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Marguerite Duras – Specialista dei ménages a
tre e anche a quattro. Nei primi anni del successo, a cavaliere dei trent’anni, durante e dopo la guerra. Negli ultimi
tre anni dell’occupazione tedesca di Parigi e nei primi tre della liberazione, anni convulsi, anche
personalmente per la scrittrice, di frenetica attività politica. Nel 1950 sarà “processata” ed espulsa
dal Pcf, il partito comunista
francese, per condotta immorale. Fu espulsa in realtà perché insofferente allo stalinismo, da
ultimo in un articolo scritto per “France Observateur”, poi “La Nouvel Observateur”, il settimanale radicalsocialista.
Ma ufficialmente per queste sue relazioni complicate, a tre e a quattro.
Questo aspetto sarà ricostruito da Pierre Péan nella biografia del
giovane Mitterrand (“Une jeunesse française: François Mitterrand”, 1994), parlando con alcuni membri
del gruppo di Resistenza di
Mitterrand, di cui Duras faceva parte, e con atri testimoni
dell’epoca. L’espulsione di Duras avvenne dopo un processo politico in cui l’accusa fu affidata a
Henri Lefebvre, allora “filosofo del partito”, allievo dei gesuiti, invano difesa da Edgar Morin. “La
mia fiducia nel partito resta intatta”, lei ribatté. Ma anche: “Forse mi trattano da puttana perché non trovano
altro”. S’era iscritta nel ‘44 omettendo di dirsi scrittrice, dirà in un’intervista, “perché il
Partito non amava gli intellettuali”. Con lei furono espulsi l’ex marito Robet Antelme, e l’ex amante fin
dal 1942, quando lei aspettava un figlio da Antelme, poi nato mrto, e ora suo sposo, Dyonis Mascolo,
amico di Antelme – tutt’e tre compagni nel gruppo di Mitterrand, e poi nel Pcf.
La relazione è anche al fondo del racconto “Il dolore” della
stessa Duras, sull’attesa di Robert Antelme, quando la guerra fu finita, preso dalla Gestapo nel 1944
e internato a Büchenwald, e poi a
Dachau. Dove fu scovato da Mitterrand in persona nel maggio 1945,
all’ultimo momento utile, pelle e ossa, abbandonato dagli americani in quarantena perché sospetto
di tifo. Antelme sopravvisse – sarà l’autore di “La specie umana”, una testimonianza ancora
apprezzata sui campi diconcentramento e sterminio. Accudito da Marguerite e Mascolo nel
racconto. Che termina a Bocca di Magra, dove il trio è ospite di Ginetta e Elio Vittorini. Dopo
che Marguerite ha annunciato a Robert la decisione di divorziare, e ha risposto no alla sua
richiesta di frequentarsi comunque.
Divorzia, dice nel racconto, perché vuole un figlio da Mascolo.
La storia è simile ma diversa in punti sostanziali nel racconto di
Péan, in margine alla sua biografia di Mitterrand. Un racconto lungo accompagnato a “Il
dolore”, “Il Signor X., detto qui
Pierre Rabier”, è dell’infatuazione che Marguerite corre col
francese della Gestapo che ha arrestato Robert. Ha avuto con lui una frequentazione quasi
giornaliera, nei grandi locali della tradizione, Fouquet, il Flore, il Deux Magots, ben forniti di tutto, malgrado
la guerra, per i tedeschi e i collaborazionisti, quando lo sbarco di Normandia è già avvenuto,
con la liberazione della Francia a Nord di Parigi e l’inizio dell’occupazione della Germania – è il
giugno-luglio 1944, i tedeschi lasceranno Parigi ad agosto. È
stata più di un’infatuazione, raccontano a Péan i vecchi compagni della Resistenza, e ha avuto
conseguenze pratiche. “Una
relazione pericolosa e ambigua”, la dice Morin. La cellula non era
d’accordo su questa frequentazione, che Duras dice ne “Il dolore” mirata a sapere del
destino di Antelme dopo l’arresto, e ad alleviarne se possibile la condizione. A Jean Munier, che è
sfuggito prendendo a pugni “Rabier”alla retata del’1 giugno, e ne dà testimonianza in
M.Duras-F.Mitterrand, “Le bureau de poste de la rue Dupin”, Marguerite avrebbe confidato all’epoca,
aprile 1945: “Quasi varcai il Rubicone”. Il “Rabier” del titolo si chiamava Delval, Charles.
