sabato 6 aprile 2019

Letture - 380

letterautore


Germania – Goethe la rappresenta, scriveva Croce (aprendo un messaggio alla radio il 21 maggio 1949, per presentare le celebrazioni del secondo centenario della nascita di Goethe), per esserne diverso - come avviene in Italia con Dante: “I grandi poeti non sono gli interpreti e i rappresentanti dei loro popoli” così cominciava l’allocuzione,  ma ben piuttosto i loro contrarii, i loro critici, correttori ed integratori”. Lo stesso per Cervantes e gli spagnoli, o per Shakespeare e gli inglesi. “E Goethe, sereno, armonico e largamente umano di fronte ai suoi tedeschi, amanti di guerra e fanatici per la loro stirpe, e serii bensì e laboriosi ma anche non poco pedanti”.

Ebbe l’egemonia culturale approssimativamente nel secolo che va dalla Restaurazione al primo dopoguerra. Ma sfalsata rispetto alla fioritura culturale, che è stata precedente, ed è stata successiva – Brecht, Th. Mann et al..

Goethe – Il “Viaggio in Italia” redasse e pubblicò come una tarda, estrema, difesa del classicismo contro il romanticismo. Come dimostrano le prime reazioni alla pubblicazione. Lo spiega Marino Freschi sul “Mulino”.
Freschi lo fa rilevare dai primi commenti, all’uscita del “Viaggio”. L’ambiente era ormai romantico, avverso al classicismo, al tentativo weimariano di classicismo, a opera di Goethe e di Schiller, “e i commenti al libro non si fecero attendere”. Tutti meravigliati, e ostili: “Proprio da Roma, dagli ambienti particolarmente sensibili e autorevoli del Romanticismo, partirono le critiche più vigorose. I Nazareni, i celebri pittori tedeschi trapiantati a Roma alla ricerca dell’arte sacra cristiana, rimasero sbalorditi dal «paganesimo» del libro e dall’unilateralità delle scelte italiane di Goethe. Niebuhr, uomo politico e storico insigne, da Roma elencava a Savigny, il caposcuola del pensiero giuridico tedesco, le volute stranezze del viaggio italiano del massimo poeta tedesco. La più vistosa fu la permanenza di solo tre ore a Firenze, nonché l’omissione della visita alle Cascate delle Marmore. A ciò si deve aggiungere l’ostinata e ingiusta polemica contro «il triste duomo di San Francesco» ad Assisi, volutamente trascurato per esaltare il tempietto classico di Minerva, oggi Santa Maria sopra Minerva. Niebuhr conclude: "Dico tutto ciò solo per confermare il mio giudizio che Goethe ha visto senza amore. E proprio lui che da giovane aveva entusiasmato i tedeschi per l’arte medievale!”. Mentre da Parigi il giornale “Le Globe” ne difende l’“oggettivismo impolitico”.
Nella ricostruzione goethiana il viaggio fu anche bislacco, fa notare Freschi: “Comincia alle tre di notte del 3 settembre: Goethe parte senza avvertire nessuno, né il sovrano di cui era ministro e amico, né l’amata Charlotte, che pianta in asso senza nemmeno un bigliettino” – il rapporto fu presto recuperato col sovrano – che “invece di licenziarlo in tronco, acconsentì a un congedo (retribuito) di quasi due anni” e al ritorno “gli aumentò lo stipendio e gli ridusse notevolmente il carico di lavoro” – ma non con Charlotte, che non gradì il diario di viaggio che Goethe dirà a Eckermann nel 1829 di averle portato (senza drammi: Goethe, dopo la rovente e liberatoria stroia romana comn Faustima, govane popolana, si legherà a un’atra giovane popolana, Christiane Vulpius, che nel 1806 sposerà.

Strano il “Viaggio” è sempre sembrato. Di fatti avvenuti tra il 1786 e il 1788 Goethe scrive quasi trent’anni dopo, nel 1816. Distruggendo poi i documenti su cui ha ricostruito il viaggio stesso.
A Roma Goethe fu sotto pseudonimo, quello del pittore Philipp Möller. Temendo l’Inquisizione, dopo la condanna del “Werther” per istigazione al suicidio. E per essere massone, propriamente della loggia degli Illuminati allora sotto processo curiale. Ma fu un soggiorno liberatorio, dal lato sentimentale e, soprattutto, da quello letterario: dopo dieci anni da funzionario a Weimar, ritrova l’estro artistico: dipinge, e torna alla poesia, con le audaci “Elegia romane” per Faustina. Lascia la città in una “struggente notte di pleniluono”, con la sicurezza ora che l’arte è la sua missione – assomigliandosi perfino a Ovidio mandato in esilio. A Roma sarà seppellito il suo unico figlio, August, morto nel 1830, nel cimitero degli Inglesi. Qualche mese dopo, prima di morire egli stesso, Goethe confidava a un amico che gli unici momenti felici della sua vita li aveva vissuti a Roma.

Oriente - È, era, il luogo degli eroismi? Pavese lo ipotizza attraversando l’antichità (“La Chimera”, il secondo dei “Dialoghi con Leucò”), ma su riferimenti che sembrano attuali: “Volentieri i giovani greci andavano a illustrarsi e morire in Oriente. Qui la loro virtuosa baldanza navigava in un mare di favolose atrocità… Inutile far nomi. Del resto le Crociate furono molte più di sette”.
Già Omero ne parla, aggiunge Pavese: “Della tristezza che consunse nei tardi anni l’uccisore della Chimera, e del nipote Sarpedonte che morì giovane sotto Troia, ci parla nientemeno che Omero nel sesto dell’«Iliade»”.

Rosso – Dominique Fernandez, l’italianista accademico di Francia, traccia un vorticoso repertorio del sospetto e le condanne che il colore ha registrato nella storia, la filosofia e la letteratura – nel romanzone-saggio “La société du mystère”, in cui rifà gay il Rinascimento, seppure al coperto. Gli egiziani facevano sgozzare i nemici dai capelli rossi, i sumeri li decapitavano,  i persiani li interravano viventi sotto uno strato di rifiuti. Aristotele: “Il colore rosso è una specie d’infermità della peluria”. Marziale se la prende in un epigramma con un rosso di pelo. Giambattista della Porta. “Il rossore dei capelli denota stupidità, predisposizione all’intrigo, vocazione al tradimento, inclinazione alla follia”. Giuda non poteva essere che rosso. Lo stesso la volpe, furba e cattiva. Masaccio ha visto rossi Adamo e Eva cacciati dal paradiso. Il Vautrin di Bazac , genio dell’inferno, è rosso e ha le falangi ricoperte di peli “di un rosso ardente”.L’infame Thénardier di Hugo è rosso. “L’odore dei rossi” s’infiltra nello studio del dottor Bovary. Nanà la prostituta e Gervaise l’ubriacona di Zola hanno il vizio inscritto nei capelli rossi. Per Lombroso naturalmente le rosse sono specialmente inclini al “crimine di lussuria”. E poi c’è il dottor Émile Laurent, medico delle prigioni di Parigi, secondo il quale “un letterato distinto non può, quando incontra una donna rossa per strada, impedirsi di seguirla”.

Anche l’Inghilterra è perfida perché rossa? Fernandez lo dice in forma interrogativa: “L’adagio «la perfida Albione» non deriva da quest’altro pregiudizio: «Tutti gli Inglesi sono rossi»?”
Ma Albione, l’antico nome della Gran Bretagna, non deriva in realtà dal bianco, la radice alb-? La Scozia, l’Irlanda e il Galles originariamente erano Alba, o qualcosa di simile.

Rovine – Sono nuove in letteratura, piuttosto che vecchie. Walter Benjamin, appassionato contemporaneista, il critico “militante” di una volta, vi passeggia tra le consuete letture, in “Paesaggio con rovine”.

Stroncature – Mephisto, ironico stroncatore delle arti e le lettere in prima sul supplemento “Domenica” del “Sole 24 Ore”, lamenta questa domenica che il bimillenario della morte di Ovidio sia passato inosservato - “tranne che a Sulmona”, dove nacque. Che invece non ha fatto niente. Mentre a Roma ha avuto una mostra monstre, piena di prestiti pregiati a tutto il mondo. Per Mephisto Roma non esiste?

