astolfo
Finis
Americae –
È ricorrente nell’opinione americana. Almeno altre tre volte è ricorsa nel
dopoguerra. A fine anni 1950, quando lo stesso Kruscev decretava il sorpasso
dell’Urss sugli Usa, col primato spaziale - degli Sputnik, della cagnetta
Laika, di Juri Gagarin. Per il Vietnam, nel 1971 con la sospensione
a Ferragosto della convertibilità del dollaro in oro, che ne fece per alcuni
mesi carta straccia nel mercato dei cambi. E con l’11 settembre. Mentre gli
Stati Uniti sono sempre stati indubbiamente la potenza con la più grande e la
più estesa forza militare nel mondo – ancora oggi, con due presidenze, Obama e
Trump, ufficialmente post-imperialiste e isolazioniste, sono presenti in una
ventina di teatri di guerra. E con l’economia più resilient, oltre
che più ricca. Ha superato in tempo brevissimo la crisi bancaria del 2007.
Oggi
il declino dell’America si ripropone in America al confronto con la Cina. E per
il clima.
Sempre
si ripropone con presidenze repubblicane di destra – eccettuate cioè le
presidenze liberal di Eisenhower e Bush padre: Nixon, Reagan
(salvato nell’opinione ex post dal crollo sovietico), Bush
jr., Trump. Di presidenti eletti, cioè, con l’obiettivo dichiarato di
rafforzare e consolidare la potenza americana. Ma per ciò stesso condannati e
oltraggiati dall’opinione pubblica, dai media. Mentre il presidente
più amato, Kennedy, conserva immutata dopo mezzo secolo la popolarità come
quello che ha rilanciato l’America, benché le abbia imposto le crisi peggiori
della sua storia: il muro di Berlino, Cuba, un disastro militare e politico, e
il Vietnam, la guerra più costosa della storia e una delle più lunghe e
disastrose, quella che ha visto il maggior numero di morti e mutilati
americani, e la prima sconfitta.
L’opinione
è progressista negli Usa. Ma catastrofista. Del tipo apocalittico, ma
rigenerativo o revivalista, che si dice vada col puritanesimo. E si
vuole rigenerativo o revivalista ma di fatto è esclusivista – assolutista in
termini politici. Sui contenuti può anche essere reazionario – giustizialista,
o sui temi sessuali, e sui guadagni. E ha bisogno di inimicizie, paure,
radicali: nel trionfante dopoguerra il comunismo, la guerra atomica, la guerra
etnica, il clima, l’invasione dal Sud. Per una sorta di palingenesi, da igiene
radicale del mondo. Che poi è il motore anche della supremazia americana –
l’“eccezionalismo”.
L’America
di fatto oggi si confronta con: 1) masse di sudamericani disorientati e inermi;
2) un paese, sia pure il più grande del mondo per superficie e popolazione,
rigidamente comunista che patrocina il mercato più cinico; 3) un clima che non
si sa se si riscalda o si raffredda. Avendo perduto, questo sì, la spalla
europea, essendo il Vecchio ontinente tanto debole e confuso quanto è presuntuoso.
Metodo
Forno – È
il sistema giudiziario approntato nel 1989 dal giudice Pietro Forno, sostituto
Procuratore a Milano con delega sulle violenze sessuali e la pedofilia. Che a
fine Novecento – e in un periodo successivo, dal 2011 - sarà dimostrato in processi
famosi di essere una macchina di consulenze, con l’obiettivo precipuo di
distruggere le famiglie prima che di colpire gli abusi. E l’effetto secondario
di dare in affido – che i Comuni devono pagare, con larghezza – e poi adozione
bambini sottratti con la violenza giudiziaria alla famiglia naturale. Una
macchina giudiziaria a protezione dei minori che invece ci ha speculato sopra,
per soldi e per carriere.
