Diavolo – È di tradizione universale ma oscura. Tradizione religiosa, seppure legata alle origini, ai miti delle origini. In questo caso del bene e del male.
Una
favola costante. Generalizzata. Ma bizzarra. Che si spiega in un modo che
depone a sfavore delle religioni, del bisogno religioso come fattore di
conoscenza. La più antica delle cui tradizioni e la più diffusa è questa, una
favola piuttosto oscura, nonché inverosimile: che il diavolo è un angelo
decaduto. Per una ribellione non concepibile metafisicamente – una
contraddizione: nel regno di Dio, a opera di un angelo del suo regno del bene,
cui molti si affiliarono. Per nessun motivo se non l’invidia. Ma fa l’invidia
parte di Dio?
Si
soprassiede all’incongruenza accostando subdolamente il regno dei cieli all’umanità,
esposto quindi come questa alla fragilità dell’essere. Ma allora è un piccolo
panteismo che si formula, se Dio è fragile come l’uomo, incostante, incerto.
Distribuzione
–
È il segno e in parte l’agente della polarizzazione recente dell’opinione
pubblica, come disarticolata e instabile – vagante: assertiva ma incostante e
incoerente. La grande distribuzione come opposta al commercio minuto. E all’artigianato
di quartiere: i falegnami, i tappezzieri, gli elettricisti, gli idraulici. Un reticolo di radicamento.
Le società si erano innervate
finora, anche in ambito urbano, di una rete fitta di minuta distribuzione:
negozianti, fornitori, finanziatori. E riparatori, quando il bene meritava na
riparazione e non la sostituzione. Uno strato sociale in contatto costante con
la società nel suo insieme, se non nella sua totalità. Di scambio, di merci e
di parole – di fiducia, di idee. Una rete di intermediazione, e comunque di
conoscenza: una figura non rappresentativa ma
intermediaria, che sola e meglio legge e interpreta il sentito popolare,
diffuso, prevalente. Avendo contatto quotidiano, minuzioso e particolareggiato
(diffuso), con i bisogni e anche soltanto con le vaghezze di tutti, con lo
strato sociale di gran lunga più numeroso nella composizione della società. In
un dialogo non appariscente né, solitamente, connotativo, ma assorbente,
ruminante. Più spesso indebolendo le spinte giacobine o estreme, quasi scatti
d’ira, ma anche cavalcandole – i bazarì urbani nella rivolta contro lo scià in
Iran nel 1978. Comunque mediando le pulsioni, discutendo, ancorando.
Il vuoto politico si è prodotto con
l’accelerata scomparsa di questa intermediazione per la diffusione, favorita
dalla politica, spesso per ragioni corruttive, della grande distribuzione, e
ora del commercio online? Facile. Anche perché si vuole supplita dai social, e
cioè dal fai da te. Dove non c’è più dibattito, ma assunzione di posizioni.
Vero: il dibattito c’è, ma non è più mediato – assorbito, digerito. Si
avvoltola su se stesso, a spirale inconseguente, senza sintesi o
intermediazione, sempre più quindi precario e incostante. Una polarizzazione
distributiva (delle risorse e dei consumi, del piccolo credito, dei bisogni)
che concorre anch’essa al ribaltamento totale. Delle forme conoscitive e
decisionali, nel segno dell’incostanza e dell’inconsistenza. La piccola diffusa
distribuzione, delle merci e dei servizi, come un grande stomaco, lo stomaco della nazione.
Ebreo Eterno – Una
condizione esistenziale, spiega De Quincey, “La
casistica dei pasti romani”, in nota: “La denominazione tedesca di quello che
noi inglesi chiamiamo l’Ebreo Errante. L’immaginazione tedesca è stata molto
colpita dalla durata della vita umana, e dalla sua infelice santità dopo la
morte; quella inglese dall’inquietudine della vita umana, dalla sua incapacità
di riposo”.