Viaggio – È la meraviglia, per uno stanziale come Baudelaire – che viaggiò giusto in Belgio, dove stette malissimo, ci scrisse sopra un libro. È con un poemetto “Il viaggio” che conclude “I fiori del male” – dedicato a un grande viaggiatore, Maxime du Camp: “Per l’infante, goloso di carte e di stampe,\ l’universo è uguale al suo vasto appetito”.


letterautore@antiit.eu

Leonardo artista della tecnica


Un esercizio di virtuosismo, una mostra di estremo interesse su un solo dipinto, curata dal direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta – l’unico contributo finora di Roma al centenario. Dove c’è tutto di Leonardo. Il temperamento e gli interessi, soprattutto per la tecnica, il suo interesse divorante - la sperimentazione. Che più spesso finisce male, e a volte nel non finito. Anche del dipinto in mostra,  l’unico certificato dei suoi tre anni a Roma, quando all’improvviso abbandonò Milano - lasciandovi tutte le sue cose. Le tecniche usate in questo dipinto-laboratorio sono mostrate in video, certificate dal laboratorio di restauro vaticano.
C’è anche la documentazione della sua permanenza a Roma, cooptato da Giuliano de’ Medici, cardinale, fratello del papa Clemente VII, prima della decisione altrettanto improvvisa, morto Giuliano, di andarsene a Parigi. La mostra documenta il suo soggiorno al Belvedere, struttura poi sacrificata ad altri edifici. La possibile committenza del quadro, probabilmente fiorentina – il santo era in grande domanda a Firenze. Finito poi, qualche secolo dopo,  a Milano, ad Angelika Kaufmann. I cui eredi vendettero la pala per legno vecchio. Recuperata in vari pezzi per l’insistenza del cardinale Fesch, lo zio di Napoleone, il fratello uterino di Letizia Ramorino, poco prima della sua morte nel 1839. Riportata a Roma sulla expertise di giovani accademici di San luca, nel quadro della politica d Pio IX acquisire reperti artistici a soggetto religioso. 
Con un tentativo di decifrazione dell’iconologia. Come sempre indefinita in Leonardo, ma qui, sul tema religioso, di complessa lettura.
Leonardo, il san Girolamo dei Musei Vaticani, Braccio di Carlo Magno, Vaticano

venerdì 5 aprile 2019

Secondi pensieri - 381

zeulig



Angeli – Immaginati e rappresentati infanti, sarebbero invece persone mature. È la motivata  opinione di Johannes Tauler, il teologo mistico straburghese del Trecento, fine analista dell’essere – e di tutte le forme dell’amore: “L’uomo non avrà la vera pace, né diventerà essenziale, an­gelico, prima dei quarant’anni. Dopo di ciò bisognerà che aspetti altri dieci anni, prima che discenda su di lui lo Spirito Santo, il consolatore che insegna tutta la verità”.

Creazione – A Edipo che gli chiede: “Ma allora, gli dei che ci fanno?”, nei “Dialoghi di Leucò”, Pavese fa rispondere a Tiresia: “Il mondo è più vecchio di loro”. Il “mondo” a un certo punto ha bisogno della creazione.
Senza, è niente – peggio: poco più di niente.
Ne ha bisogno come di un titolo di nobilitazione. Proprio come usava nelle vecchie famiglie.

Esperienza – Riduce l’orizzonte – le capacità, i desideri, l’immaginazione – e non lo allarga, non ne moltiplica o incrementa le possibilità. È l’ipotesi di Baudelaire in apertura al poema “Il viaggio” che chiude “I fiori del male” - dedicato a un fanatico del viaggio, Maxime Du Camp, che trasse nello scomodo Oriente perfino il casalingo Flaubert:
Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes,
L’univers est égal à son vaste appétit.
Ah! que le monde est grand à la clarté des lampes!
Aux yeux du souvenir que le monde est petit !
Guardando avanti, agli inizi della vita, l’orizzonte è infinito, guardando indietro, alla propria storia, tutto all’opposto è limitato.

Lo stesso si può dire della storia. Che, benché creazione inesauribile (la ricostituzione del passato), è tuttavia limitata. Anche per programma, necessario.

Fede – È un bisogno fisico (fisiologico)? Una forte motivazione al risveglio la mattina e l’appartenenza a una comunità religiosa allungano le aspettative di vita, secondo le ricerche demologiche svolte nelle aree con la più alta concentrazione di longevità, di individui centenari. Secondo queste ricerche – alcune di queste ricerche, le quali però sembrano indotte, seppure con diverse motivazioni, sullo stesso modello di rilevamento - andare a una funzione religiosa quattro volte al mese può aumentare l’aspettativa di vita dai quattro ai quattordici anni.

Intelligenza Artificiale – È espansiva ma limitativa. L’esito è già in “Blade Runner” – meglio nel soggetto originario, il romanzo di Philip K. Dick, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, che nel film: non ci sono differenze, se non minori, tra gli esseri umani alienati e gli androidi umanizzati. Come la stessa fantascienza nella quale si situa, il genere letterario, che è più limitativa – ripetitiva, modulare – che espansiva – creativa, immaginativa, accrescitiva.

Liberalismo – È tedesco all’origine, nella convinzione d Croce, “Storia dell’Europa”, ribadita nell’articolo “La Germania che abbiamo amata” , pubblicato nell’agosto 1936 sul quotidiano di Berna “Die Nation”. Croce lo trova in Kant, Fichte, Goethe, Hegel, che l’Europa postnapoleonica adotterà, per prima la stessa Francia, nelle more della malaccetta Restaurazione. È in Germania, scrive Croce, che l’Europa trovò le soluzioni a tanti “problemi che l’avevano travagliata e la travagliavano, elaborazioni di concetti abbozzati, vie d’uscita che aveva già cercate, conclusioni e sistemazioni  a cui già si era avvicinata o verso cui procedeva” -  “vi trovò finanche i sussidi necessari per correggere e integrare il suo razionalistico concetto della libertà nel concetto storico del liberalismo” (“La Germania che abbiamo amata”).
Lo dice però meravigliandosi, nella “Storia dell’Europa”, “che gli scrittori tedeschi non le abbiano dato risalto e non traggano compiacimento da questa efficacia e dalla loro filosofia storica sulla maturazione dell’ideale liberale”. Una “maturazione”, allora, esercitata contro le loro intenzioni, o interessi?

Sesso – “Le cose del mondo sono roccia”, dice il Tiresia di Cesare Pavese a Edipo nei “Dialoghi di Leucò”, e il sesso è roccia. Prima e sopra gli dei: “Non c’è dio sopra il sesso”. Il “serpe” – il sesso – è “più antico di tutti gli dei”. E “c’è in esso la vita e la morte. Quale dio può incarnare e comprendere tanto?” Ma è “illusorio” – il “mondo” non è “roccia”: “Il sesso è ambiguo e sempre equivoco. È una metà che appare un tutto”. L’uomo ci sguazza, “come il buon nuotatore nell’acqua”, ma non si evita d’invecchiare, e di morire. Seppure con un’illusione, “che l’altro sesso ne esca sazio”.
L’edizione corrente dei “Dialoghi”, che lo stesso Pavese approntò e rivide, dice “il serpe è il più antico” degli dei, ma il sesso Pavese non intende divino.

Zen – Una vertiginosa versione di un concetto che dice indefinito Leonardo Vittorio Arena, che ne è lo studioso accreditato, dà nel lungo saggio-postfazione a Tezuka, “Un’ora con Heidegger”, 62-66: “Il koan si ripromette un suono inudibile”.
Forte estetica, ma conoscitiva? Sensiblerie si direbbe in francese. Che però si pretende conoscitiva, se si pubblicano raccolte, come attesta Arena , “di risposte «giuste» ai koan”. 