Il
“metodo” è stato così sintetizzato dal “Corriere della sera” il 23 dicembre
2000: denunce e testimonianze canalizzate su un nucleo ristretto di polizia;
perizie affidate e ginecologi e psicologi che operano d’intesa con Forno,
sempre gli stessi (uno dei periti, la ginecologa Cristina Maggioni, si
scoprì in un processo che aveva fornito 358 consulenze, retribuite, in nove
anni); utilizzo delle confidenze dei bambini agli educatori; coniugi e parenti
accusati di complicità quando non confermano le accuse; allontanamento
immediato dei bambini dai genitori, d’intesa col Tribunale dei minori; affido
immediato dei bambini, d’intesa col Tribunale dei minori, a
strutture private di “tutela dell’infanzia”, sempre le stesse, con pagamento a
carico dei Comuni; passaggio immediato dei minori, d’intesa col Tribunale dei
minori, al mercato delle adozioni. Con divieto di ascoltare mai gli
imputati.
I
consulenti dei due casi contestati erano tutti del Cismai, Coordinamento
Italiano Servizi Maltrattamenti all’Infanzia. Collegava 40 Centri Affido, e
cento soci nel campo della prevenzione e il trattamento degli abusi sui minori.
Uno dei tanti casi di mercato lucroso del terzo settore, del volontariato e dei
servizi sociali. I consulenti dei due casi contestati facevano capo alla
struttura milanese del Cismai: i ginecologi Cristina Maggioni, Patrizia Gritti
e Maurizio Bruni, lo psichiatra Giobatta Guasto, le psicologhe Luisa Della Rosa
e Marinella Malacrea. Per l’affido di una bambina, è stato attestato in un
processo, il Centro Affido bambini maltrattati, uno dei quattro centri fondati
dal Cismai a Milano, dove lavorava la psicologa del caso, Luisa Della Rosa,
fatturò per poco più di due anni 150 milioni di lire al Comune di Milano – che
poi si rivaleva sulla famiglia.
Dei
due casi contestati, che portarono a interrompere la pratica, uno è emerso in
tv domenica con lo sceneggiato “L’amore strappato”. Il 24 novembre 1995 una
bambina di sette anni, Angela, viene prelevata a scuola in stile commando, da
un’assistente sociale e due Carabinieri. Per essere rinchiusa in una casa
famiglia, con la spiegazione che i genitori, un imprenditore della periferia
milanese e una casalinga, l’hanno abbandonata. Poiché la madre non vuole accusare
il marito, come Forno pretende, e anzi protesta pubblicamente incatenandosi
davanti al palazzo di Giustizia, non può neanche lei più vedere la figlia. Ai
genitori viene tolta la patria potestà, e la bambina data dopo due anni in
adozione, malgrado il processo volga a favore del padre imputato. La perizia di
Luisa Della Rosa ha contravvenuto di proposito ai protocolli in materia, e si è
dimostrato che il giudice Forno agiva d’intesa con Marinella Malacrea,
presidente del Caf, Centro di Affido, cui la piccola è stata affidata e socia
autorevole Cismai. Dopo due anni e mezzo arriva l’assoluzione. Ma a moglie e
marito ci vorranno sette anni per riavere la figlia. Che non li ha visti per
quasi undici anni, e li ha quasi dimenticati, e loro non hanno potuto vedere.
La ritroveranno del resto solo per caso, per una trama romanzesca. Dalla richiesta
del Comune di Milano di risarcimento delle spese sostenute per il Centro di Affido
della dottoressa Malacrea capiscono che la figlia trascorreva le vacanze dalle
parti di Alassio. Ce la trovano, dopo giorni di perlustrazioni, la pedinano fino al luogo
di residenza della famiglia adottiva, e le fanno avere tramite il fratello un
plico con tutta la vicenda e i documenti sulla sua vera identità. Angela non si
trova bene nella famiglia adottiva, e dopo l’ennesimo litigio se ne torna
autonomamente dai genitori naturali. Sta per compiere i diciott’anni, e quindi
poter scegliere da sé. Ma il Tribunale dei minori per salvare la faccia decreta
d’urgenza che la famiglia naturale può intanto fungere da affidataria.
