Che ci stiamo a fare in Afghanistan
Non si sa perché
stiamo in Afghanistan. Cioè si sa, ma non è una ragione: siamo buoni,
distribuiamo aiuti, proteggiamo le ragazze che vogliono andare a scuola,
educhiamo il paese a vivere in democrazia. Manteniamo l’ordine democratico, si
dice. No, il paese è sotto il giogo occidentale, per quanto benefico. Ma non efficiente,
poiché siamo lì da quasi vent’anni e, al costo di decine di morti ogni giorno,
anche dei nostri, e fuori dai nostri ridotti, il paese è talebano – era e resta
tribale, a dominanza talebana.
Distribuiamo anche
migliaia di stipendi ogni mese, ai volenterosi collaboratori, e alle truppe di
un esercito afghano che di fatto è lì solo per la diaria. E lo sappiamo: siamo stati
e restiamo truppe d’occupazione, intelligenti e generose quanto si vuole, ma
straniere. Con gli stessi soldi, molti meno, e meno morti ogni giorno, avremmo
potuto organizzare un’emigrazione ordinata, degli afghani che intendono emigrare,
nei nostri o in altri paesi – invece di lasciarli alle mafie.
Si dice l’Occidente,
la democrazia, la scuola. Ma che scuola? Di che intelligenza?
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