zeulig@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo 30


Il “National Enquirer”, pubblicazione scandalistica, pubblica le foto di Bezos nudo con la sua nuova fidanzata. Bezos dice che è una vendetta di Trump, che Trump ha dato le foto al “National Enquirer”. Prima. Poi assolda un detective, dice di averlo assoldato, il quale invece segue la pista saudita: sono stati i sauditi a divulgare le foto, gli assassini di Kashoggi, il giornalista saudita colonna del “Washington Post”, giornale di cui Bezos è padrone. E viene creduto. Sia prima che dopo. Da un paese di cui il gossip è il pane. Anche la conspiracy, è vero. Senza chiedersi: chi ha fatto le foto, prima di divulgarle?
Beto o’ Rourke, Democratico del Texas, aprendo la sua campagna per la candidatura alle presidenziali americane nel 2020, ha raccolto in ventiquattro ore, senza aver detto niente di cosa proporrà, 6 milioni di dollari. Da 147 mila donatori. Ma al suo primo comizio non erano in mille. 
Pete Buttigieg, sindaco di South Bend, la città-museo della Studebaker nell’Indiana, candidato a sorpresa alle primarie Democratiche, all’1-2 per cento nei sondaggi, ha raccolto di più, sette milioni ma in un mese. “Il sindaco Pete”, benché ignoto ai più, è icona gay.
La nuova sindaca di Chicago – entrerà incarica a fine amggio - Lori Lightfoot è già un’icona nazionale, perché nera e lesbica.
Lightfood celebra sempre baciandosi sulla bocca con la “moglie” Amy Eshlewood, coetanea, vanno per i sessanta, bianca. Ma per gli orgnismi Lgbt non basta: lamentano i legami delle neo-sindaca con la polizia (ne è stata a capo) e la sua costante opposizone al controllo degli affitti -“perpetua un’eredità di secolare oppressione politica anti-gay e anti-trans”..
Benché di sinistra, Lightfood ha sconfitto la candidata socialista Toni Preckwinkle.  Che correva a 72 anni.
Né O’Rourke né Buttigieg hanno ancora detto che cosa propongono. Ma sono terzi nella raccolta fondi, dietro l’ex vice-presidente Biden e lo sfidante socialista di Hillary Clinton nel 2016-2018, Sanders.

Il destino nel vento

A Dodona, in campagna, in una valle isolata sotto un massiccio montuoso, all’interno dell’Epiro, la regione di Nord-Ovest della Grecia che guarda al di qua dello Jonio, un oracolo arboreo, dedicato a Zeus, che legge lo stormire delle foglie – una quercia ancora presidia il luogo. Le pizie interpretavano le risposte del dio attravero i suoni, le vibrazioni dell’aria nel luogo isolato e protetto all’interno di una montagna.
Uno degli oracoli più autorevoli in Grecia, di cui in Euripide e Erodoto, celebrato anche nei maggiori centri della Magna Grecia, e da essi frequentato. Per le occorrenze più diverse: i fatti della vita, nascite, morti, malattie, i desideri, gli affari, le liti. Attivo dal VI al II secolo, fin dopo l’occupazione romana della Grecia. Prima della caduta, Dodona fu anche un notevole centro politico, con i re Alessandro il Molosso e Pirro. Le richieste alla divinità venivano presentate in tavolette minuscole di piombo, di cui la mostra espone una selezione delle tante detenute dal museo di Ioannina. In alcune di esse c’è anche, sul retro, la risposta della divinità. Talvolta le tavolette-domande, che evidentemente avevano un costo, venivano “riciclate”.
Un recupero culturale di un rito trascurato nel revival della Gracia classica. Nel quadro di una ripresa di interesse tra le due sponde dello Jonio. La Calabria sta sviluppando un forte recupero della tradizione greca, che ha caratterizzato la regione fino all’arrivo dei Normanni, gli “agenti del papa”, della latinizzazione, nel secolo XIImo. Riti e luoghi di rito ortodossi vengono ripresi. Onomastiche, topononomastiche e dialetti greci recuperate. La mostra si vuole un passo di questa collaborazione.
Alla mostra una considerazione si può aggiungere, su questo oracolo finora trascurato Un fatto anch’esso trascurato ma di grande significato: la localizzazione incongrua di Dodona, un luogo di culto impervio e quasi nascosto, al centro e alla base di rilievi montagnosi, è analoga a quella che avrà il santuario di Polsi, in una valle all’interno dell’Aspromonte, dedicato a Maria Vergine dai Normanni nel XIImo secolo, evidentemente in continuità di culto con un rito antico.
La mostra, curata da Carmelo Malacrinò, il direttore del MArRC, con Konstantinos Soueref, il direttore del Museo Archeologico di Ioannina, e Fausto Longo Luigi Vecchio, dell’Università di Salerno, espone una scelta dei reperti di Ioannina. Al sito oracledodona.it è disponibile una presentazione fotografica di Dodona e la mostra.
Dodonaios. L’oracolo di Zeus e la Magna Grecia, Museo Archeologico di Reggio Calabria

giovedì 4 aprile 2019

Ombre - 457

Obama si è sfilato dalla ricostruzione dell’Aquila. Con Michelle. Al loro posto invece la Russia di Medvedev ha fatto molto – è quella che ha fatto di più. Su quotidiano.net Rita Bartolomei fa l’elenco di chi ha donato e chi no
Obama non ha fatto avere le borse di studio per universitari promesse. Michelle non ha “adottato” la chiesa di Santa Maria Paganica – uno dei 44 monumenti della “lista di nozze” proposta da Berlusconi. Con la Russia (9 milioni) hanno contribuito il Giappone (6,6), il Canada (3,3), la Francia (3,2), la Germania (4,9 milioni, per un terzo fondi raccolti tra gli italo-tedeschi), l’Australia (2,7, id.), il Kazakistan (1,7).

Coopermondo, una ong di Confcooperative e Federcasse, con un investimento di due milioni ha promosso in Togo una cooperativa per la produzione e la commercializzazione di ananas biologici che occupa mille persone, di cui un terzo donne. Lo racconta a Manola Piras su PolicyMaker
il presidente di Confcooperative Gardini, con la considerazione: se quei mille togolesi, fortunati sopravvissuti al deserto, alla Libia e al mare, fossero sbarcati in Italia, “in meno di dieci giorni lo Stato avrebbe speso di più di quel che è stato necessario epr aiutarli a casa loro”.

Il vice-presidente del consiglio Di Maio, come sempre in giacca e cravatta, si sbaciucchia con l’ultima fidanzata nell’erba alta. A villa Borghese, luogo notoriamente intimo. Tra le guardie fuori campo, ma ben vigili.
È solo una foto per “Chi”, il settimanale del gossip. Su ordine, forse, del medico? No, è che Salvini gli ha rubato una scena, uscendo con una nuova ragazza in un locale.  

Una cooperativa a Roma, di pedagoghi, psicologi, assistenti sociali, si aggiudica dal Comune un appalto milionario, da 2,6 milioni, per la prima accoglienza di minori abbandonati. Più una diaria di 118 euro per minore. Che la cooperativa però induceva a scappare, presentando dopo qualche giorno la denuncia. Il terzo settore, stella del sottogoverno, sarebbe la sentina di ogni vizio nel paleo italiano.

“Oltre 50”, dice il giornale, “le fughe accertate” dalla cooperativa romana di accoglienza dei minori. Non tutti insieme, nell’arco di due anni e mezzo. Ma la giustizia, che ne era a conoscenza, è intervenuta solo ora. La giustizia in Italia è malata proprio nel cervello, nella funzione.

Succede in una partita (è Spal-Lazio) che un calciatore caduto nell’area avversaria si rialza subito e spiega all’arbitro di essere scivolato – lo spiega temendo un’ammonizione per simulazione. Ma l’arbitro gli dà il rigore, a favore, come se fosse stato spinto dall’avversario. La giustizia in Italia è propri malata.

Alberto Angela va vedere su Rai 1 il complesso monumentale di Noto, di chiese e palazzi, ricostruito in due decenni dopo il terremoto del 9-11 gennaio 1683 che rase al suolo la città – magnitudo 7,3, il terremoto più forte mai registrato in Italia, il 23mo più catastrofico nel mondo. Lo stesso giorno che L’Aquila “celebra” i dieci anni dal terremoto, e chiese e palazzi – colpiti molto meno che a Noto nel Seicento, sono ancora transennati. La Repubblica ha molte colpe.

“A noi gli sfratti e a loro date una casa”: c’è Forza Nuova, col fascismo,  a Torre Maura a Roma, e forse c’è razzismo – nessuno vuole  rom vicini di casa, che del resto non fanno nulla per meritarselo. M il ragionamento non è razzista: ci vuole intelligenza nelle soluzioni “sociali”, anche solo un poco.

C’è una logica nel tutti condannati a Torino per Salvatore Ligresti e i suoi tre figli, e per tutti assolti, con le stesse imputazioni, a Milano – assolti proprio tutti, l’uno dietro l’altro? Sì, i giudici di Torino volevano che le gloriose redditizie assicurazioni dei Ligresti, Fondiaria. Sai, Milano, finissero a Unipol, la banca del sindaco Fassino (“abbiamo una banca”).

“Arriva la Tesla per (quasi) tutti”. Costo: 57 mila euro.
“L’abbiamo provata e ha un’accelerazione fantastica, da 0 a 100km in 3,5 secondi”.
Il business ecologico vuole tutti scemi?