C’entra anche la moglie di Delval, che Duras nel racconto dice
“insignificante e bella”. Ma con la quale finirà per costituire una sorta di ménage a
quattro. Si chiamava Paulette e ha parlato con Péan a lungo di Marguerite, “in termini che non trova abbastanza duri” –
anche: “proferisce su Margurite Dura frasi che si posson riferire”. Marguerite l’aveva
personalmente interrogata quando il marito, a settembre 1944, era stato arrestato dal gruppo di
Mitterrand. Anche lei era stata fermata. Poi, dopo quindici giorni, il marito era stato consegnato all’autorità
giudiziaria. Il processo si fece a dicembre 1945 – Delval sarà giustiziato nella prigione di Fresnes
aiprimi di gennaio del 1946.
Duras fu testimone per l’accusa e per la difesa. In questo caso testimoniando
che Delval “aveva risparmiato alcuni ebrei che era stato incaricato di arrestare,
per compassione”. Ma intanto Paulette ha avuto e ha una
relazione con Mascolo, che ha accompagnato Duras quando questa l’ha sottoposta
a interrogatorio. “Feci l’amore con Mascolo per salvare mio marito”, dirà a
Péan. Mascolo indirettamente lo conferma a Péan: “Era passionale”. Ma si incontravano
regolarmente: per alcuni anni Mascolo si sarebbe diviso tra le due donne – una
condizione “eccezionalmente violenta” dice Péan.
Nei quindici giorni di fermo, Paulette
fu interrogata due volte: “Tanto Margeuite era cattiva tanto Dyonis era pieno
di attenzione”, racconterà a Péan:” Un giorno mi ha portata a rue Richelier,
100”, sede del giornale “Libres”, “e mi ha interrogata da sola a sola, una benda
sugli occhi”. Paulette ebbe un figlio da Mascolo a giugno del 1946. È qui che
Duras chiede il divorzio a Antelme, perché, scrive ne “Il dolore”, “voglio un
figlio da D.(yonis Mascolo)”. Lo avrà nel 1947 – Jean, detto “Outa”. Una sorta
di quadrangolo. Paulette attribuisce anche a Marguerite l’esecuzione del marito
– cosa che indirettamente Duras ha confermato dieci anni prima, nel racconto
allegato a “Il dolore”: “Io a causa della quale lui morirà”. In “Scrivere”
dirà: “Non ho mai mentito in un libro. Né nella vita. Eccetto che agli uomini.
Mai”.
La vicenda di Antelme, e Delval, è
ripresa lungamente nei colloqui che Duras avrà con Mitterrand, nel 1986, per un
docufilm – i colloqui sono anche pubblicati, in “Le bureau de poste de la rue
Dupin et autres entretiens”. Sia nei colloqui che nell’apparato che accompagna
l’edizione a stampa. Presentata da Mazarine Pingeot, la figlia adulterina che
Mitterrand ha riconosciuto da adulta. È Marguerite che chiede a Mitterrand di
parlarne, per chiarirsi, dice, cose che ha dimenticato o non ricorda bene.
In rue Dupin, sopra la posta, era
l’abitazione di Duras e Antelme, dove Robert viene arrestato dalla Gestapo,
insieme con la sorella Marie-Louise, cui Mitterand era stato legato,
e che morirà nel lager. In seguito alla delazione di un membro
del gruppo, di cui non si fa il nome. Mitterrand si trova all’ufficio postale,
capisce che qualcosa non va, telefona su, e poi ritelefona, e Marie-Louise gli
risponde sempe più irritata: “Lei ha sbagliato numero”. Si mette in salvo, e
avverte gli altri, compresa Marguerite, della retata. Rue Dupin era uno dei
tanti alloggi di Mitterand, che li cambiava spesso, da lui ceduto a Marguerite
Duras – “dove gli amori si scambiano liberamente”, inneggia Mazarine
nell’introduzione.
C’era a Parigi un trio indivisibile, di
studi e di vita - che si legherà a Mitterrand: Antelme, Georges Beauchamps e
Jean Lagrollet, si ricorda nella conversazione. Lagrollet è il compagno di
Marguerite Donnadieu, poi “Duras”. Ma quando, nel 1936, Marguerite incontra
Antelme, pare presentatole da Mitterrand, è un colpo di fulmine e il trio si
spezza: Lagrollet pesa al suicidio, Beauchamps lo dissuade portandolo in
viaggio, Antelme è mortificato - “un essere eccezionale” lo dice Marguerite,
che se ne è subito innamorata. Beauchamps sarà poi quelo che organizza il
viaggio per salvare Robert a Dachau.
Al primo colloquio della serie “Le
bureau de poste” Mitterrand si dice subito reduce da una visita a Antelme, che
ha trovato malandato, e in uno stadio avanzato di Alzheimer – morirà quattro
anni dopo, subito immortalato da Parigi con l’intitolazione di una strada. Le
lodi sono sempre costanti di Antelme. Anche Mascolo, che intanto ha divorziato
da lungo tempo da Marguerite, lo ha celebrato, con un biopic, “Autour de Robert
Antelme”, per la vecchia strettissima amicizia di gioventù, e per le qualità di
scrittore e pensatore di Antelme.
