Il progetto non è stato realizzato, ma il presupposto è chiaro. E non era
l’unico: la compilazione raccoglie un altro “Saggio sui grandi eventi di cui le
donne sono state la causa segreta”. Anche’esso rimasto all’indice, ma con
intenti celebrativi: “la presa di Troia, l’incendio del palazzo di Persepoli,
l’istituzione della Repubblica romana, il salvataggio di Roma grazie alla madre
di Coriolano, il cambiamento dell’Inghilterra sotto Enrico VIII, etc.”.
Una compilazione di testi femministi dell’impervio, se non misogino,
filosofo dell’uguaglianza. Che fiutava forse un filone editoriale, anticipatore
della letteratura di genere - Rousseau coltivava anche questo campo: un ultimo
scritto disperso qui raccolto è di “Idee sul metodo di composizione di un
libro”. Ma di suo saldamente legato al rifiuto. Il racconto del titolo
esordisce con un inequivocabile: “Quando si ha una moglie folle non si può
evitare di passare per sciocco”.
“La regina Fantasque” è, misogino (altrimenti tradotto come “La regina
lunatica”), un apologo della complessità, e quindi imprevedibilità, della
funzione pedagogica, tra ereditarietà, educazione, ambiente e caso. Niente di
filosofico, come si suole scrivere presentando il racconto - uno dei tanti
scritti minori esumati nel 1961, al secondo volume delle opere complete
Gallimard: “una follia”, secondo lo stesso Rousseau, scritta “in un momento di
allegria o piuttosto di bizzarria”, nel 1756, pubblicata due anni dopo.
“Pigmalione” è, ancora più breve, più deciso: il narcisismo dell’autore, la
sua ambizione a dare vita creando – scrivendo, dipingendo scolpendo, musicando.
Questo è invece il testo forse più letto, subito, dai contemporanei. Quello sicuramente
più commentato, fino a Starobinski – già Goethe ne faceva grande caso in
“Poesia e verità”, che però non apprezzava Pigmalione, la “perfezione
artistica”, o dell’ambiguità, ponendo al di sopra del bisogno burattinesco, di
tirare le fila.
Jean-Jacques Rousseau, La regina
Fantasque – Pigmalione, Ibis, remainders, pp. 91 € 4
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