Corrispondenze trepide dalla Turchia sule elezioni amministrative. Come se fossero state vere elezioni, con i giornali chiusi, i giornalisti dentro, la tv padronalizzata, i curdi bombardati. Di quali speciali favore gode Erdogan nei giornali, figuro peraltro antipaticissimo, col suo islam d’accatto.

Si potranno fare sei mesi di servizio militare. Gratuito. Compensato con “crediti” all’università. Per il disprezzo divenuto totale, regolamentare, governativo, dell’apprendimento e della cultura. Dopo la cancellazione della storia e della geografia dalle scuole, il segno più evidente della barbarie nella quale il pese si ravvoltola – la stupidità esiste.


Orchi a caccia di orchi

Una bambina rapita a scuola, da un’assistente sociale e due Carabinieri. Senza spiegazioni, se non quella falsa, “i tuoi genitori ti hanno abbandonata”. Dipoi sottratta per undici anni ai genitori. Data in affidamento a un Centro di affido, di cui sono direttrici e socie psicologhe, assistenti sociali e ginecologhe all’origine del rapimento. Per pagarsi cinque milioni e mezzo di lire al mese per l’affido – dal Comune di Milano che si rivale sul padre della bambina, un imprenditore.  Per poi darla in adozione, a famiglia selezionata, in un vero e proprio mercato – questa sì, questa no, questa in prova, con diritto alla “restituzione”.
Una delle tante storie sordide impiantate a Milano vent’anni fa per sfruttare l’ondata emotiva contro gli abusi sui bambini, che peraltro alimentava. Nel quadro di una più sottile guerra alla famiglia – alla “famiglia tradizionale”. Con la complicità di un giudice della Procura di Milano, che ci ha costruito sopra una carrier, per meriti laici.
Un caso fra i tanti, di “orchi” a cacia di “orchi”. Nella fattispecie l’accusa di pedofilia contro il padre era inventata dalla psicologa. E si è dimostata infondata al processo. Ma intanto il padre si è fatto due anni e mezzo di carcere. La moglie è stata angariata dal giudice dela Procura Milanese e dalle giudici del Tribunale dei minori perché accusasse il marito. E non ha potuto vedere la sua bambina per undici anni, benché il marito fosse stato presto assolto, il Tribunale dei minori non potendo rivedere la sua decisione sull’adozione, evidentemente a un prezzo. La bambina, rapita a scuola a sette anni, è cresciuta sapendo che i suoi genitori l’avevano abbandonata, e poi li ha dimenticati. A opera di di un mondo che, ben retribuito sulle casse pubbliche, alfiere del terzo settore che le idealità ha convertito in grettissimi interessi, qui perfino violenti, facendosi scudo della “protezione del minore”. La bambina dicendo vittima del PTSD, il malessere da stress post-traumatico, che questi stessi gretti interessi hanno procurato…
La storia è raccontata dalla vittima e scritta dai due giornalisti con brio, ma è da brividi. Anche perché la stessa scrittura è molto milanese, cioè rispettosa. Mentre comportamenti criminali emergono netti. E nessuna azione penale è stata promossa contro i giudici e i loro consulenti, benché abbiamo agito contro ogni deontologia e perfino illegalmente – formalmente cioè.
La bambina viene data in adozione quando era in arrivo l’assoluzione del padre, non si poteva aspettare una settimana di più. C’è un mercato delle adozioni? Sì, attorno al Cismai, l’organizzazione di ginecologhe, psicologhe e psicoanaliste (un’altra specificità della vicenda è che si tratta quasi soltanto di donne, eccetto il giudice Forno, che dirige l’orchestra, e uno o due maschietti smarriti al Cismai, più naturalmente gli orchi) a protezione dei minori che si fa pagare un affido cinque milioni e mezzo al mese – di lire, ma sono sempre tante. Per undici anni ad Angela si fa credere che i genitori l’hanno abbandonata.  É deontologia o criminalità?  E si frappone ogni osatcolo, anche la minaccia, ai genitori che la cercano. Il pm dell’inchiesta – Forno – ricatta la madre della bambina? Si.
La storia della ghenga degli affidi e adozioni è venuta sui giornali e in tv nel 2001-2002. Ma i genitori della figlia rapita hanno dovuto aspettare per rivederla fino al 2006 – quando la ragazza, prossima ai diciott’anni, avrebbe comunque abbandonato la famiglia adottiva. Dopo averla ritrovata per caso, malgrado negli undici anni di separazione non abbiano cessato di cercarla un istante: dalle fatture del Comune di Milano per il costoso affido al Cismai hanno dedotto che era stata dislocata in un loro centro ad Alassio, e qui data in adozione a una famiglia che ci passava le vacanze…
Romanzesco. Ma quanto marcio.
Angela L.-Maurizio Tortorella-Caterina Guarneri, Rapita dalla giustizia, Bur, pp. 207 € 12

mercoledì 3 aprile 2019

Il mondo com'è (371)

astolfo


Finis Americae – È ricorrente nell’opinione americana. Almeno altre tre volte è ricorsa nel dopoguerra. A fine anni 1950, quando lo stesso Kruscev decretava il sorpasso dell’Urss sugli Usa, col primato spaziale - degli Sputnik, della cagnetta Laika, di Juri Gagarin. Per il  Vietnam, nel 1971 con la sospensione a Ferragosto della convertibilità del dollaro in oro, che ne fece per alcuni mesi carta straccia nel mercato dei cambi. E con l’11 settembre. Mentre gli Stati Uniti sono sempre stati indubbiamente la potenza con la più grande e la più estesa forza militare nel mondo – ancora oggi, con due presidenze, Obama e Trump, ufficialmente post-imperialiste e isolazioniste, sono presenti in una ventina di teatri di guerra. E con l’economia più resilient, oltre che più ricca. Ha superato in tempo brevissimo la crisi bancaria del 2007.
Oggi il declino dell’America si ripropone in America al confronto con la Cina. E per il clima.
Sempre si ripropone con presidenze repubblicane di destra – eccettuate cioè le presidenze liberal di Eisenhower e Bush padre: Nixon, Reagan (salvato nell’opinione ex post dal crollo sovietico), Bush jr., Trump. Di presidenti eletti, cioè, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare e consolidare la potenza americana. Ma per ciò stesso condannati e oltraggiati dall’opinione pubblica, dai media. Mentre il presidente più amato, Kennedy, conserva immutata dopo mezzo secolo la popolarità come quello che ha rilanciato l’America, benché le abbia imposto le crisi peggiori della sua storia: il muro di Berlino, Cuba, un disastro militare e politico, e il Vietnam, la guerra più costosa della storia e una delle più lunghe e disastrose, quella che ha visto il maggior numero di morti e mutilati americani, e la prima sconfitta.
L’opinione è progressista negli Usa. Ma catastrofista. Del tipo apocalittico, ma rigenerativo o revivalista, che si dice vada col  puritanesimo. E si vuole rigenerativo o revivalista ma di fatto è esclusivista – assolutista in termini politici. Sui contenuti può anche essere reazionario – giustizialista, o sui temi sessuali, e sui guadagni. E ha bisogno di inimicizie, paure, radicali: nel trionfante dopoguerra il comunismo, la guerra atomica, la guerra etnica, il clima, l’invasione dal Sud. Per una sorta di palingenesi, da igiene radicale del mondo. Che poi è il motore anche della supremazia americana – l’“eccezionalismo”.
L’America di fatto oggi si confronta con: 1) masse di sudamericani disorientati e inermi; 2) un paese, sia pure il più grande del mondo per superficie e popolazione, rigidamente comunista che patrocina il mercato più cinico; 3) un clima che non si sa se si riscalda o si raffredda. Avendo perduto, questo sì, la spalla europea, essendo il Vecchio ontinente tanto debole e confuso quanto è presuntuoso.