Di Rabier-Delval, del suo processo,
Mitterrand ricorda una conversazione salottiera con l’avvocato Floriot, il
difensore: “C’era una matta che ha testimoniato prima a favore e poi contro”.
E, pur professando fede completa nella giustizia – “non c’è errore giudiziario,
la condanna è sempre vera” – ricorda che Delval è stato condannato per
appartenenza alla banda Bony-Lafont, di squadristi francesi, a cui non apparteneva: “Non c’era niente
contro di lui nel suo dossier”. Anche se, ricorda Mitterrand nella
conversazione, “era l’uomo che conosceva meglio la nostra filiera, era lui che
aveva già arrestato quattordici dei nostri amici”, con Robert Antelme.
Delval, dicono i curatori, aveva da
Paulette un figlio di sei anni quando fu fucilato.
Lombardia – Era il giardino d’Italia,
nelle ricognizioni degli europei, in tour
e non. Di Stendhal in molteplici passi – a complemento della sua identificazione
con Milano. Di Shakespeare, che aveva buone letture – e il calabrese Florio di
Bagnara per le traduzioni. Ma anche del piemontese Bandello, del padovano Ruzante.
Scrivere – Si può decidere di non scrivere più – di non scrivere più
d’invenzione. Frederick Forsyth lo decide ora a ottant’anni – “non
ho più stimoli”. Philip Roth ha posto la questione a fine 2012, a 79 anni, per
“dedicarsi alla vita” – che però è durata poco, fino a pochi mesi fa. Un
annuncio analogo aveva fatto Simenon, nel 1972, dopo 72 volumi di romanzi e
racconti – morirà nel 1983, dopo lunghi racconti di ricordi e memorie. Hanno
invece smesso senza annunciarlo narratori celebri al culmine della fama. Salinger,
nel 1965, di 46 anni, si autocancellò dal mondo - ma si scopre ora che scriveva
ogni giorno, in ogni luogo, su ogni pezzo di carta: non voleva pubblicare. E.M.
Forster dopo il 1928, non ancora cinquantenne, con ancora una quarantina d’anni
da vivere, non scrisse più racconti.
Tolstòj decise di non scrivere più nel
1959, di 31 anni – salvo riprendere tre anni dopo (con “Guerra e pace”…).
Siciliano – Torce l’italiano alla
lingua d’origine, di origine dell’italiano al tempo della poesia della Scuola
Siciliana, a opera di un linguista ligure-trentino? Faremo transitivi gli
intransitivi, “scendi il cane”, “esci i soldi”, “siedi il bambino”, come
suggerisce il professor Vittorio Coletti, consigliere dell’Accademia della
Crusca – che però non ha accolto bene la proposta? L’intransitivo, in effetti,
che roba è?
È la “linea della palma” di Sciascia che
sale a occupare anche la linguistica – Coletti è noto lessicografo-linguista?
Shakespeare – Perché non sarebbe veneto
– una personificazione in più sulle due o trecento già in essere?Il Venetp ne
ha più titolo di tutti, il Bardo ne tratta volentieri, di Verona soprattutto, e
di Venezia e Padova. Anzi, lombardo-veneto – quindi con titolo a leghista –
avendo parole di elogio anche per Milano e la Lombardia (nella “Bisbetica
domata”). Verona, Vicenza e Padova ritornano in cinque delle sue opere. Sergio
Persoa, anglista emerito, curatore di un tutto Shakespeare, ripubblica un suo
vecchio saggio, “Il Veneto di Shakespeare”, per ricordarlo: “Romeo e Giulietta”
naturalmente, e “Otello”, con “I due gentiluomini di Verona”, “Il mercante di
Venezia”, “La bisbetica domata”.
Tedeschi – I tedeschi avevano paura
dei tedeschi”, racconta Marguerite Duras in “Il Signor X detto qui Rabier”, uno
dei racconti degli ultimi giorni dell’occupazione tedesca a Parigi (nella
raccolta “Il Dolore): “Rabier non sapeva a che punto i tedeschi facevano paura
alle popolazioni di paesi occupati dai loro eserciti. I tedeschi facevano paura
come gli unni, i lupi, i criminali, ma soprattutto i psicotici del crimine. Non
ho mai saputo come dirlo, come raccontarlo a quelli che no hanno vissuto quell’epoca, quella speciale paura”. Rabier, francese
volontario della Gestapo, “aveva paura dei suoi colleghi tedeschi”.
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