domenica 1 dicembre 2019

Quanti segreti, fra Andreotti e i servizi segreti

Per il centenario della nascita di Andreotti, il Master in Intelligence dell’Univesità della Calabria a Cosenza si è inaugurato quest’anno con un seminario su Andreotti e lo spionaggio. Si è partiti dalle primissime esperienze, come sottosegretario di De Gasperi, che lo incaricò nel 1947 di gestire per suo conto l’Ufficio Zone di Confine. Per arrivare agli ultimi suoi atti di governo con riflessi internazionali, al tempo della riunificazione tedesca e dello scioglimento dell’Urss, e al rapporto sempre scabroso con la Libia di Gheddafi.
Il convegno è solo un inizio, e per questo è promettente: gli archivi personali di Andreotti, ha spiegato l’ultimogenita Serena, che presiede l’Archivio Andreotti, si compone di 3.500 faldoni  di appunti, annotazioni, diari, documenti, conservati dal 1944 in poi. Il Master è quest’anno alla nona edizione, avviato a Cosenza da Mario Caligiuri nel 2007, col patrocinio e l’interessamento di Cossiga. Avrà modo, quando gli archivi saranno aperti, di accertare i punti controversi. Ma quello che era più interessante è rimasto fuori dal convegno, a partire dal rapporto di Andreotti con lo stesso Cossiga.
Quattro relazioni, di Paolo Gheda (università di Aosta), Vera Capperucci (Luiss), Luca Micheletta (La Sapienza) e Tito Forcellese (Teramo), hanno spolverato i lunghi decenni della guerra fredda, campo eminente di esercitazione dei servizic segreti, e il rapporto di Andreotti con la Libia di Gheddafi, specie nei sei anni, dal 1983 al 1989, in cui fu agli Esteri, dapprima con Craxi infine con da De Mita, suo nemico acerrimo. Il più curiosamente è stato lasciato fuori. Il tema cui ha accennato Stefano Andreotti, il secondogenito, leggendo alcune pagine inedite di diario, e sui “casi emblematici di Guido Giannettini e Mi.Fo.Bali”. Un tentativo quest’ultimo denunciato da Andreotti, va ricordato, per utilizzare gli “sfioramenti” (tangenti) sul petrolio libico a sostegno di alcune correnti politiche in Italia. Una denuncia speculare a quella, invece, che il partito Socialista monterà contro Andreotti, sempre a proposito del petrolio libico – lo scandalo cosiddetto Petromin. Sarebbe stata la traccia più interessante.
Il “dossier Mi-fo.Biali” è parte della lotta spregiudiata, scoperta, non si sa ancora se di difesa o di attacco, che Andreotti condusse nel 1974 contro Moro, allora leader princeps della Dc, con interviste pubbliche, da ministro della Difesa di Rumor, attaccando frontalmente il capo del Sid, il generale Miceli, uomo di Moro. Di difesa probabilmente. Cossiga, che si voleva di Moro figlioccio, dirà di Andreotti: “Non gli ho mai sentito dire una parola contro Moro, mentre non posso certo dire il contrario”. Ma, poi, Andreotti non ha mai parlato male di nessuno, se si eccettua Fanfani.
Lo stesso Cossiga dirà nella stessa occasione – un’intervista celebrativa con Cazzullo sul “Corriere della sera” del 9 gennaio 2009 per i novant’anni del senatore a vita: “Quando divenne ministro della Difesa un suo amico militare gli consigliò: «Occupati di tutto, tranne che di commesse e di servizi segreti», e lui gli diede retta. Il Massimo esperto di servizi nella Dc era Moro”. Era stato Cossiga da presidente della Repubblica a nominare Andreotti senatore a vita. Ma c’era stato un precedente diverso.
Con Cossiga il rapporto fu riallineato dopo che Fabio Isman, non provvidenzialmente, ebbe al “Messaggero” il rapporto dei servizi segreti da cui era stata strappata una pagina. La curiosità fu più che legittima del giornalista, perché in quella pagina Cossiga informava al telefono Donat Cattin che suo figlio Marco era indagato per terrorismo. Era il 1980, vivo ancora il dopo Moro, le polemiche del dopo Moro, con Cossiga capofila dei trattativisti, mentre Andreotti e il Pci erano stati per la negativa. La telefonata spinse il Pci a promuovere la messa in stato d’accusa di Cossiga in Parlamento, i due rami in seduta comune, per favoreggiamento. L’accusa fu archiviata, con 507 voti contro 406. Cossiga divenne amico di Andreotti. Nella stessa intervista del 2009 ne farà l’elogio a larghissimo spettro: “La Cia non lo voleva” e “Ama giocare a poker, mi ha sempre battuto”.   
Non sono i soli fatti su cui sarebbe stato più opportuno aprire un vero seminario su Andreotti e l’intelligence. Il più importante è la denuncia del “piano Solo” nel 1964, con cui fu accantonata la leadership di Antonio Segni sulla destra Dc. Il piano di golpe militare con cui Segni nel 1964 si sarebbe garantito contro la presenza dei socialisti al governo, attraverso il capo del Sifar generale De Lorenzo. La rivelazione del piano, l’11 maggio del 1967, su “L’Espresso”, porta la firma di Lino Jannuzzi, in accordo col direttore Eugenio Scalfari, entrambi buoni amici di Andreotti. Che era stato a capo della Difesa, e quindi del Sifar, anche se De Lorenzo in qualche modo già rispondeva a Moro, fino a qualche mese prima.
Andreotti si è fatto strada nella Dc lentamente, dopo la partenza lampo con De Gasperi. Da isolato, contro tutti. Contro Fanfani da subito, subito dopo De Gasperi, ma senza duello rusticano, il Senatore si è suicidato da solo, più volte – modello Renzi oggi. Di Moro e Cossiga si è detto. Forlani è finito in tribunale.
Tutta la DC è finita in tribunale, dopo la mancata elezione di Andreotti al Quirinale a maggio del 1992. Per Tangentopoli. Eccetto gli andreottiani, né a Roma né altrove – giusto Cirino Pomicino, che però ha pagato per altri aspetti.
Giulio Andreotti e l’intelligence, Università della Calabria, Master in Intelligence

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