Metodo Forno – È il sistema giudiziario approntato nel 1989 dal giudice Pietro Forno, sostituto Procuratore a Milano con delega sulle violenze sessuali e la pedofilia. Che a fine Novecento – e in un periodo successivo, dal 2011 - sarà dimostrato in processi famosi di essere una macchina di consulenze, con l’obiettivo precipuo di distruggere le famiglie prima che di colpire gli abusi. E l’effetto secondario di dare in affido – che i Comuni devono pagare, con larghezza – e poi adozione bambini sottratti con la violenza giudiziaria alla famiglia naturale. Una macchina giudiziaria a protezione dei minori che invece ci ha speculato sopra, per soldi e per carriere.
Il “metodo” è stato così sintetizzato dal “Corriere della sera” il 23 dicembre 2000: denunce e testimonianze canalizzate su un nucleo ristretto di polizia; perizie affidate e ginecologi e psicologi che operano d’intesa con Forno, sempre gli stessi (uno dei periti, la ginecologa Cristina Maggioni, si scoprì in un processo che aveva fornito 358 consulenze, retribuite, in nove anni); utilizzo delle confidenze dei bambini agli educatori; coniugi e parenti accusati di complicità quando non confermano le accuse; allontanamento immediato dei bambini dai genitori, d’intesa col Tribunale dei minori; affido immediato dei bambini, d’intesa col Tribunale dei minori,  a strutture private di “tutela dell’infanzia”, sempre le stesse, con pagamento a carico dei Comuni; passaggio immediato dei minori, d’intesa col Tribunale dei minori, al mercato delle adozioni. Con divieto di ascoltare mai gli imputati.  
I consulenti dei due casi contestati erano tutti del Cismai, Coordinamento Italiano Servizi Maltrattamenti all’Infanzia. Collegava 40 Centri Affido, e cento soci nel campo della prevenzione e il trattamento degli abusi sui minori. Uno dei tanti casi di mercato lucroso del terzo settore, del volontariato e dei servizi sociali. I consulenti dei due casi contestati facevano capo alla struttura milanese del Cismai: i ginecologi Cristina Maggioni, Patrizia Gritti e Maurizio Bruni, lo psichiatra Giobatta Guasto, le psicologhe Luisa Della Rosa e Marinella Malacrea. Per l’affido di una bambina, è stato attestato in un processo, il Centro Affido bambini maltrattati, uno dei quattro centri fondati dal Cismai a Milano, dove lavorava la psicologa del caso, Luisa Della Rosa, fatturò per poco più di due anni 150 milioni di lire al Comune di Milano – che poi si rivaleva sulla famiglia.
Dei due casi contestati, che portarono a interrompere la pratica, uno è emerso in tv domenica con lo sceneggiato “L’amore strappato”. Il 24 novembre 1995 una bambina di sette anni, Angela, viene prelevata a scuola in stile commando, da un’assistente sociale e due Carabinieri. Per essere rinchiusa in una casa famiglia, con la spiegazione che i genitori, un imprenditore della periferia milanese e una casalinga, l’hanno abbandonata. Poiché la madre non vuole accusare il marito, come Forno pretende, e anzi protesta pubblicamente incatenandosi davanti al palazzo di Giustizia, non può neanche lei più vedere la figlia. Ai genitori viene tolta la patria potestà, e la bambina data dopo due anni in adozione, malgrado il processo volga a favore del padre imputato. La perizia di Luisa Della Rosa ha contravvenuto di proposito ai protocolli in materia, e si è dimostrato che il giudice Forno agiva d’intesa con Marinella Malacrea, presidente del Caf, Centro di Affido, cui la piccola è stata affidata e socia autorevole Cismai. Dopo due anni e mezzo arriva l’assoluzione. Ma a moglie e marito ci vorranno sette anni per riavere la figlia. Che non li ha visti per quasi undici anni, e li ha quasi dimenticati, e loro non hanno potuto vedere. La ritroveranno del resto solo per caso, per una trama romanzesca. Dalla richiesta del Comune di Milano di risarcimento delle spese sostenute per il Centro di Affido della dottoressa Malacrea capiscono che la figlia trascorreva le vacanze dalle parti di Alassio. Ce la trovano, dopo giorni  di perlustrazioni, la pedinano fino al luogo di residenza della famiglia adottiva, e le fanno avere tramite il fratello un plico con tutta la vicenda e i documenti sulla sua vera identità. Angela non si trova bene nella famiglia adottiva, e dopo l’ennesimo litigio se ne torna autonomamente dai genitori naturali. Sta per compiere i diciott’anni, e quindi poter scegliere da sé. Ma il Tribunale dei minori per salvare la faccia decreta d’urgenza che la famiglia naturale può intanto fungere da affidataria.
L’altro caso scoppia su un procedimento anch’esso avviato da Forno, anch’esso nel 1996, anch’esso con l’ausilio dei periti del Cismai, contro un tassista milanese accusato di abusi sulla figlia. A dicembre del 2000 si tiene infine il processo, l’accusa è svolta da un altro Pubblico ministero, Tiziana Siciliano, e il procedimento viene ribaltato. La giudice Siciliano smonta essa stessa l’accusa, furente e sprezzante contro la consulente Maggioni: “Io, non so… Non ho parole. Nessuno può avere parole…Vi è una amplissima documentazione, fotografica questa volta, quindi qualche cosa che reggerà fino in Cassazione, che contraddice in una maniera così totale le dichiarazioni della dottoressa Maggioni, che ci viene da chiederci se sia una totale incompetente o se sia una persona in malafede. Se io dovessi pensare che è una persona in malafede dovrei chiedere la trasmissione degli atti per falsa perizia. Io non ho elementi per farlo. Mi sgomenta la superficialità: non c’è una fotografia, non c’è una documentazione… E conseguentemente noi prendiamo la perizia della signora Maggioni – mi spiace per l’Erario che le ha pagato la consulenza, Erario che paghiamo tutti noi con le nostre tasse quindi – e la buttiamo via perché non ci ha detto niente….”
Il “metodo Forno” aveva suscitato perplessità in Procura. Ma il capo della Procura, Francesco Saverio Borrelli, lo difendeva. Lo ha difeso anche dopo il processo al tassista. Che ha portato Forno sotto indagine al Csm, per la questione delle consulenze. L’istruttoria del Csm si è allargata ad altri casi, nei quali sono emersi anche un uso illegale delle intercettazioni telefoniche e interrogatori intimidatori delle stesse vittime, vere o presunte. Forno si è difeso, ma ha chiesto il trasferimento. Nel 2004 è stato promosso Procuratore aggiunto a Torino. Nel 2009 è tornato a Milano con la stessa qualifica, che ha esercitato soprattutto sul caso Ruby, fino alla pensione otto anni dopo.  
A Milano dopo il ritorno il giudice Forno si era distinto nel 2011 per un altro caso clamoroso. Nella scuola elementare di Basiglio, o Milano 3, il quartiere più ricco d’Italia, venne trovato sotto il banco di una bambina, dopo una delazione, un disegno osceno. La preside, allertata dalle due maestre, segnalò il fatto al Tribunale dei minori, che dispose l’allontanamento della piccola dalla famiglia e l’affidamento a un centro del Cismai. Un’assistente sociale e lo psicologo della scuola indussero il fratello tredicenne della piccola a confermare in qualche modo il disegno – che recava la didascalia: “X tutte le domeniche fa sesso con suo fratello, per 10 euro, e a lei piace” – aprendo anche per lui la porta del Caf. Una “prigione” durata sessantanove giorni. Pur sapendosi che il disegno era uno scherzo-vendetta di una compagna di scuola. Lo sapevano la preside, Graziella Bonello, e le due maestre, Teresa Naso e Barbara Mazziotti. Che furono poi denunciate, insieme con l’assistente sociale, Federica Micali, e lo psicologo, Luca Motta dall’avvocato della famiglia offesa. La pratica fini a Forno, che la rigettò - ne propose il rigetto al gip, che lo accolse. Per le insegnanti il fatto non costituisce reato, sostenne, perché gli inquirenti non hanno mai posto loro la domanda se il disegno fosse opera della bambina. Per gli altri due dicendo “indimostrabile” il nesso tra l’interrogatorio cui il fratello era stato sottoposto e il trauma subito.  
La vicenda aveva un sottofondo palesemente razzista, di cui questo sito ha dato conto all’epoca:
I fratelli erano di famiglia non abbiente, e meridionale, e per questo deturpavano la scuola elementare e media alla quale erano iscritti. Al loro ritorno a scuola, obbligato, fu inscenata una finta festa, sotto i riflettori della Rai. Ma  la famiglia capì il senso della cosa e sloggiò. Né i fratelli né i genitori hanno mai ricevuto le scuse di nessuno, psicologo, assistente sociale, insegnanti, direttrice. Il Pm Forno e la giudice Anna Maria Gatto sono stati “durissimi”, a detta del loro avvocato, prudente: “Sembrava che la famiglia e i bimbi fossero gli imputati e noi gli orchi cattivi”. Il sindaco di Milano 3, dopo la sentenza, ha accusato i due fratellini di “complotto”, a danno suo e del Comune. 