L’altro
caso scoppia su un procedimento anch’esso avviato da Forno, anch’esso nel 1996,
anch’esso con l’ausilio dei periti del Cismai, contro un tassista milanese
accusato di abusi sulla figlia. A dicembre del 2000 si tiene infine il
processo, l’accusa è svolta da un altro Pubblico ministero, Tiziana Siciliano,
e il procedimento viene ribaltato. La giudice Siciliano smonta essa stessa
l’accusa, furente e sprezzante contro la consulente Maggioni: “Io, non so… Non
ho parole. Nessuno può avere parole…Vi è una amplissima documentazione,
fotografica questa volta, quindi qualche cosa che reggerà fino in Cassazione,
che contraddice in una maniera così totale le dichiarazioni della dottoressa
Maggioni, che ci viene da chiederci se sia una totale incompetente o se sia una
persona in malafede. Se io dovessi pensare che è una persona in malafede dovrei
chiedere la trasmissione degli atti per falsa perizia. Io non ho elementi per
farlo. Mi sgomenta la superficialità: non c’è una fotografia, non c’è una
documentazione… E conseguentemente noi prendiamo la perizia della signora
Maggioni – mi spiace per l’Erario che le ha pagato la consulenza, Erario che
paghiamo tutti noi con le nostre tasse quindi – e la buttiamo via perché non ci
ha detto niente….”
Il
“metodo Forno” aveva suscitato perplessità in Procura. Ma il capo della
Procura, Francesco Saverio Borrelli, lo difendeva. Lo ha difeso anche dopo il
processo al tassista. Che ha portato Forno sotto indagine al Csm, per la
questione delle consulenze. L’istruttoria del Csm si è allargata ad altri casi,
nei quali sono emersi anche un uso illegale delle intercettazioni telefoniche e
interrogatori intimidatori delle stesse vittime, vere o presunte. Forno si è
difeso, ma ha chiesto il trasferimento. Nel 2004 è stato promosso Procuratore
aggiunto a Torino. Nel 2009 è tornato a Milano con la stessa qualifica, che ha
esercitato soprattutto sul caso Ruby, fino alla pensione otto anni
dopo.
A Milano dopo il ritorno il giudice Forno si era distinto nel 2011 per un altro caso clamoroso. Nella
scuola elementare di Basiglio, o Milano 3, il quartiere più ricco d’Italia, venne trovato
sotto il banco di una bambina, dopo una delazione, un disegno osceno. La preside, allertata
dalle due maestre, segnalò il fatto al Tribunale dei minori, che dispose l’allontanamento
della piccola dalla famiglia e l’affidamento a un centro del Cismai. Un’assistente
sociale e lo psicologo della scuola indussero il fratello tredicenne della
piccola a confermare in qualche modo il disegno – che recava la didascalia: “X
tutte le domeniche fa sesso con suo fratello, per 10 euro, e a lei piace” – aprendo
anche per lui la porta del Caf. Una “prigione” durata sessantanove giorni. Pur
sapendosi che il disegno era uno scherzo-vendetta di una compagna di scuola. Lo
sapevano la preside, Graziella Bonello, e le due maestre, Teresa Naso e Barbara
Mazziotti. Che furono poi denunciate, insieme con l’assistente sociale,
Federica Micali, e lo psicologo, Luca Motta dall’avvocato della famiglia offesa.
La pratica fini a Forno, che la rigettò - ne propose il rigetto al gip, che lo accolse. Per le insegnanti il fatto non costituisce
reato, sostenne, perché gli inquirenti non hanno mai posto loro la domanda se
il disegno fosse opera della bambina. Per gli altri due dicendo “indimostrabile”
il nesso tra l’interrogatorio cui il fratello era stato sottoposto e il trauma
subito.
La
vicenda aveva un sottofondo palesemente razzista, di cui questo sito ha dato conto
all’epoca:
I fratelli erano di
famiglia non abbiente, e meridionale, e per questo deturpavano la scuola
elementare e media alla quale erano iscritti. Al loro ritorno a scuola,
obbligato, fu inscenata una finta festa, sotto i riflettori della Rai. Ma la famiglia capì il senso della cosa e sloggiò.
Né i fratelli né i genitori hanno mai ricevuto le scuse di nessuno, psicologo,
assistente sociale, insegnanti, direttrice. Il Pm Forno e la giudice Anna Maria
Gatto sono stati “durissimi”, a detta del loro avvocato, prudente: “Sembrava
che la famiglia e i bimbi fossero gli imputati e noi gli orchi cattivi”. Il
sindaco di Milano 3, dopo la sentenza, ha accusato i due fratellini di
“complotto”, a danno suo e del Comune.