Parodia
-
Kierkegaard: “Il quadrato è la parodia del circolo: la vita e il pensiero sono
un circolo, mentre la pietrificazione della vita prende la forma della
cristallizzazione. L’angolare è la tendenza a restare statici: a morire”.
La parodia è solo scherzo. Altrimenti è
infelice ripetizione.
Proust
-
Si può pensare tutta la “Ricerca” una colossale forma d’ironia. In assenza, tutto
rasenta il ridicolo, per la elongazione, il dettaglismo, l’aggressione costante
del lettore: la gelosia in mille pagine (mille! di uno, il narratore, che non è mai stato innamorato, si sa, si sente), i
froci, le lesbiche, le puttanelle, i borghesi pieni di sé, il padre-Cottard, la
madre-Verdurin (o madame Straus e le altre madri alternative), gli stessi
duchi, a loro volta snob. Ma non senza compassione, che ne è la chiave:
l’autoconsolazione.
Ma la satira tiene due ore e mezzo, la
lunghezza di Aristofane - anche Rabelais si legge a pezzi, e perché è Rabelais.
L’ironia non regge una narrativa, solo l’aneddotica. A meno che non sia
lievitata – alleviata – al modo dell’Ariosto, per una lettura multiforme, più
immaginativa che critica, esagerata, e diventa patrimonio popolare. O al modo
di Proust – che però non è lieve (la mano – la frase, il ritmo – è sempre
pesante).
Sesso – È finita
nell’inappetenza la corsa alla liberazione? Per ogni aspetto visibile sì. Non
c’è sesso tra gli adolescenti, negli anni in cui usava essere quasi
un’ossessione, se non con le pasticche e l’alcol, e più come una sfida, senza
piacere – eccitazione, tensione, compiacimento, soddisfazione. Non c’è più la
scena di sesso nel film che Hollywood a lungo ha imposto – non tira. Il rapporto
omosessuale, dove la componente sessuale è stata a lungo dominante, al limite
dell’intercambiabilità, è scaduto a fatto burocratico. La pornografia in rete
lo ha come debilitato.
Il
sesso non è – era – l’atto ma l’immaginario, la fantasia. Di un rapporto e non
di un atto. Che prendeva corpo nel rapporto. Solo si riaccende, si direbbe,
nell’amore. Nell’accensione sensoriale primariamente non sessuale, non legata
agli organi e agli stimoli strettamente sessuali – il colpo di fulmine,
sguardi, voci, attitudini. In un erotismo cioè a spettro ampio, fondato
sull’immaginario.
Il
fattore immaginario emerge dominante anche nella stessa proliferazione del
femminicidio, in quella sua forma che nasce dall’abbandono, dal rifiuto – è
parte dell’immaginario maschile. Che non è il possesso vecchio stile,
maschilista, patriarcale, ma un senso di incompiutezza o minorità che
l’abbandono fa emergere. Si direbbe il femminicida una vittima, nel senso che è
un assassino per debolezza, raramente un vendicatore.
Tradimento – È il traditore
tradito? È il paradosso di De Quincey, “Giuda Iscariota”. In cui Giuda è tradito
da Cristo: collocandosi nelle Scritture, aveva fatto balenare, in Giuda come
negli altri discepoli-guaritori, i sogno della restaurazione del trono di
Davide. Invece, dopo una vasta e intensa preparazione, al momento di comandare
le folle a Gerusalemme che lo attendevano e se ne attendevano la rivolta, si
defila - “Il mio regno non è di questo
mondo”, “D ate a Casere…”, eccetera. ..”. Non inverosimile.
Lo
stesso il pentito di mafia. Che non è un pentito nel senso della confessione
cristiana, di chi chiede perdono per i suoi peccati, poiché non ne ha coscienza e non può o si guarda dal prenderne. E semmai
si pente per uno scopo, la pensione di Stato e la scarcerazione. Ma al fondo perché
si sente tradito, dal capo, dai correi.
Nella
sconfitta tutti si sentono traditi – non solo i tedeschi col solito colpo alla
schiena.
zeulig@antiit.eu
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