Norimberga – Fu un vero processo? Sì. Le arringhe finali, della difesa e dell’accusa, e l’impostazione del processo da parte del Procuratore speciale americano Robert Jackson sono da processo classico. L’esito era deciso in partenza, ma nessun giudice avrebbe potuto non condannare in base al dibattimento.
Sono mancati al processo i promotori e organizzatori dei “delitto contro l’umanità” che il processo ha affermato: Himmler suicida, Heydrich assassinato, Eichmann fuggitivo. Processati e giustiziati furono i capi militari e civili di un paese sconfitto. Il processo è stato proposto e si è svolto all’uso dei trionfi romani: l’esibizione del vinto a opera del vincitore. Ma con un atto di autolimitazione importante: si processano e si condannano alcune persone, per responsabilità soggettive, e non la Germania sconfitta, com’era avvenuto a Versailles. In questo senso ha ragione il Procuratore Jackson alla fine del processo: “Il fatto che quattro grandi nazioni, eccitate dalla vittoria e stimolate dal torto subito, sospendano la vendetta e sottopongano volontariamente i propri nemici al giudizio della Legge è uno dei tributi più significativi che il Potere abbia mai pagato alla Ragione”..
L’impostazione è costruita sulla base del precetto consuetudinario: nullum crimen, nulla poena, sine lege. Che sembra applicabile solo ai processi penali e non per responsabilità politiche, decisionali.  All’apertura del processo, per invalidarlo, e poi in ognuna della arringhe finale, la difesa insistette su questo principio giuridico. Nessuno può essere punito sulla base di norme create post factum, e ancora meno di norme ad hoc. L’obiezione è respinta sulla base di due ordini di ragione. Una è il diritto internazionale, che negli anni 1910 (convenzioni dell’Aja) e 1930 (patto di Ginevra, accordi Brian-Kellogg, Società delle Nazioni) ha molto innovato, stabilendo la punibilità delle guerre di aggressione, nonché di atti di singoli contro i cittadini non militarizzati in tempo di guerra. All’obiezione che la Germania non era tra i firmatari di tali innovazioni, non sempre, fu obiettato un “diritto delle genti”, inteso a difendere la “moralità internazionale” – nei termini shakespeariani, partendo da una citazione di “Re Lear”, dell’arringa finale di Jackson: “Se voi, signori della Corte, doveste dire che questi uomini non sono colpevoli, sarebbe come dire che non c’è stata una guerra, non ci sono cadaveri, non c’è stato delitto”. .
Le condanne furono eseguite nelle forme rituali. Compreso il carcere nelle prigioni della nuova Repubblica Federale. Fino all’amnistia di Adenauer nel 1951, che ricalcò quella di Togliatti nel 1946

Usa-Cina – La partita, mantenuta entro termini  commerciali, astraendo curiosamente dallo status di superpotenze militare e stellare della Cina, con politiche e anche azioni aggressive nel Mar Cinese Meridionale, a ridosso del Giappone, e senza riguardo alla manomissione costante a Pechino dei diritti civili, ricalca quella degli anni 1970-1980, da Nixon a Reagan, tra Usa e Giappone – che fino al 2017 è stato a lungo il primo creditore estero degli Stati Uniti, ora superato dalla Cina, che a gennaio deteneva 1.127 (dopo essere arrivata a 1.191 a giugno 2018) miliardi di dollari di Treasury Usa contro i 1.069 detenuti dal Giappone).

I motivi di scontro – di accusa americana – allora erano quelli ora in corso contro la Cina: il mancato rispetto della proprietà intellettuale, la manipolazione del cambio, le pratiche commerciali scorrette. Anche il Giappone era emerso copiando, appropriandosi del know-how altrui, più che, e prima di, svilupparlo in proprio. Si arrivò ripetutamente allora a una quasi rottura, o reiterata minaccia di rottura, che il Giappone infine sopravanzò avviando molte produzioni negli stessi Stati Uniti – sia pure avvantaggiandosi dalle condizioni autorizzative e fiscali di favore di alcuni stati della federazione americana.
Finis Americae – È ricorrente nell’opinione americana. Almeno altre tre volte è ricorsa nel dopoguerra. A fine anni 1950, quando lo stesso Kruscev decretava il sorpasso dell’Urss sugli Usa, col primato spaziale - degli Sputnik, della cagnetta Laika, di Juri Gagarin. Per il  Vietnam, nel 1971 con la sospensione a Ferragosto della convertibilità del dollaro in oro, che ne fece per alcuni mesi carta straccia nel mercato dei cambi. E con l’11 settembre. Mentre gli Stati Uniti sono sempre stati indubbiamente la potenza con la più grande e la più estesa forza militare nel mondo – ancora oggi, con due presidenze, Obama e Trump, ufficialmente post-imperialiste e isolazioniste, sono presenti in una ventina di teatri di guerra. E con l’economia più resilient, oltre che più ricca. Ha superato in tempo brevissimo la crisi bancaria del 2007.
Oggi il declino dell’America si ripropone in America al confronto con la Cina. E per il clima.
Sempre si ripropone con presidenze repubblicane di destra – eccettuate cioè le presidenze liberal di Eisenhower e Bush padre: Nixon, Reagan (salvato nell’opinione ex post dal crollo sovietico), Bush jr., Trump. Di presidenti eletti, cioè, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare e consolidare la potenza americana. Ma per ciò stesso condannati e oltraggiati dall’opinione pubblica, dai media. Mentre il presidente più amato, Kennedy, conserva immutata dopo mezzo secolo la popolarità come quello che ha rilanciato l’America, benché le abbia imposto le crisi peggiori della sua storia: il muro di Berlino, Cuba, un disastro militare e politico, e il Vietnam, la guerra più costosa della storia e una delle più lunghe e disastrose, quella che ha visto il maggior numero di morti e mutilati americani, e la prima sconfitta.
L’opinione è progressista negli Usa. Ma catastrofista. Del tipo apocalittico, ma rigenerativo o revivalista, che si dice vada col  puritanesimo. E si vuole rigenerativo o revivalista ma di fatto è esclusivista – assolutista in termini politici. Sui contenuti può anche essere reazionario – giustizialista, o sui temi sessuali, e sui guadagni. E ha bisogno di inimicizie, paure, radicali: nel trionfante dopoguerra il comunismo, la guerra atomica, la guerra etnica, il clima, l’invasione dal Sud. Per una sorta di palingenesi, da igiene radicale del mondo. Che poi è il motore anche della supremazia americana – l’“eccezionalismo”.
L’America di fatto oggi si confronta con: 1) masse di sudamericani disorientati e inermi; 2) un paese, sia pure il più grande del mondo per superficie e popolazione, rigidamente comunista che patrocina il mercato più cinico; 3) un clima che non si sa se si riscalda o si raffredda. Avendo perduto, questo sì, la spalla europea, essendo il Vecchio ontinente tanto debole e confuso quanto è presuntuoso.

