mercoledì 18 dicembre 2019

Che ci stiamo a fare in Afghanistan

Non si sa perché stiamo in Afghanistan. Cioè si sa, ma non è una ragione: siamo buoni, distribuiamo aiuti, proteggiamo le ragazze che vogliono andare a scuola, educhiamo il paese a vivere in democrazia. Manteniamo l’ordine democratico, si dice. No, il paese è sotto il giogo occidentale, per quanto benefico. Ma non efficiente, poiché siamo lì da quasi vent’anni e, al costo di decine di morti ogni giorno, anche dei nostri, e fuori dai nostri ridotti, il paese è talebano – era e resta tribale, a dominanza talebana.
Distribuiamo anche migliaia di stipendi ogni mese, ai volenterosi collaboratori, e alle truppe di un esercito afghano che di fatto è lì solo per la diaria. E lo sappiamo: siamo stati e restiamo truppe d’occupazione, intelligenti e generose quanto si vuole, ma straniere. Con gli stessi soldi, molti meno, e meno morti ogni giorno, avremmo potuto organizzare un’emigrazione ordinata, degli afghani che intendono emigrare, nei nostri o in altri paesi – invece di lasciarli alle mafie.
Si dice l’Occidente, la democrazia, la scuola. Ma che scuola? Di che intelligenza? 




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