Norimberga – Fu un vero processo? Sì. Le
arringhe finali, della difesa e dell’accusa, e l’impostazione del processo da
parte del Procuratore speciale americano Robert Jackson sono da processo
classico. L’esito era deciso in partenza, ma nessun giudice avrebbe potuto non
condannare in base al dibattimento.
Sono
mancati al processo i promotori e organizzatori dei “delitto contro l’umanità”
che il processo ha affermato: Himmler suicida, Heydrich assassinato, Eichmann
fuggitivo. Processati e giustiziati furono i capi militari e civili di un paese
sconfitto. Il processo è stato proposto e si è svolto all’uso dei trionfi
romani: l’esibizione del vinto a opera del vincitore. Ma con un atto di
autolimitazione importante: si processano e si condannano alcune persone, per
responsabilità soggettive, e non la Germania sconfitta, com’era avvenuto a
Versailles. In questo senso ha ragione il Procuratore Jackson alla fine del
processo: “Il fatto che quattro grandi nazioni, eccitate dalla vittoria e
stimolate dal torto subito, sospendano la vendetta e sottopongano
volontariamente i propri nemici al giudizio della Legge è uno dei tributi più
significativi che il Potere abbia mai pagato alla Ragione”..
L’impostazione
è costruita sulla base del precetto consuetudinario: nullum crimen,
nulla poena, sine lege. Che sembra applicabile solo ai processi penali e
non per responsabilità politiche, decisionali. All’apertura del
processo, per invalidarlo, e poi in ognuna della arringhe finale, la difesa
insistette su questo principio giuridico. Nessuno può essere punito sulla base
di norme create post factum, e ancora meno di norme ad hoc.
L’obiezione è respinta sulla base di due ordini di ragione. Una è il diritto
internazionale, che negli anni 1910 (convenzioni dell’Aja) e 1930 (patto di
Ginevra, accordi Brian-Kellogg, Società delle Nazioni) ha molto innovato,
stabilendo la punibilità delle guerre di aggressione, nonché di atti di singoli
contro i cittadini non militarizzati in tempo di guerra. All’obiezione che la
Germania non era tra i firmatari di tali innovazioni, non sempre, fu obiettato
un “diritto delle genti”, inteso a difendere la “moralità internazionale” – nei
termini shakespeariani, partendo da una citazione di “Re Lear”, dell’arringa
finale di Jackson: “Se voi, signori della Corte, doveste dire che questi uomini
non sono colpevoli, sarebbe come dire che non c’è stata una guerra, non ci sono
cadaveri, non c’è stato delitto”. .
Le
condanne furono eseguite nelle forme rituali. Compreso il carcere nelle
prigioni della nuova Repubblica Federale. Fino all’amnistia di Adenauer nel
1951, che ricalcò quella di Togliatti nel 1946
Usa-Cina – La partita, mantenuta entro
termini commerciali, astraendo curiosamente dallo status di
superpotenze militare e stellare della Cina, con politiche e anche azioni
aggressive nel Mar Cinese Meridionale, a ridosso del Giappone, e senza riguardo
alla manomissione costante a Pechino dei diritti civili, ricalca quella degli
anni 1970-1980, da Nixon a Reagan, tra Usa e Giappone – che fino al 2017 è
stato a lungo il primo creditore estero degli Stati Uniti, ora superato dalla
Cina, che a gennaio deteneva 1.127 (dopo essere arrivata a 1.191 a giugno
2018) miliardi di dollari di Treasury Usa contro i 1.069 detenuti dal
Giappone).
I
motivi di scontro – di accusa americana – allora erano quelli ora in corso
contro la Cina: il mancato rispetto della proprietà intellettuale, la
manipolazione del cambio, le pratiche commerciali scorrette. Anche il Giappone
era emerso copiando, appropriandosi del know-how altrui, più
che, e prima di, svilupparlo in proprio. Si arrivò ripetutamente allora a una
quasi rottura, o reiterata minaccia di rottura, che il Giappone infine
sopravanzò avviando molte produzioni negli stessi Stati Uniti – sia pure
avvantaggiandosi dalle condizioni autorizzative e fiscali di favore di alcuni
stati della federazione americana.
Finis
Americae – È ricorrente nell’opinione americana.