Metodo Forno – È il sistema giudiziario approntato nel 1989 dal giudice Pietro Forno, sostituto Procuratore a Milano con delega sulle violenze sessuali e la pedofilia. Che a fine Novecento sarà dimostrato in due processi famosi di essere una macchina di consulenze, con l’obiettivo precipuo di distruggere le famiglie prima che di colpire gli abusi. E l’effetto secondario di dare in adozione bambini sottratti con la violenza giudiziaria alla famiglia naturale. Una macchina giudiziaria a protezione dei minori che invece ci ha speculato sopra, per soldi e per carriere.
Il “metodo” è stato così sintetizzato dal “Corriere della sera” il 23 dicembre 2000. Denunce e testimonianze canalizzate su un nucleo ristretto di polizia; perizie affidate e ginecologi e psicologi che operano d’intesa con Forno, sempre gli stessi (uno dei periti, la ginecologa Cristina Maggioni,  fornì 358 consulenze, retribuite, in nove anni); utilizzo delle confidenze dei bambini agli educatori; coniugi e parenti accusati di complicità quando non confermano le accuse; allontanamento immediato dei bambini dai genitori, d’intesa col Tribunale dei minori; affido immediato dei bambini, d’intesa col Tribunale dei minori,  a strutture private di “tutela dell’infanzia”, sempre le stesse, con pagamento a carico dei Comuni; passaggio immediato dei minori, d’intesa col Tribunale dei minori, al mercato delle adozioni. Con divieto di ascoltare mai gli imputati.  
I consulenti dei due casi contestati erano tutti del Cismai, Coordinamento Italiano Servizi Maltrattamenti all’Infanzia. Collegava 40 centri e cento soci nel campo della prevenzione e il trattamento degli abusi sui minori. I consulenti dei due casi contestati facevano capo alla struttura milanese del Cismai: i ginecologi Cristina Maggioni, Patrizia Gritti e Maurizio Bruni, lo psichiatra Giobatta Guasto, le psicologhe Luisa Della Rosa e Marinella Malacrea. Per l’affido di una bambina, è stato attestato in un processo, il Centro aiuto famiglia e bambini maltrattati, uno dei quattro centri fondati dal Cismai, dove lavorava la psicologa del caso, Luisa Della Rosa, fatturò per due anni 150 milioni di lire al Comune di Milano, cinque milioni quattrocentomila lire al mese.
Dei due casi contestati, che portarono a interrompere la pratica, uno è emerso in tv domenica con lo sceneggiato “L’amore strappato”. Una bambina di sei anni viene prelevata a scuola in stile commando, da un’operatrice sociale e due Carabinieri, rinchiusa in una casa famiglia, con la spiegazione che i genitori, un imprenditore della periferia milanese e una casalinga, l’hanno abbandonata. Poiché la madre non vuole accusare il marito, come Forno pretende, non può neanche lei più vedere la figlia. Ai genitori viene tolta la patria potestà, e la bambina data dopo due anni in adozione, malgrado il processo volga a favore del padre imputato. La perizia di Luisa Della Rosa ha contravvenuto di proposito ai protocolli in materia, e si è dimostrato che il giudice Forno agiva d’intesa con Marinella Malacrea, presidente del Centro cui la piccola è stata affidata e socia autorevole Cismai. Dopo due anni e mezzo arriva l’assoluzione. Ma a moglie e marito ci vorranno sette anni di pratiche per riavere la figlia. Che non li ha visti per quasi undici anni, e li ha quasi dimenticati, e loro non hanno potuto vedere.
L’altro caso scoppia su un procedimento anch’esso avviato da Forno, anch’esso nel 1996, anch’esso con l’ausilio dei periti del Cismai, contro un tassista milanese accusato di abusi sulla figlia. A dicembre del 2000 si tiene infine il processo, l’accusa è svolta da un altro Pubblico ministero, Tiziana Siciliano, e il procedimento viene ribaltato. La giudice Siciliano smonta essa stessa l’accusa, furente e sprezzante contro la consulente Maggioni: “Io, non so… Non ho parole. Nessuno può avere parole…Vi è una amplissima documentazione, fotografica questa volta, quindi qualche cosa che reggerà fino in Cassazione, che contraddice in una maniera così totale le dichiarazioni della dottoressa Maggioni, che ci viene da chiederci se sia una totale incompetente o se sia una persona in malafede. Se io dovessi pensare che è una persona in malafede dovrei chiedere la trasmissione degli atti per falsa perizia. Io non ho elementi per farlo. Mi sgomenta la superficialità: non c’è una fotografia, non c’è una documentazione… E conseguentemente noi prendiamo la perizia della signora Maggioni – mi spiace per l’Erario che le ha pagato la consulenza, Erario che paghiamo tutti noi con le nostre tasse quindi – e la buttiamo via perché non ci ha detto niente….”
Il “metodo Forno” aveva suscitato perplessità in Procura. Ma il capo della Procura, Borrelli, lo difendeva. Lo ha difeso anche dopo il processo al tassista. Che ha portato Forno sotto indagine al Csm, per la questione delle consulenze. L’istruttoria del Csm si è allargata ad altri casi, nei quali sono emersi anche un uso illegale delle intercettazioni telefoniche e interrogatori intimidatori delle stesse vittime, vere o presunte. Forno si è difeso, ma ha chiesto il trasferimento. Nel 2004 è stato promosso Procuratore aggiunto a Torino. Nel 2009 è tornato a Milano con la stessa qualifica, che ha esercitato soprattutto sul caso Ruby, fino alla pensione otto anni dopo.  

Norimberga – Fu un vero processo? Sì. Le arringhe finali, della difesa e dell’accusa, e l’impostazione del processo da parte del Procuratore speciale americano Robert Jackson sono da processo classico. L’esito era deciso in partenza, ma nessun giudice avrebbe potuto non condannare in base al dibattimento.
Sono mancati al processo i promotori e organizzatori dei “delitto contro l’umanità” che il processo ha affermato: Himmler suicida, Heydrich assassinato, Eichmann fuggitivo. Processati e giustiziati furono i capi militari e civili di un paese sconfitto. Il processo è stato proposto e si è svolto all’uso dei trionfi romani: l’esibizione del vinto a opera del vincitore. Ma con un atto di autolimitazione importante: si processano e si condannano alcune persone, per responsabilità soggettive, e non la Germania sconfitta, com’era avvenuto a Versailles. In questo senso ha ragione il Procuratore Jackson alla fine del processo: “Il fatto che quattro grandi nazioni, eccitate dalla vittoria e stimolate dal torto subito, sospendano la vendetta e sottopongano volontariamente i propri nemici al giudizio della Legge è uno dei tributi più significativi che il Potere abbia mai pagato alla Ragione”..
L’impostazione è costruita sulla base del precetto consuetudinario: nullum crimen, nulla poena, sine lege. Che sembra applicabile solo ai processi penali e non per responsabilità politiche, decisionali.  All’apertura del processo, per invalidarlo, e poi in ognuna della arringhe finale, la difesa insistette su questo principio giuridico. Nessuno può essere punito sulla base di norme create post factum, e ancora meno di norme ad hoc. L’obiezione è respinta sulla base di due ordini di ragione. Una è il diritto internazionale, che negli anni 1910 (convenzioni dell’Aja) e 1930 (patto di Ginevra, accordi Brian-Kellogg, Società delle Nazioni) ha molto innovato, stabilendo la punibilità delle guerre di aggressione, nonché di atti di singoli contro i cittadini non militarizzati in tempo di guerra. All’obiezione che la Germania non era tra i firmatari di tali innovazioni, non sempre, fu obiettato un “diritto delle genti”, inteso a difendere la “moralità internazionale” – nei termini shakespeariani, partendo da una citazione di “Re Lear”, dell’arringa finale di Jackson: “Se voi, signori della Corte, doveste dire che questi uomini non sono colpevoli, sarebbe come dire che non c’è stata una guerra, non ci sono cadaveri, non c’è stato delitto”. .
Le condanne furono eseguite nelle forme rituali. Compreso il carcere nelle prigioni della nuova Repubblica Federale. Fino all’amnistia di Adenauer nel 1951, che ricalcò quella di Togliatti nel 1946

Usa-Cina – La partita, mantenuta entro termini  commerciali, astraendo curiosamente dallo status di superpotenze militare e stellare della Cina, con politiche e anche azioni aggressive nel Mar Cinese Meridionale, a ridosso del Giappone, e senza riguardo alla manomissione costante a Pechino dei diritti civili, ricalca quella degli anni 1970-1980, da Nixon a Reagan, tra Usa e Giappone – che fino al 2017 è stato a lungo il primo creditore estero degli Stati Uniti, ora superato dalla Cina, che a gennaio deteneva 1.127 (dopo essere arrivata a 1.191 a giugno 2018) miliardi di dollari di Treasury Usa contro i 1.069 detenuti dal Giappone).
I motivi di scontro – di accusa americana – allora erano quelli ora in corso contro la Cina: il mancato rispetto della proprietà intellettuale, la manipolazione del cambio, le pratiche commerciali scorrette. Anche il Giappone era emerso copiando, appropriandosi del know-how altrui, più che, e prima di, svilupparlo in proprio. Si arrivò ripetutamente allora a una quasi rottura, o reiterata minaccia di rottura, che il Giappone infine sopravanzò avviando molte produzioni negli stessi Stati Uniti – sia pure avvantaggiandosi dalle condizioni autorizzative e fiscali di favore di alcuni stati della federazione americana.

astolfo@antiit.eu

Della rilettura, o i libri inaffidabili

Stracco pagurismo su Philip K. Dick, negli anni del suo insperato postumo successo – l’“amico pazzo” è lui, il sottotitolo è “Io e Philip K. Dick”. Uno scritto sulle opere di Dick, quali leggere e quali no, ripetuto una mezza dozzina di volte, e una mezza dozzina di racconti dello stesso Lethem, rifiutati dal mitico Gordon Lish, l’editor  di “Esquire” e altre riviste, che sarebbe stato meglio non pubblicare. “Amico” Dick è di Lethem molto alla lontana – Lethem si è limitato ad andare a vedere il negozio di musica, dismesso, dove Dick aveva lavorato come commesso. 
Strana rilettura, due o tre anni dopo la prima che invece era stata interessante. Forse perché nel mezzo c’è il Dick di Carrère, altro personaggio, altro mondo. O i libri sono inaffidabili – è la lettura che li fa?
Jonathan Lethem, Crazy Friend, minimum fax, remainders, pp. 157, ril. € 7

martedì 2 aprile 2019

Stupidario classifiche


Il paese più felice al mondo è la Finlandia, “The World Happyness Yearbook” dell’Onu. In testa ai paesi dell’Europa del Nord.

