Ateismo – “In verità, in
questo secolo Dio fa miracoli in favore degli atei, che dovrebbero almeno,
vedendoli, convertirsi”, F. Galiani a madame d’Ėpinay, Napoli, 12 gennaio 1771.
Dio – “Questa è la
condizione delle cose del mondo, chi ruba poco è un ladro,chi molto è un
conquistatore. Quel che in piccolo pare sproposito, in grande diventa mistero”,
F. Galiani, “Dell’idea di Dio”. Così funziona “la grande, gloriosa,
misericordiosa, divina, ed imperscrutabile redenzione del genere umano”.
Non
è tutto. “Se un Dio avesse fatto il mondo”, è altro ‘pensiero’ dell’abate, il
mondo “sarebbe senza dubbio il migliore di tutti, ma non lo è, di certo; dunque
non c’è Dio”. Galiani usa il sillogismo per dire la furbizia dell’ateo, che
nega mentre afferma. Ma la creazione non nasce dall’imperfezione?
Leibniz
peraltro, cui si farebbe risalire il sillogismo, è per Galiani il miglior
tesista: “Se fosse vero che questo mondo è il migliore dei mondi possibile,
sarebbe chiaro che esso sarebbe increato e non ci sarebbe bisogno di Dio”.
Equilibrio – È condizione
instabile, in economia e in diplomazia, dove è termine di riferimento, come in
psicologia – emozioni e passioni, felicità e infelicità, virtù e vizio. E nella
storia – i popoli, i governi, gli imperi. E nella natura: le stagioni, le
nascite, le morti. È la stabilità dell’instabilità, semovente: la vita è moto.
Legge – Quella
perfetta si direbbe “illegale”: una legge cioè che non regola (delimita) ma
decide (impone). I comportamenti come gli eventi.
È
a questo tipo di legge che si riferisce l’eccesso di legiferazione. La pretesa
di questo eccesso di normare tutto. Il cui unico effetto è l’eccesso di burocrazia,
cioè di controllo sterile. Fino al blocco - all’inettitudine - della stessa legge.
Si
può dire anche – poiché lo è, questo è il suo unico effetto – l’eccesso
normativo inteso a coprire, o garantire, atti e comportamenti viziati o delittuosi.
Questo è quanto succede di fatto. Oggi vige l’ideologia del mercato, che
dovrebbe assicurare più merci e più servizi al maggior numero, a condizioni più
favorevoli. Mentre è l’esatto opposto che si verifica: prezzi e merci incontrollabili,
mercati vistosamente oligopolistici. Ma il tutto vigilato, cioè protetto, da
una serie infinita di norme, che vengono evocate in lunghe pagine di consenso
informato, a nessun effetto. E da Autorità di controllo del mercato, che solo
redigono lunghissimi in comprensibili regolamenti – inattuabili?
Libertà – Connota l’uomo.
“Si potrebbe anche definire l’uomo un
animale che si crede libero”, scrive Galiani a Madame d’Ėpinay il 23
novembre 1771, “e sarebbe una definizione completa”. Che “si crede” magari no,
ma che ambisce sì. “È assolutamente impossibile per l’uomo dimenticare un solo
istante,” continua l’abate, “e rinunciare alla sua persuasione di essere libero”.
Questo è più vero – anche se persuasione andrebbe meglio detta convinzione,
cioè ambizione.
Più
conseguente il seguito: “Secondo punto: essere persuaso di essere libero è la
stessa cosa che essere effettivamente libero? Rispondo: non è la stessa osa, ma
produce gli stessi effetti in morale. L’uomo è dunque libero perché è intimamente
persuaso di esserlo, e questo vale altrettanto che la libertà?” L’abate non
risponde, e forse non ce n’è bisogno: la libertà è la volontà di libertà.
Morte – È, se è
qualcosa, un segno di vita. Sia nell’attività, anche frenetica: è un “altro”
segno di vita possibile. Sia nella stanchezza o nella noia, nella caduta dell’interesse
(curiosità). È il rimpianto dei vivi, a memoria, quando c’è, della persona
morta.
Nichilismo – Galiani rovescia
l’argomentazione ateista: “La loro «maggiore» è falsa (“tutto è bene in questo
mondo, che è il migliore dei mondi “. n.d.r.); talmente falsa che, se fosse
vero che questo mondo è il migliore possibile, sarebbe chiaro che esso sarebbe
increato e non ci sarebbe Dio. La sua imperfezione è la prova più convincente
della sua creazione e della sua subordinazione a un essere più perfetto”.