Almeno altre tre volte è ricorsa nel dopoguerra. A fine anni 1950, quando lo
stesso Kruscev decretava il sorpasso dell’Urss sugli Usa, col primato spaziale
- degli Sputnik, della cagnetta Laika, di Juri Gagarin. Per il Vietnam, nel 1971 con la sospensione a
Ferragosto della convertibilità del dollaro in oro, che ne fece per alcuni mesi
carta straccia nel mercato dei cambi. E con l’11 settembre. Mentre gli Stati Uniti
sono sempre stati indubbiamente la potenza con la più grande e la più estesa
forza militare nel mondo – ancora oggi, con due presidenze, Obama e Trump,
ufficialmente post-imperialiste e isolazioniste, sono presenti in una ventina di
teatri di guerra. E con l’economia più resilient,
oltre che più ricca. Ha superato in tempo brevissimo la crisi bancaria del
2007.
Oggi il declino dell’America si ripropone in
America al confronto con la Cina. E per il clima.
Sempre si ripropone con presidenze
repubblicane di destra – eccettuate cioè le presidenze liberal di Eisenhower e Bush padre: Nixon, Reagan (salvato
nell’opinione ex post dal crollo
sovietico), Bush jr., Trump. Di presidenti eletti, cioè, con l’obiettivo dichiarato
di rafforzare e consolidare la potenza americana. Ma per ciò stesso condannati
e oltraggiati dall’opinione pubblica, dai media.
Mentre il presidente più amato, Kennedy, conserva immutata dopo mezzo secolo la
popolarità come quello che ha rilanciato l’America, benché le abbia imposto le
crisi peggiori della sua storia: il muro di Berlino, Cuba, un disastro militare
e politico, e il Vietnam, la guerra più costosa della storia e una delle più
lunghe e disastrose, quella che ha visto il maggior numero di morti e mutilati
americani, e la prima sconfitta.
L’opinione è progressista negli Usa. Ma
catastrofista. Del tipo apocalittico, ma rigenerativo o revivalista, che si
dice vada col puritanesimo. E si vuole
rigenerativo o revivalista ma di fatto è esclusivista – assolutista in termini
politici. Sui contenuti può anche essere reazionario – giustizialista, o sui
temi sessuali, e sui guadagni. E ha bisogno di inimicizie, paure, radicali: nel
trionfante dopoguerra il comunismo, la guerra atomica, la guerra etnica, il
clima, l’invasione dal Sud. Per una sorta di palingenesi, da igiene radicale
del mondo. Che poi è il motore anche della supremazia americana – l’“eccezionalismo”.
L’America di fatto oggi si confronta con:
1) masse di sudamericani disorientati e inermi; 2) un paese, sia pure il più
grande del mondo per superficie e popolazione, rigidamente comunista che
patrocina il mercato più cinico; 3) un clima che non si sa se si riscalda o si
raffredda. Avendo perduto, questo sì, la spalla europea, essendo il Vecchio ontinente tanto debole e confuso quanto è presuntuoso.
Metodo
Forno – È il sistema giudiziario approntato nel
1989 dal giudice Pietro Forno, sostituto Procuratore a Milano con delega sulle
violenze sessuali e la pedofilia. Che a fine Novecento sarà dimostrato in due
processi famosi di essere una macchina di consulenze, con l’obiettivo precipuo
di distruggere le famiglie prima che di colpire gli abusi. E l’effetto secondario
di dare in adozione bambini sottratti con la violenza giudiziaria alla famiglia
naturale. Una macchina giudiziaria a protezione dei minori che invece ci ha
speculato sopra, per soldi e per carriere.
Il “metodo” è stato così sintetizzato dal “Corriere
della sera” il 23 dicembre 2000. Denunce e testimonianze canalizzate su un nucleo
ristretto di polizia; perizie affidate e ginecologi e psicologi che operano d’intesa
con Forno, sempre gli stessi (uno dei periti, la ginecologa Cristina Maggioni, fornì 358 consulenze, retribuite, in nove
anni); utilizzo delle confidenze dei bambini agli educatori; coniugi e parenti
accusati di complicità quando non confermano le accuse; allontanamento
immediato dei bambini dai genitori, d’intesa col Tribunale dei minori; affido immediato
dei bambini, d’intesa col Tribunale dei minori, a strutture private di “tutela dell’infanzia”,
sempre le stesse, con pagamento a carico dei Comuni; passaggio immediato dei
minori, d’intesa col Tribunale dei minori, al mercato delle adozioni. Con divieto
di ascoltare mai gli imputati.