L’Italia viene al 36mo posto – ma per un miracolo, l’altr’anno era al 49mo.

Nel Ghana c’è libertà d’informazione, secondo Reporter sans frontières. Che invece è limitata in Italia – anche in Francia e in Gran Bretagna. Nel Ghana in Africa?

L’Italia è una democrazia imperfetta, e anche molto imperfetta, “The Economist Intelligence Unit”. Come la Francia, il Belgio e il Portogallo.

La democrazia in Italia è in netto peggioramento: l’Italia è al 12mo posto tra le democrazie imperfette, mentre nella rilevazione
precedente era al primo posto.

La posizione dell’Italia è peggiorata dopo il voto di marzo 2018 e il governo giallo-verde. La stessa alleanza di governo, ma xenofoba, mantiene invece l’Austria fra le democrazie perfette.

L’Italia perseguita i rom e affonda i migranti, secondo Michelle Bachelet, a lungo presidente del Cile, responsabile Onu per i Diritti Civili.

Il Terzo settore, o della carità pelosa

Dopo i Cara, i centri di accoglienza per richiedenti asilo, le case-famiglia, per gli stessi migranti e più ancora per i ragazzi senza famiglia o tolti alle famiglie: il ministero dell’Interno avvia un riesame che è solo necessario. Tutte le attività del Terzo settore, o presunto volontariato, sono cresciute con criteri e a fini di nessuna carità.
Sono organizzazioni che si propongono per gestire le attività sociali che il settore pubblico, Stato e Comuni, non sono in grado di gestire da soli, e a costi comunque ridotti. Di fatto sono organizzazioni che, per quanto non a fini di lucro, operano nell’interesse dei soci o della associazioni-fondazioni che stanno loro dietro. Con poca o nessuna cura dell’umanità che è loro affidata. Specie dei minori, che vivono in queste strutture, create per “la protezione dei minori”, abbandonati quando non maltrattati.

Il mito dei miti

“La vita è grande”, dice il Mendicante a Edipo.
Edipo: “Non saprai mai se ciò che hai fatto l’hai voluto”.
Mendicante: “Anche il tuo desiderio di scampare al destino, è destino esso stesso”.
Edipo: “Fin che si cerca, amico, allora sì. Tu hai avuto la fortuna di non giungere mai”.
Mendicante: “Abbiamo tutti una montagna dell’infanzia. E per lontano che si vagabondi, ci si ritrova sul suo sentiero”.
Edipo: “Altro è parlare, altro sofrire, amico. Ma certo parlando qualcosa si placa nel cuore”.
Questa è solo una pagina, meno, di centosettanta, altrettanto sentenziose e dense.
Leucò è Leucotea, la “dea bianca”, in antico identificata con Ino, dea marina – bianca come la spuma sul mare? Con lei Pavese, variamente impersonificato nei ventisette brevi dialoghi, variamente discute del più e del meno, della storia e dell’esistenza cui è inutile dare un senso. Non una filosofia, non c’è un filo logico. Se non dell’inquietudine, la testimonianza di uno stato d’animo. L’esito dell’inquietudine dello scrittore, che la politica ha ridotto a uomo semplice, a causa del confino che Mussolini gli ha inflitto, ma che era incerto su tutto, la politica compresa, e angustiato - tormentato, si suole dire. Con la sola eccezione forse della parentesi romana. Dove questi “dialoghi” sono germogliati, e in gran parte sono stati scritti. Pavese li comincia a dicembre del 1945. A febbraio 1946 i diari registrano un indice tematico quasi definitivo. Il 22 febbraio c’è già la nota editoriale, che uscirà come presentazione e come risvolto di copertina. 
Per questo – l’angustia - un “capriccio serissimo”, come lo dice Givone nella presentazione. Seppure rilassato, ironico – Saffo è “lesbica di Lesbo”, la “dea vergine” Artemide ha “carattere non dolce”. Un capriccio non di un creatore di miti – Pavese, appassionato di antropologia, sapeva che i miti non si creano. Ma di uno incline a sentirsi sottoposto a, o vittima di, eventi “necessari”, tanto quanto inspiegati, anche indistinti. Se non per la poesia, la cui cifra gli resta peraltro “misteriosa e crudele”. Di un pessimismo – nichilismo – leopardiano, totale, radioso di oscurità. L’ebrietà del creatore di miti è il massacro, la possibilità di menare fendenti, distruggere. Compreso il suicidio: “Nessuno si uccide”, fa dire a uno dei suoi personaggi, Sarpedonte, “la morte è un destino”. 
Curiosi dialoghi, senza capo né coda in realtà, che tuttavia si fanno leggere. I capitoli brevi, alla maniera di Leopardi, delle “Operette”, e il dialogato, non di maniera, aiutano. Pubblicati nel 1947, quando Pavese aveva già un nome, li fa precedere da una nota raccontata, sui toni dell’ironia: “Cesare Pavese, che molti si ostinano a considerare un testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie Americano-piemontesi, ci scopre in questi «Dialoghi» un nuovo aspetto del suo temperamento. Non c’è scrittore autentico il quale non abbia i suoi quarti di luna, il suo capriccio, la musa nascosta che a un tratto lo inducono a farsi eremita”.
Di fatto, Pavese non era ancora uno scrittore americano-piemontese, se non per “Paesi tuoi”, 1940, o per “Feria d’agosto”, 1946, e in parte per “Il diavolo sulle colline”, 1948. Pavese non esce da un ritratto per mettersi in un altro: si lascia andare a quello che è il suo flusso sotterraneo – a partire dagli stessi racconti, di un’infanzia e di una campagna “mitiche”. Ora lo punta direttamente, il mito, pur sapendo che non è una soluzione, che non se ne libererà - sa, nella sintesi di Givone, che “mito è, nello stesso tempo, qualcosa di necessario e di impossibile”.
Non era una divagazione, non era uno scherzo: il ghirigoro segue si dipana per temi “tragici”, sesso, amore, destino, solitudine, e natura, divinità, avventura, sventura, eccetera. Ma non come un compito in classe: Pavese si parla a voce forte. Saltabeccando dove lo porta l’estro, seppure per temi definite – il progetto è di non vere progetto. Non un tratato, più un’evocazione poetica. Il mito, del resto, è poesia, e Pavvese “nasce” poeta. Dice attraverso le figure classiche il suo indicibile. “Doppio è il movimento”, avverte Givone: “Da una parte il mito precipita verso il grado zero dell’esperienza, fa cenno alle pure forme vuote che la precedono e la legittimano, indica la via dell’abbandono all’irrazionale. Dall’altra la poesia dice no all’orrore che i contenuti mitici sprigionano nel momento stesso in cui li fa suoi rammemorandoli. Ne deriva una tensione conflittuale”. Di cui nulla incredibilmente (giustamente) aveva capito Moravia – i “Dialoghi” lesse come dannunzianesimo, attardato. Ma è la tensione pavesiana, della sua scrittura come della sua vita – la cui fine, seppure accelerata dai ripetuti rifiuti nei secondi anni 1940 alle sue poposte di matrimonio, di Fernanda Pivano, Bianca Garufi e Constance Dowling, dopo quello givanile di Tina Pizzardo, era “predestinata”. Resta tra i miti, sotto i miti, la condizione dell’uomo precaria se non si dà una ragione – il mito dei miti.
È l’edizione Einaudi riproposta in edicola. Completa dell’introduzione del filosofo Sergio Givone, con le note prese dai diari, la cronologia pavesiana, una bibliografia enorme sui “Dialoghi” e un’antologia estesa della critica. 
Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Corriere della sera, pp. € 7,90