - la stessa Russia che gli Stati Uniti impongono agli europei di sanzionare economicamente.
Si può liquidare il riallineamento come
trumpiano, quindi soggetto agli umori, e alla durata, del presidente americano
in carica. Ma è una strategia in atto da tempo. Con Trump il dipartimento di Stato
ha rafforzato l’asse, già delineato con Obama, col governo israeliano di Netanyahu – Obama è il primo
presidente Usa che non ha proposto un piano di pace. Quasi un regime, il
governo d Netanyahu, essendo durato per dieci anni, e ancora condizionante. Centrato
sull’opzione, dominante in Israele anche fuori del governo, di cancellare la
risoluzione dell’Onu del 1967, con Gerusalemme doppia capitale e il ritorno della
Cisgiordania agli arabi.
Trump non è giunto a tanto, ma solo
formalmente. Di fatto ha assegnato Gerusalemme a Israele, capitale esclusiva. E
potrebbe ora accettare, sempre unilateralmente, l’annessione della Cisgiordania
a Israele, come Netanyahu chiede.
Tra i due assi privilegiati, con Israele,
e con la coalizione araba conservatrice, Washington è riuscita a creare anche
un collegamento. Fino a ieri impensabile – impensabile che l’Arabia Saudita,
depositaria dei luoghi santi islamici, accettasse Gerusalemme capitale di Israele,
accettasse Israele, e cooperi oggi con Israele contro Assad. Questo collegamento
il ministro degli Esteri israeliano Katz
esplicito ha spiegato a Roma, al MedForum, contro il regime siriano di Assad,
sempre inviso ai principati arabi per motivi confessionali, e a Israele per la
protezione che accorda ai palestinesi.
Quanto il riallineamento possa durare è
incerto. I regimi della penisola arabica si presentano molto stabili, ma c’è
incertezza su questo. E un cambio di regime non consente proiezioni, nemmeno
ipotetiche. Ma più pesa l’evoluzione dell’Iran, il paese e il regime dominanti
nell’area, con cui Washington ha tentato in un primo tempo di ristabilire il
rapporto perduto con la caduta dello Scià. Più forte militarmente e più stabile
socialmente che non le monarchie petrolifere.
Il riallineamento in atto però non trova
riserve in America. Sono atti di forza unilaterali che il dipartimento di Stato
ha promosso, profittando della “diplomazia brutale” di Trump. Ma senza mai una
opposizione, in nessun ambito. Non di fatto e nemmeno formale.
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