I consulenti dei due casi contestati erano
tutti del Cismai, Coordinamento Italiano Servizi Maltrattamenti all’Infanzia. Collegava
40 centri e cento soci nel campo della prevenzione e il trattamento degli abusi
sui minori. I consulenti dei due casi contestati facevano capo alla struttura
milanese del Cismai: i ginecologi Cristina Maggioni, Patrizia Gritti e Maurizio
Bruni, lo psichiatra Giobatta Guasto, le psicologhe Luisa Della Rosa e
Marinella Malacrea. Per l’affido di una bambina, è stato attestato in un
processo, il Centro aiuto famiglia e bambini maltrattati, uno dei quattro
centri fondati dal Cismai, dove lavorava la psicologa del caso, Luisa Della
Rosa, fatturò per due anni 150 milioni di lire al Comune di Milano, cinque milioni
quattrocentomila lire al mese.
Dei due casi contestati, che portarono a
interrompere la pratica, uno è emerso in tv domenica con lo sceneggiato “L’amore
strappato”. Una bambina di sei anni viene prelevata a scuola in stile commando,
da un’operatrice sociale e due Carabinieri, rinchiusa in una casa famiglia, con
la spiegazione che i genitori, un imprenditore della periferia milanese e una
casalinga, l’hanno abbandonata. Poiché la madre non vuole accusare il marito, come
Forno pretende, non può neanche lei più vedere la figlia. Ai genitori viene
tolta la patria potestà, e la bambina data dopo due anni in adozione, malgrado
il processo volga a favore del padre imputato. La perizia di Luisa Della Rosa
ha contravvenuto di proposito ai protocolli in materia, e si è dimostrato che
il giudice Forno agiva d’intesa con Marinella Malacrea, presidente del Centro
cui la piccola è stata affidata e socia autorevole Cismai. Dopo due anni e
mezzo arriva l’assoluzione. Ma a moglie e marito ci vorranno sette anni di
pratiche per riavere la figlia. Che non li ha visti per quasi undici anni, e li
ha quasi dimenticati, e loro non hanno potuto vedere.
L’altro caso scoppia su un procedimento anch’esso
avviato da Forno, anch’esso nel 1996, anch’esso con l’ausilio dei periti del
Cismai, contro un tassista milanese accusato di abusi sulla figlia. A dicembre del
2000 si tiene infine il processo, l’accusa è svolta da un altro Pubblico
ministero, Tiziana Siciliano, e il procedimento viene ribaltato. La giudice
Siciliano smonta essa stessa l’accusa, furente e sprezzante contro la
consulente Maggioni: “Io, non so… Non ho parole. Nessuno può avere parole…Vi è una
amplissima documentazione, fotografica questa volta, quindi qualche cosa che
reggerà fino in Cassazione, che contraddice in una maniera così totale le
dichiarazioni della dottoressa Maggioni, che ci viene da chiederci se sia una
totale incompetente o se sia una persona in malafede. Se io dovessi pensare che
è una persona in malafede dovrei chiedere la trasmissione degli atti per falsa
perizia. Io non ho elementi per farlo. Mi sgomenta la superficialità: non c’è
una fotografia, non c’è una documentazione… E conseguentemente noi
prendiamo la perizia della signora Maggioni – mi spiace per l’Erario che le ha
pagato la consulenza, Erario che paghiamo tutti noi con le nostre tasse quindi
– e la buttiamo via perché non ci ha detto niente….”
Il “metodo Forno” aveva suscitato perplessità
in Procura. Ma il capo della Procura, Borrelli, lo difendeva. Lo ha difeso anche
dopo il processo al tassista. Che ha portato Forno sotto indagine al Csm, per
la questione delle consulenze. L’istruttoria del Csm si è allargata ad altri casi,
nei quali sono emersi anche un uso illegale delle intercettazioni telefoniche e
interrogatori intimidatori delle stesse vittime, vere o presunte. Forno si è
difeso, ma ha chiesto il trasferimento. Nel 2004 è stato promosso Procuratore
aggiunto a Torino. Nel 2009 è tornato a Milano con la stessa qualifica, che ha
esercitato soprattutto sul caso Ruby, fino alla pensione otto anni dopo.