Il
nulla è sensibilmente depressivo. Estratto dalla ragione illuministica – la
ragione semplice-istica – esso alimenta un arguto, per lo più, pessimismo,
ridanciano – di Voltaire e Diderot, anche di Rousseau, che però ne percepiva un
limite. Ėcrasé l’infame, non si sa
più che pensare – il business del Cern, dei particellari del bosone di Dio, era
ancora da inventare. Il materialismo è troppo “poco”, non soddisfa – il genere
la vita è noia, tanto vale non essere nato, eccetera. Il rifiuto cioè di una
spiegazione, accettazione.
L’abate
Galiani, illuminista critico, lo dice mamma – femmina, complementare, nei “Dialoghi”
facendone, non del tutto per ridere, una questione di genere. Si parta,
suggerisce, dalla proposizione: Dio ha creato il mondo dal nulla. “Ebbene, noi
dunque abbiamo Iddio per padre, e il nulla per madre”. È una maniera per l’abate
di rovesciare l’argomentazione ateista: “Sicuramente, nostro padre è cosa
grandissima, ma nostra madre non val proprio nulla”. Poiché si prende dal padre
ma anche dalla madre, “ciò che vi è di buono nel mondo viene dal padre, e ciò
che vi è di cattivo viene da madama niente nostra madre, che non valeva gran
cosa”.
Il
nulla è dunque femmina, ma complementare a che? All’Infinito, che invece
sarebbe padre. Al suo modo scherzoso, ma non più assurdo del materialismo, l’abate
argomenta: “Quando sentite dire lo Zero, o il nulla, voi fate subito concetto
che quindi non debba nascer niente: e quando sentite risuonare il magnifico
nome dell’Infinito, subito apprendete qualche gran cosa, che non possa capire
nell’Universo”. Perché non “temperare un concetto con l’altro”? “Dalla
moltiplicazione dello Zero con l’Infinito ne
raccorrete veramente come si dee, né che il prodotto segua totalmente il ventre
della madre, che è il nulla, né che totalmente rassomigli le fattezze e lo
spirito del Genitore, che è l’Infinito, ma che sia un effetto mezzano tra l’infinito
e il niente”, una “grandezza limitata, la quale sta al nulla, come l’infinito
alla detta grandezza”.
Opinione pubblica
–
Si dissolve, e con essa il senso della politica rigenerativa (ideologica) in
concomitanza con la dissoluzione del mondo gutenberghiano, a stampa. Si era
diffusa, e anzi era dominante, con la stampa. Si è dissolta ne due ultimi
decenni, o in ancora meno anni, per il passaggio della lettura al digitale.
Ossia alla dissoluzione dell’intermediazione, del ragionamento articolato. In
favore di reazioni epidermiche, anche istintive, ma non ragionate (argomentate).
Sotto il velo insidioso della democrazia, del’ugualitarismo.
Ruminazione – O riflessione,
il processo di digestione di ogni idea, comunicazione, parola. È la funzione
corporale che in antico si privilegiava nella lettura del presente e quindi del
futuro, fino alla divinazione. Ed è conservata nel vocabolario, sotto la
dizione “visceri”, per la quale non si intende gli organi dello stomaco ma l’intimità,
il ricettacolo, dei sentimenti e delle passioni: la pietà, la compassione,
l’affetto, l’ira (la radicalità). Un po’ in analogia col cuore ma senza motivo
fisiologico, da sempre, dal antichità greca e romana, i visceri sono
considerati sede delle emozioni - la macchina anzi delle emozioni, una sorta di
coltura idroponica dei sentimenti. Il cuore del resto è anch’esso parte dei
“visceri”, dell’interiorità in cui macera la sensibilità. E lo stesso,
indirettamente, il cervello.
Gli
organi interni sono distinti per funzione. La sede della morale, e della
logica, è indistintamente riferita in latino come “praecordia”, “pectus” e “viscera”. Con una minima distinzione: il cor
è sede delle pulsioni sessuali, sensuali, il pectus e i praecordia di
intelligenza, intuito, anche sentimento, ma ragionativo, senza trasporto. Non
in un rapporto di causa ed effetto, ma come procedimento interiore, di
riflessione, macerazione, ruminazione.
“Ciò
che viene in maniera offensiva detto «ruminare» è piuttosto la «ripetizione»,
attraverso la quale la nostra esistenza ha un peso nel tempo, è ciò che forma
la nostra storicità. Ciò rappresenta la costituzione storica, che dall’Antico
Testamento ha pervaso la nostra esistenza occidentale”, scioccamente derisa dai
moderni, con il loro “piatto razionalismo e una psicologia superficiale” – Karl
Kaspers, “La questione della Colpa”.
zeulig@antiit.eu
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