Il
tema specifico di Maometto all’inferno è trattato in apertura da Maria Esposito
Frank e Karla Mallette. Quest’ultima spiega il trauma fisico inflitto a
Maometto, al canto 28, come una inversione sottile dell’ortodossia islamica –
una sorta di legge del taglione. Maometto è tra i “seminatori di discordie”, la
cui pena è di essere fatti a pezzi da un diavolo munito di spada. Maometto gli
appare “fesso”, diviso in due, con le interiora pendenti tra le gambe: è lui
stesso a mostrarsi a Dante, aprendosi il petto. E profetizza la morte violenta
anche di fra Dolcino, altro eretico.
Un
affascinante contributo, di Giorgio Battistoni, racconta come nel 1921, per i
seicento anni della morte di Dante, il Comune di Verona avendo deciso di aprire
la tomba di Cangrande della Scala, il corpo fu trovato avvolto da indumenti di
fattura islamica, riconducibili alla dinastia Ilkhanide, mongolo-persiana,
1256-1335: Verona commerciava con l’Oriente islamico. E non è tutto: Dante a
Verona incontrò, secondo Battistoni, due letterati ebrei, Hillel ben Samuel e
Immanuel ben Solomon (“Manoello Giudeo”), già membri a Roma di un’accademia di traduttori
dall’arabico.
David
Abulafia completa la raccolta con un saggio sugli “ultimi mussulmani” d’Italia,
- la vicenda degli arabi internati da Federico II a Lucera – che non furono
però gli “ultimi” arabi in Italia: ce ne saranno lungo la costa tirrenica,
specie in Calabria e in Liguria, e nel Salento..
Una
discussione spassionata, si tratta la questione senza pregiudizi né entusiasmi
– uno pensa a Maria Corti, pure dotta filologa, e rabbrividisce. Il titolo
ricalca quello di Asìn Palacios, la ricerca di un secolo fa che ancora
sconvolge il politicamente corretto italico.
Jan
M.Ziolkowski (a cura di), Dante and Islam, Fordham University Press, pp.
384 $ 28
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