Il convegno è solo un inizio,
e per questo è promettente: gli archivi personali di Andreotti, ha spiegato l’ultimogenita
Serena, che presiede l’Archivio Andreotti, si compone di 3.500 faldoni di appunti, annotazioni, diari, documenti,
conservati dal 1944 in poi. Il Master è quest’anno alla nona edizione, avviato
a Cosenza da Mario Caligiuri nel 2007, col patrocinio e l’interessamento di
Cossiga. Avrà modo, quando gli archivi saranno aperti, di accertare i punti
controversi. Ma quello che era più interessante è rimasto fuori dal convegno, a
partire dal rapporto di Andreotti con lo stesso Cossiga.
Quattro relazioni, di Paolo
Gheda (università di Aosta), Vera Capperucci (Luiss), Luca Micheletta (La Sapienza)
e Tito Forcellese (Teramo), hanno spolverato i lunghi decenni della guerra
fredda, campo eminente di esercitazione dei servizic segreti, e il rapporto di
Andreotti con la Libia di Gheddafi, specie nei sei anni, dal 1983 al 1989, in
cui fu agli Esteri, dapprima con Craxi infine con da De Mita, suo nemico
acerrimo. Il più curiosamente è stato lasciato fuori. Il tema cui ha accennato
Stefano Andreotti, il secondogenito, leggendo alcune pagine inedite di diario,
e sui “casi emblematici di Guido Giannettini e Mi.Fo.Bali”. Un tentativo quest’ultimo
denunciato da Andreotti, va ricordato, per utilizzare gli “sfioramenti”
(tangenti) sul petrolio libico a sostegno di alcune correnti politiche in
Italia. Una denuncia speculare a quella, invece, che il partito Socialista monterà
contro Andreotti, sempre a proposito del petrolio libico – lo scandalo
cosiddetto Petromin. Sarebbe stata la traccia più interessante.
Il “dossier Mi-fo.Biali” è parte
della lotta spregiudiata, scoperta, non si sa ancora se di difesa o di attacco,
che Andreotti condusse nel 1974 contro Moro, allora leader princeps della Dc, con interviste pubbliche, da ministro
della Difesa di Rumor, attaccando frontalmente il capo del Sid, il generale
Miceli, uomo di Moro. Di difesa probabilmente. Cossiga, che si voleva di Moro
figlioccio, dirà di Andreotti: “Non gli ho mai sentito dire una parola contro
Moro, mentre non posso certo dire il contrario”. Ma, poi, Andreotti non ha mai
parlato male di nessuno, se si eccettua Fanfani.
Lo stesso Cossiga dirà nella
stessa occasione – un’intervista celebrativa con Cazzullo sul “Corriere della
sera” del 9 gennaio 2009 per i novant’anni del senatore a vita: “Quando divenne
ministro della Difesa un suo amico militare gli consigliò: «Occupati di tutto,
tranne che di commesse e di servizi segreti», e lui gli diede retta. Il Massimo
esperto di servizi nella Dc era Moro”. Era stato Cossiga da presidente della
Repubblica a nominare Andreotti senatore a vita. Ma c’era stato un precedente
diverso.
Con Cossiga il rapporto fu
riallineato dopo che Fabio Isman, non provvidenzialmente, ebbe al “Messaggero”
il rapporto dei servizi segreti da cui era stata strappata una pagina. La
curiosità fu più che legittima del giornalista, perché in quella pagina Cossiga
informava al telefono Donat Cattin che suo figlio Marco era indagato per terrorismo.
Era il 1980, vivo ancora il dopo Moro, le polemiche del dopo Moro, con Cossiga
capofila dei trattativisti, mentre Andreotti e il Pci erano stati per la
negativa. La telefonata spinse il Pci a promuovere la messa in stato d’accusa
di Cossiga in Parlamento, i due rami in seduta comune, per favoreggiamento.
L’accusa fu archiviata, con 507 voti contro 406. Cossiga divenne amico di
Andreotti. Nella stessa intervista del 2009 ne farà l’elogio a larghissimo
spettro: “La Cia non lo voleva” e “Ama giocare a poker, mi ha sempre battuto”.
Non sono i soli fatti su cui
sarebbe stato più opportuno aprire un vero seminario su Andreotti e
l’intelligence. Il più importante è la denuncia del “piano Solo” nel 1964, con
cui fu accantonata la leadership di Antonio Segni sulla destra Dc. Il piano di
golpe militare con cui Segni nel 1964 si sarebbe garantito contro la presenza
dei socialisti al governo, attraverso il capo del Sifar generale De Lorenzo. La
rivelazione del piano, l’11 maggio del 1967, su “L’Espresso”, porta la firma di
Lino Jannuzzi, in accordo col direttore Eugenio Scalfari, entrambi buoni amici
di Andreotti. Che era stato a capo della Difesa, e quindi del Sifar, anche se
De Lorenzo in qualche modo già rispondeva a Moro, fino a qualche mese prima.
Andreotti si è fatto strada
nella Dc lentamente, dopo la partenza lampo con De Gasperi. Da isolato, contro
tutti. Contro Fanfani da subito, subito dopo De Gasperi, ma senza duello rusticano,
il Senatore si è suicidato da solo, più volte – modello Renzi oggi. Di Moro e
Cossiga si è detto. Forlani è finito in tribunale.
Tutta la DC è finita in tribunale,
dopo la mancata elezione di Andreotti al Quirinale a maggio del 1992. Per
Tangentopoli. Eccetto gli andreottiani, né a Roma né altrove – giusto Cirino
Pomicino, che però ha pagato per altri aspetti.
Giulio Andreotti e l’intelligence, Università della Calabria, Master in
Intelligence
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