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Conoscenza – “L’eccesso di
conoscenza ci rende insicuri”, è tema brusco di Georg Groddeck, “Questione di
donna”. Il dottor Groddeck aveva fama di taumaturgo e ciarlatano. E si esprime
oracolare in questo suo primo saggio, “Questione di donna”. Ma gli argomenti ci
sono: “Il mondo può vivere senza sapere, l’uomo può pensare senza la
conoscenza. Essa è un pericolo per chi ha scoperto una nuova verità. Perché la
verità non si può sapere, ma soltanto credere. E che cosa potrebbe essere più
incredulo del sapere?”
Con
la coda velenosa. “Il sapere è eternamente sterile. Soltanto il dubbio sparge a
piene mani il seme della speranza nel cuore dell’uomo. Da esso scaturisce
divina l’idea e si protende verso la luce…. Il conosciuto è inattaccabile. Il
mondo muore, quando diventa sapiente”.
Galileo - Fu
rivoluzionario per credere alla rivoluzione dei pianeti, per il resto era papalino.
E qui era forse l’insidia per i suoi sofisticati accusatori: Galileo stava alle
cose che vedeva. E coltivava l’eleganza: la misura e l’ordine nelle cose riflettono
la loro verità.
Machiavelli
aveva anticipato Galileo. Hobbes, che aveva tradotto Tucidide, e Grozio ne
applicarono il metodo al corpo politico, Spinoza all’etica, Leibniz alla terza,
o seconda, guerra di successione al trono di Polonia.
Leggere
– “Il leggere e lo scrivere cancellano le differenze nel
conoscere”, G. Groddeck, “Questione di donna” (“L’Impero Bizantino”).
Machiavelli – Se ne registra
un imprevisto ritorno, in studi e “biografie” (Asor Rosa, Michele Ciliberto,
Francesco Marchesi, altri), come antidoto all’antipolitica, che è il fondo del
contemporaneo populismo. Come di un notaio della politica, della politica come
scienza o arte. Come tale era stato vissuto nei secoli anche dagli
anti-Machiavelli professi, da Federico I di Prussia a Carl Schmitt - per non
dire dei “machiavellici” mascherati, da Carlo V a Mitterrand.
Asor
Rosa, “Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta”, mette a confronto
vantaggiosamente – ma ci vuole poco – Machiavelli con l’Italia di oggi, la sua
Italia con quella che viviamo. Nulla di nuovo, ma in una prosa curiosamente
poco machiavelliana, ispirata e quasi profetica. Ciliberto lo vuole fuori dall’“armonia
rinascimentale”, uomo e pensatore delle disarmonie – dei conflitti, le
tensioni, le sconfitte. Anche se era storico, e storico ferrato? Non ha
interesse filologico e la storia dice ciclica. Ma inerte? No, immutabile come
la natura umana, e come essa “accidentale”, di forme variegate. Un
disincarnato, al contrario del Machiavelli corpo e spirito di Asor Rosa, pessimista: si fa il bene per caso e per necessità.
“Ragione e pazzia” Ciliberto intitola il suo studio, di un uomo e intellettuale
che viene sulle ali di Lucrezio e Savonarola, e avvia “tangenze” con Giordano
Bruno.
Machiavelli
è un pretesto.
Machiavelli è l’uomo dei suoi anni. Compresi tra due date
memorabili, 1492-1526, dalla morte del Magnifico - al cui omonimo Lorenzo II è
dedicato il “Principe”, il Medici che lo ha bandito da Firenze dopo la
Repubblica – al Sacco di Roma. Scanditi dalla “calata” funesta dei francesi di
Carlo VIII e dall’invadenza ispanica, nefasta sotto ogni aspetto, allora e dopo.
Allora, negli anni della “grande catastrofe”, Asor Rosa la registra, per i
destini dell’Italia. Alla quale l’attività politica e le scritture di
Machiavelli sempre si rapportano. Da intellettuale più che da uomo pratico o d’azione,
conscio dei suoi limiti, ma non per questo meno appassionato.
Sa che lo Stato si edifica sulle masse, la
forza è eversiva solo se ampia. E “non ci lasciano spostare un sasso”, constata
col suo “compare” Vittori: l’intellettuale-massa è solo.
Il
suo principe è un condottiero, uno che fatica, rischia ogni giorno la morte, e si
esercita in accortezza, nella politica, gli affari, i matrimoni, per poi
magari, quando ha conquistato una città o una signoria, perderla di colpo. Non
per il fato, o la superiorità del nemico, ma per essere quello che è, un avventuriero.
Uno cioè che vive la vita – oggi si direbbe: produce reddito. Anche il principe
è solo, ma per essere senza masse.
Machiavelli viene, come Hobbes, da guerre endemiche, anche civili. E
operò e scrisse per – a favore di – un “dovere di libertà”.
È, con Hobbes e Marx, un grande liberale
realista. Un libertario cioè - il liberalismo conseguente è libertario. Allegro
furioso del vivere libero ma realista, la virtù dice insieme golpe e lione, sa
che il bene può giovarsi del male.
Gli
svizzeri “godonsi”, spiegava a Vettori, “sanza distinctione alcuna di uomini,
una libera libertà”. Sa che la libertà può essere suddita.
Esorcizzava il potere, non lo insediava o
imponeva – restò inapplicato per questo. Non ne ha ricette, eccetto che la passione,
o ideologia, repubblicana. Intraprese la costruzione d’un nuovo Stato a partire
dal nulla, con la follia dell’utopista rivoluzionaria. Non ce la fece. Lui non
era un capo, altri non ce n’erano - Cesare Borgia non era male, se matò mezza
dozzina di tori selvaggi in una volta, ma è personaggio da western.
Il Nord popolava di dei, dove è “residuo
di libertà e antiche virtù”, quei popoli non avendo potuto “pigliare i costumi
di francesi, spagnoli, italiani, le quali nazioni sono la corruttela del
mondo”. In quello che fu il posto delle utopie. A lungo fu il Nord posto di
utopie, la mitica Thule scoperta da Pitea di Marsiglia, gli Iperborei, gli
Atlantidi, un non luogo.
Non
era machiavellico.
Altrimenti avrebbe scritto sermoni edificanti, vite di santi – l’Aretino lo
faceva, per infinocchiare il papa. Un “Antimachiavelli” è invece ottima opera
machiavellica.
Fra gli anti-Machiavelli si segnala il
Possevino,
il gesuita di origini ebraiche che viaggiò molto per la Moscovia. Uno che,
scoprì Puškin, “non aveva mai letto Machiavelli, lo criticava per sentito dire”.
Un concetto del machiavellismo è stato elaborato negli anni 1960 dal Machiavelli
Studies Center dell’università di Washington: del politico come stratega, la
cui passione è “vedere” la storia nel suo farsi, non curandosene o lasciandone
a altri la cura, malgrado l’attivismo, o l’attivismo della fantasia, con amici
e corrispondenti.
Puritanesimo – Un puritano
trova sempre un puritano più puritano di lui, è vecchia saggezza. Il
puritanesimo è una forma di estremismo (fondamentalismo), non una serie di leggi
né una scala di valori.
Storia – “Il mestiere dello storico è serissimo,
patetico, inutile e terribile”, Sergio Luzzatto: “Quando si cerca di farlo con
serietà e metodo la posta è alta. Ma la storia non è maestra di nulla, e lo
storico, fra le tante cose che non riesce a fare, non può medicare le ferite. È
inutile perché non cambia il passato, e terribile perché insiste su queste
lacerazioni”.
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