La verità della strage è delle indagini che
(non) furono fatte dagli inquirenti, togati e in divisa. Con l’uso servile dei media
come cassa di risonanza a vuoto, anche per la passività dei media stessi Della ricezione
acritica delle voci, boatos usava
dire, del giorno - se si eccettua Camilla Cederna, che oggi nessuno ricorda, e
la (poca) controinformazione dell’epoca, che nessuno cita.
Si sfogliano con sgomento le varie ricostruzioni di piazza
Fontana, a cinquant’anni dalla strage, che si è voluta insoluta. Per questo, e
anche perché, a distanza di cinquant’anni, non c’è alcun intento di dire le cose
come avvennero. Questo sito ci ha provato
ma non fa testo.
Ribadire alcuni punti è solo doveroso.
La “pista anarchica” non nacque nell’ufficio romano degli
Affari Riservati del ministero dell’Interno, nacque nell’Ufficio Politico della
Questura di Milano. A un’ora dalla strage, anche meno.
Sul piano giudiziario, le indagini non furono avocate da Roma, il “porto delle nebbie” per antonomasia. Furono impiantate e svolte a Milano,
da Milano – anche se il solito protagonismo giudiziario non mancò di
esercitarsi sui tempi delle esplosioni a piazza Fontana e alla Bnl romana.
Il
processo a mezzo stampa fu, e sarà, milanese, via “Corriere della sera”.
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