Norimberga
– Fu un vero processo? Sì. Le arringhe
finali, della difesa e dell’accusa, e l’impostazione del processo da parte del
Procuratore speciale americano Robert Jackson sono da processo classico.
L’esito era deciso in partenza, ma nessun giudice avrebbe potuto non condannare
in base al dibattimento.
Sono mancati al processo i promotori e
organizzatori dei “delitto contro l’umanità” che il processo ha affermato:
Himmler suicida, Heydrich assassinato, Eichmann fuggitivo. Processati e
giustiziati furono i capi militari e civili di un paese sconfitto. Il processo
è stato proposto e si è svolto all’uso dei trionfi romani: l’esibizione del vinto
a opera del vincitore. Ma con un atto di autolimitazione importante: si
processano e si condannano alcune persone, per responsabilità soggettive, e non
la Germania sconfitta, com’era avvenuto a Versailles. In questo senso ha
ragione il Procuratore Jackson alla fine del processo: “Il fatto che quattro
grandi nazioni, eccitate dalla vittoria e stimolate dal torto subito,
sospendano la vendetta e sottopongano volontariamente i propri nemici al
giudizio della Legge è uno dei tributi più significativi che il Potere abbia
mai pagato alla Ragione”..
L’impostazione è costruita sulla base del
precetto consuetudinario: nullum crimen,
nulla poena, sine lege. Che sembra applicabile solo ai processi penali e
non per responsabilità politiche, decisionali. All’apertura del processo, per invalidarlo, e
poi in ognuna della arringhe finale, la difesa insistette su questo principio
giuridico. Nessuno può essere punito sulla base di norme create post factum, e ancora meno di norme ad hoc. L’obiezione è respinta sulla
base di due ordini di ragione. Una è il diritto internazionale, che negli anni
1910 (convenzioni dell’Aja) e 1930 (patto di Ginevra, accordi Brian-Kellogg, Società
delle Nazioni) ha molto innovato, stabilendo la punibilità delle guerre di
aggressione, nonché di atti di singoli contro i cittadini non militarizzati in
tempo di guerra. All’obiezione che la Germania non era tra i firmatari di tali
innovazioni, non sempre, fu obiettato un “diritto delle genti”, inteso a
difendere la “moralità internazionale” – nei termini shakespeariani, partendo
da una citazione di “Re Lear”, dell’arringa finale di Jackson: “Se voi, signori
della Corte, doveste dire che questi uomini non sono colpevoli, sarebbe come
dire che non c’è stata una guerra, non ci sono cadaveri, non c’è stato
delitto”. .
Le condanne furono eseguite nelle forme
rituali. Compreso il carcere nelle prigioni della nuova Repubblica Federale.
Fino all’amnistia di Adenauer nel 1951, che ricalcò quella di Togliatti nel
1946
Usa-Cina
– La partita, mantenuta entro termini commerciali, astraendo curiosamente dallo
status di superpotenze militare e stellare della Cina, con politiche e anche
azioni aggressive nel Mar Cinese Meridionale, a ridosso del Giappone, e senza riguardo alla manomissione costante a Pechino dei diritti civili, ricalca quella degli anni 1970-1980, da Nixon a Reagan, tra Usa
e Giappone – che fino al 2017 è stato a lungo il primo creditore estero degli
Stati Uniti, ora superato dalla Cina, che a gennaio deteneva 1.127 (dopo
essere arrivata a 1.191 a giugno 2018) miliardi di dollari di Treasury Usa contro i 1.069 detenuti dal Giappone).
I motivi di scontro – di
accusa americana – allora erano quelli ora in corso contro la Cina: il mancato
rispetto della proprietà intellettuale, la manipolazione del cambio, le
pratiche commerciali scorrette. Anche il Giappone era emerso copiando, appropriandosi del know-how altrui, più che, e prima di,
svilupparlo in proprio. Si arrivò ripetutamente allora a una quasi rottura, o reiterata minaccia di
rottura, che il Giappone infine sopravanzò avviando molte produzioni negli
stessi Stati Uniti – sia pure avvantaggiandosi dalle condizioni autorizzative e
fiscali di favore di alcuni stati della federazione americana.
astolfo@antiit.eu